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La vendetta come sanzione giuridica primitiva

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 171-174)

3. Hans Kelsen e l’evoluzione macrostorica degli ordinamenti giuridici

3.3. L’ordinamento giuridico primitivo

3.3.2. La vendetta come sanzione giuridica primitiva

Da quanto affermato nelle battute finali del precedente paragrafo, sembrerebbe possibile attribuire a Kelsen un’interpretazione della vendetta come atto che risponde ad un obbligo di natura religiosa. In realtà – tanto in Society and Nature, quanto in Law and Peace in

International Relations – Kelsen insiste sul fatto che la vendetta nelle società primitive rivela

sempre una funzione sociale che prescinde da motivazioni di ordine religioso, per arrivare infine a caratterizzare la stessa vendetta come meccanismo sanzionatorio propriamente giuridico. Tuttavia, prima di chiarire quale sia la funzione sociale della vendetta, Kelsen propone alcune considerazioni volte a mettere in evidenza in che senso essa sia da intendersi come fenomeno propriamente sociale. A tal fine, Kelsen invita innanzitutto a distinguere la vendetta da quella «semplice reazione difensiva, originata dal desiderio di autoconservazione»85 che caratterizza l’uomo così come tutti gli altri animali. La differenza tra vendetta e reazione istintiva di autodifesa consiste essenzialmente nel fatto che la prima «mira non solo a evitare il male, ma anche a infliggere a sua volta un altro male, sia all’autore diretto del male subìto, sia ad altri a lui associati, che vengono così ritenuti partecipi della responsabilità del primo»86. Il desiderio di contraccambiare il male ricevuto, continua Kelsen, «può essere spiegato soggettivamente solo dal sentimento di inferiorità che il danno subìto desta nell’offeso contro l’offensore»87. D’altra parte, questo sentimento di inferiorità nei confronti dell’offensore – «che può essere benissimo neutralizzato ponendo l’offensore nella stessa condizione dell’offeso»88 – può sorgere unicamente laddove fra le due parti esista un rapporto di valutazione, ovvero sullo sfondo di un dato sistema di nome sociali condivise. In altri termini, quindi, il sentimento di inferiorità derivante dall’offesa subita e il desiderio di contraccambiare la stessa offesa presuppongono «la tendenza a considerare il male subito come una violazione di norme, una violazione dell’ordine sociale esistente nella coscienza degli individui»89. Proprio in quanto fondata su un sentimento di inferiorità che presuppone un ordine sociale e normativo, la vendetta deve

85 H. Kelsen, Società e natura, cit., p. 84.

86 Ibidem.

87 Ivi, p. 86.

88 Ibidem.

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essere considerata come fenomeno sociale, come reazione qualificata possibile solo in seno alla società, non nella natura. Scrive Kelsen:

É assai probabile che nel desiderio di vendetta – quale è possibile osservare non solo fra gli uomini, ma anche tra gli animali che vivono in gregge – sia implicito un istinto elementare di difesa, determinato da una sensazione di pena. Perché questo moto istintivo si trasformi in un’azione più o meno cosciente, come la vendetta quando sia diretta contro l’autore, è necessario che esso subisca una modifica, che solo la vita sociale può produrre. Nel desiderio di vendetta non è l’istinto puro, originario, di conservazione che si manifesta; la vendetta è un modo di comportarsi socialmente determinato.90

Dopo aver spiegato in che senso la vendetta sia un fenomeno propriamente sociale (ovvero, un fenomeno possibile solo in seno alla società e sullo sfondo di un contesto normativo), Kelsen passa, dunque, a sottolineare come la stessa non risponda esclusivamente a motivazioni soggettive e come anzi, nelle società primitive, essa ambisca anche a soddisfare un interesse collettivo, rivelando quindi un’innegabile funzione sociale. A questo proposito, Kelsen scrive:

Nella società primitiva la vendetta soddisfa non solo un interesse individuale, ma anche un interesse collettivo. E questo, in verità, è proprio il punto in cui il riflesso istintivo, naturale di difesa, originato da una causa esterna di pena, si differenzia dalla vendetta sociale: nel primo vaso v’è solo un motivo soggettivo; nel secondo v’è una funzione sociale, che è quella di prevenire.91

