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IL SISTEMA ITALIANO A TRE PILASTRI

2. Il secondo pilastro: la sanità integrativa ed i suoi enti

2.1. I Fondi Sanitari Integrativi

Come si è visto, i fondi sanitari integrativi sono tra i protagonisti del secondo pilastro della sanità.

La disciplina dei fondi sanitari integrativi la si ritrova nell’art. 9 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall’art.9 del D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 (c.d. Decreto Bindi).

Il carattere integrativo di questi enti è il frutto di una precisa scelta legislativa diretta a preservare il campo di operatività del SSN.

Essi possono essere istituititi tramite contratti ed accordi collettivi, anche aziendali; deliberazioni di regioni, enti territoriali ed enti locali; deliberazioni assunte, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, da società di mutuo soccorso riconosciute. I Fondi Sanitari non applicano alcuna selezione del rischio ed erogano le prestazioni socio-sanitarie individuate da apposito Decreto del Ministero della Salute in misura

complessivamente non inferiore al 20% delle risorse destinate a far fronte alla copertura sanitaria degli assistiti.

I fondi sanitari integrativi possono essere di due tipi112

: i fondi non DOC113

che nascono dalla contrattazione nazionale, locale o aziendale, tra le rappresentanze sindacali e datoriali. Essi rappresentano la quasi totalità delle realtà di sanità integrativa operanti sul mercato italiano essendo tra i più numerosi. Si tratta di fondi chiusi ai quali possono aderire solo i lavoratori ma generalmente aperti all’adesione dei loro familiari. La seconda tipologia è costituita dai fondi sanitari integrativi puri114

, cosiddetti fondi DOC, introdotti con la riforma Bindi e che possono erogare prestazioni integrative al SSN ovvero rimborsare prestazioni già ricomprese nei LEA ma per la sola quota a carico dell’assistito. Questi fondi sono aperti all’adesione da parte di tutti i cittadini i quali però debbono utilizzare strutture accreditate per l’erogazione delle prestazioni (con non poche difficoltà circa le prestazioni di tipo odontoiatrico in ragione del ridotto accreditamento). Il quadro normativo relativo ai fondi sanitari integrativi è in realtà più complesso di come tradizionalmente appresentato perché nel tempo sono stati emanati dai diversi Ministeri provvedimenti legislativi che hanno inciso e stanno incidendo sulla loro operatività115

.

                                                                                                               

112 Sul punto si è espresso con un parere il Professor Sabino Cassese (Giudice emerito della Corte Costituzionale): “Appare... surrettizia la distinzione operata in sede amministrativa tra due specie di fondi

(DOC e non DOC). Questi sono ambedue considerati fondi. Sarebbero però diversi. E questa diversità viene singolarmente fondata su norme di cui una è precedente e ha carattere esclusivamente tributario. Invece, si deve ritenere che la norma del 1992, modificata nel 1999, regga tutta la materia, assorbendo quindi quella tributaria, per quanto attiene alla categoria dei soggetti. Infatti, la norma del 1992, modificata nel 1999, è norma successiva ed è la norma sostanziale alla luce della quale va interpretata quella del 1986. Quindi, si deve concludere che esiste una sola categoria di fondi e che tutti i fondi appartenenti a tale categoria possono usufruire del trattamento tributario previsto nel 1986.

113 Uno dei principali fondi è il fondo MètaSalute. Si tratta del fondo sanitario integrativo dedicato ai lavoratori dell’industria metalmeccanica e dell’installazione di impianti e per i lavoratori del comparto orafo e argentiero.

114 Questa tipologia di fondi sanitari integrativi non ha avuto particolare successo per una serie di ragioni tra le quali il fatto che le prestazioni previste non costituiscono una parte rilevante della domanda della popolazione che si iscrive e perché il rimborso della quota di partecipazione alla spesa per gran parte delle prestazioni vale esclusivamente per gli erogatori accreditati e non anche autorizzati.