A fronte di tale discorso relativo alla funzione sociale della vendetta come pratica che mira a soddisfare un interesse collettivo, Kelsen arriva finalmente a proporre la sua interpretazione della stessa vendetta come misura coercitiva messa in atto – sulla base del principio di retribuzione – per rispondere alla violazione di una qualche norma. In particolare, il discorso di Kelsen si riferisce alla vendetta di sangue, come sanzione messa in atto per la violazione «della più antica norma sociale: chi ha ucciso deve essere ucciso»92. In tal senso, Kelsen scrive:

L’istituzione della vendetta del sangue, che si può far risalire ai primordi dello sviluppo sociale, indica chiaramente che la morte non solo è il delitto più antico, ma anche la più antica punizione socialmente organizzata […]. La vendetta del sangue è l’applicazione della più antica norma sociale: chi ha ucciso deve essere ucciso. Ed è l’espressione più ovvia del principio del contrappasso. Essa costituisce la base della condotta reciproca dei membri della società, in quanto questa condotta è regolata dal sistema sociale, che fin dalle prime origini ha il carattere di un ordine ad un tempo legale e morale.93

90 Ivi, p. 89.

91 Ivi, p. 94.

92 Ivi, p. 92.

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Come emerge dalla citazione sopra riportata, Kelsen non si limita a qualificare la vendetta di sangue come generica sanzione, specificando piuttosto che deve essere intesa come una “sanzione socialmente organizzata”. Su questo punto, Kelsen ritorna anche in Law and Peace

in International Relations, quando sottolinea che l’individuo chiamato a vendicare la morte di

un suo familiare è considerato come organo che agisce a nome della comunità. Che il vendicatore agisca in quanto organo della comunità significa non solo che è autorizzato dalla stessa a procedere con l’atto di vendetta, ma anche che egli è obbligato a farlo. Kelsen ritiene infatti possibile sostenere che esista un “dovere di vendetta”, nella misura in cui, come sanzione socialmente organizzata, la vendetta risponde alla necessità di riaffermare, a fronte di un crimine, che l’uso della forza è vietato nella comunità, se non come sanzione. A tal proposito, Kelsen scrive:

In una comunità primitiva, l’uomo che vendichi l’omicidio del padre, nei confronti di colui il quale questi ritenga esserne l’omicida, non è considerato come un assassino, ma come un organo della comunità; egli esegue, infatti, con questo preciso atto, una norma dell’ordinamento sociale che costituisce la comunità. È questa norma che autorizza lui, e solo lui, in determinate circostanze, e solo in queste, a uccidere il sospetto omicida […] La distinzione tra l’omicidio come illecito e l’uccisione di un uomo come adempimento di un

dovere di vendetta è della massima importanza per la società. Ciò significa che uccidere è consentito solo

se l’omicida agisca come un organo della comunità, se la sua azione sia intrapresa in esecuzione dell’ordinamento giuridico. La misura coercitiva è riservata alla comunità, ed è, di conseguenza, un monopolio della stessa.94

Se, a conclusione di tale disamina, si ritorna a considerare che per Kelsen giuridico è l’ordinamento che si avvale di sanzioni socialmente organizzate e che determina un monopolio dell’uso legittimo della forza da parte della comunità, si comprende perché egli concluda che la vendetta primitiva, in quanto reazione socialmente organizzata, possa essere qualificata come meccanismo sanzionatorio propriamente giuridico. Similmente, tendendo a mente la sua definizione di ordinamento giuridico, si comprende perché Kelsen arrivi a considerare «pienamente giustificabile denominare diritto l’ordinamento sociale coercitivo ancora decentrato della società primitiva, nonostante la sua tecnica piuttosto cruda»95: perché tale ordinamento presenta sanzioni socialmente organizzate del genere della vendetta. Proprio il fatto che già nei primi anni Quaranta del XX secolo Kelsen pervenga alla conclusione che un ordinamento basato sulla vendetta come meccanismo sanzionatorio possa a giusto titolo

94 H. Kelsen, Diritto e pace nelle relazioni internazionali, cit., p. 50.

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essere considerato giuridico – idea che, ancora oggi, fatica ad essere accettata in toto – testimonia la sua originalità come sociologo e antropologo del diritto: un’originalità che, ai suoi tempi, non venne colta a pieno in quanto si focalizzò maggiormente l’attenzione sulle carenze metodologiche del suo lavoro, come testimoniato dalla feroce critica che il sociologo del diritto americano Talcott Parsons mosse a Society and Nature nella sua recensione dell’opera stessa96.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 171-174)