115 I.MASTROBUONO, Lo stato attuale dei fondi sanitari integrativi: alcune precisazioni in Quotidiano

Si ricordano sinteticamente: (i) la Legge n. 244/2007 (art.1, comma 197, lettera b) alla quale sono seguiti i successivi decreti ministeriali del 2008 e del 2010 che, intervenendo sugli articoli 51 e 10 del TUIR, hanno eliminato la dicotomia tra fondi sanitari integrativi DOC e non DOC; (ii) la Legge n. 208/2015 (art.1, comma 190) che ha potenziato le agevolazioni fiscali per le aziende che concedono servizi e prestazioni di welfare aziendale ai dipendenti permettendo l’erogazione di premi di risultato in forma di servizi; (iii) la Legge n. 232/2016 che ha ampliato le voci che non concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, attraverso la modifica del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR che consente la corresponsione di benefit mediante titoli di legittimazione o voucher.

Alla normativa nazionale si è aggiunta nel tempo quella regionale laddove, alcune regioni (tra cui Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Abruzzo, Toscana, Lazio, Sardegna), nei preaccordi per una maggiore autonomia, riportano all’articolo 8 quanto segue: “Nel rispetto dei vincoli

di bilancio e dei livelli essenziali di assistenza è attribuita alla regione una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi”.

Si evidenzia, infine, che molti fondi sanitari integrativi hanno indirizzato le proprie politiche verso l’area della prevenzione con campagne interne ai propri iscritti e con la messa a disposizione di specifici percorsi assistenziali. I fondi sanitari integrativi, infatti, al fine di evitare soprusi prescrittivi e avendo ben chiari i flussi di richiesta dei lavoratori iscritti e dei loro familiari, negli ultimi anni, hanno inteso focalizzare l’attenzione dei loro aderenti sul tema della prevenzione in relazione alle malattie che costituiscono le principali cause di morte nel nostro Paese116

. 2.2. Le Casse di Assistenza Sanitaria

Le casse di assistenza sanitaria sono regolamentate dall’art.1 del D.M. 31 marzo 2008.

                                                                                                               

Esse hanno finalità prettamente assistenziale e possono erogare tutte le prestazioni socio-sanitarie previste dai propri statuti e regolamenti (anche nei settori di operatività del SSN) compartecipando alla spesa sostenuta dai propri iscritti per fruire di prestazioni erogate dal SSN ovvero eseguite in regime di libera professione intramuraria.

Le casse di assistenza sanitaria possono fornire le prestazioni sopra definite negli ambiti e nella percentuale individuata dal Decreto Sacconi oltre ad essere annualmente tenute, al pari delle società di mutuo soccorso, a comunicare annualmente all’Anagrafe dei Fondi Sanitari, la seguente documentazione: a) atto costitutivo; b) regolamento; c) nomenclatore delle prestazioni garantite; d) bilancio preventivo e consuntivo; e) modelli di adesione relativi al singolo iscritto ed eventualmente al nucleo familiare.

Sono un altro ente fondamentale del secondo pilastro, la cui appartenenza è confermata anche da parte delle singole casse operanti sul territorio nazionale. A tal riguardo, si cita il rapporto di sostenibilità 2017117

di Qu.A.S. – Cassa Assistenza Sanitaria Quadri (istituita nel 1989 per i lavoratori dipendenti con la qualifica di quadro) ove si riporta il seguente passaggio: “Qu.A.S. appartiene al “secondo pilastro”, cioè alla sanità

collettiva integrativa, che, applicando gli stessi principi di solidarietà e universalismo che ispirano la gestione della sanità pubblica, è finalizzato a garantire la possibilità di fruizione di quei servizi che, in tutto o in parte, non rientrano nei LEA (livelli essenziali di assistenza) del Sistema Sanitario Nazionale. Si tratta di forme mutualistiche no-profit che, a differenza delle polizze assicurative (che ricadono nel terzo pilastro), non prevedono né criteri di “selezione all’entrata”, né differenziazione del contributo in ragione dell’età o di altre caratteristiche del beneficiario, né concorrenza con le prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale”.