• Non ci sono risultati.

Gli esordi del welfare italiano: dall’Unità di Italia alla Carta Costituzionale I primi interventi in materia di assistenza sanitaria pubblica nel panorama europeo

IL SISTEMA ITALIANO A TRE PILASTRI

1. Il modello di assistenza sanitaria in Italia

1.1. Gli esordi del welfare italiano: dall’Unità di Italia alla Carta Costituzionale I primi interventi in materia di assistenza sanitaria pubblica nel panorama europeo

risalgono alla fine dell’Ottocento e anche l’Italia, nel medesimo periodo, conobbe un simile fenomeno. Se si osserva la conformazione del Regno di Italia, questo era un paese prevalentemente agricolo che muoveva i primi passi verso l’industrializzazione ove le condizioni sanitarie erano ancora piuttosto precarie. I comuni pagavano personale sanitario specializzato in diversi campi affinché si occupasse di curare la parte più povera della popolazione ma l’apporto fondamentale in termini di tutela sanitaria era fornito dalle organizzazioni ecclesiastiche e filantropiche private che godevano di assoluta autonomia49

. Le poche leggi allora vigenti in materia erano quelle proprie della legislazione sabauda, poi estesa a tutto il Regno, tra cui si ricorda la Legge n. 3793/1859 in base alla quale il controllo sanitario era di competenza dell’amministrazione locale. Il neonato stato italiano si trovò da subito nella impossibilità, strutturale e organizzativa, di soddisfare le necessità di cura della propria popolazione, delegando forzatamente l’adempimento di tali primarie esigenze sociali a strutture ed organizzazioni private. Tale impossibilità non discendeva esclusivamente da problemi di ordine organizzativo e strutturale, ma era da Leggersi altresì come un problema di mentalità giuridica, ciò nel                                                                                                                

senso che lo Stato unitario nella sua originaria configurazione di Stato di diritto, era assai poco propenso ad occuparsi dei c.d. diritti sociali dei cittadini. Del resto il riflesso di tale mentalità lo si riscontra nella collocazione del diritto alla salute ideata dal padri costituenti italiani che, come si vedrà meglio in seguito, collocheranno tale diritto di cui all’art. 32 della Costituzione quale norma contenuta nel Titolo II rubricata "rapporti etico-sociali", e quindi non tra i diritti contemplati nel c.d. rapporti civili.

Tra i compiti e le funzioni dello Stato di diritto, nella mentalità del secolo XIX, non vi rientrava il perseguimento del benessere complessivo dei cittadini; lo Stato non era interessato - od addirittura quasi non autorizzato - ad occuparsi di ciò che fosse estraneo alla protezione giuridica dei diritti fondamentali connessi al c.d. status civitatis.

Se si analizza questo aspetto sotto un profilo storico, si nota come con la caduta dell’impero romano d’Occidente, e per effetto del susseguente vuoto legislativo e strutturale creatosi, si venne affermando, come forza emergente, la Chiesa cristiana. Infatti, a partire dell’alto Medio Evo sorsero nel territorio “italiano” delle strutture primordiali di forme di assistenza sanitaria ad opera degli ordini religiosi e, solo più tardi, strutture laiche sempre allo scopo di offrire carità o beneficienza. In tale contesto storico la Chiesa ha quindi rappresentato per lungo tempo la sola forza organizzata in grado di farsi carico di alcuni problemi sociali, in particolare quelli dell’istruzione e dell’assistenza, intesa come intervento sussidiario e caritativo, provvedendo alla creazione ed organizzazione di tutta una serie di strumenti, al fine di sopperire a questo tipo di necessità.

L’organizzazione dello Stato unitario non si curò di sostituire le attività assistenziali della Chiesa con iniziative laiche, ma di affiancarle, laddove possibile. Alle strutture preesistenti venne infatti demandato, tacitamente ma coscientemente, l’assolvimento dei compiti istituzionali di assistenza sanitaria fino all’Unità d’Italia, ma anche successivamente, poiché, conclusosi il processo di unificazione, la legislazione dello Stato unitario persiste, nel suo complesso, ad essere estremamente deficitaria. Essa si limita a prendere atto di una situazione ultra secolare esistente, cercando di razionalizzarla attraverso un primo corpo normativo consistente in una serie di

disposizioni contabili-amministrative, valide su tutto il territorio nazionale50

. La ragione di ciò è da individuare nel fatto che l’Italia unitaria, nei primi anni della sua costituzione, si trovava nella impossibilità di affrontare e risolvere problemi sociali estremamente gravi e complessi, preferendo dedicarsi primariamente ad interventi atti a regolare settori totalmente privi di indirizzi istituzionali e demandando ad un momento successivo la positivizzazione di tali esigenze assistenziali, da secoli ammirevolmente assolte da organi di natura privata, religiosa e con finalità essenzialmente caritative.

Il primo tentativo di disciplina organica fu rappresentato dalla Legge n. 753/1862, normativa unitaria sull’amministrazione delle Opere Pie poi seguita dal regolamento attuativo contenuto nel Regio Decreto 27 novembre 1862 n. 1007. Queste istituirono presso ogni comune del Regno una Congregazione di carità51

allo scopo di amministrare i beni destinati a beneficio dei poveri e le opere pie la cui gestione era stata affidata dal consiglio comunale. La Legge n. 753/1862 conteneva una disciplina articolata dei vari istituti assistenziali e caritativi, religiosi e laici, che il Regno d’Italia aveva ereditato dagli Stati preunitari. L’articolo 1 designava con i termini di “Opera Pia” o “istituzione                                                                                                                

50 A.PARRULLI, Lineamenti di legislazione sanitaria, Maggioli, 1987

51 I precedenti della congregazione di carità, istituita nel Regno d’Italia con Legge 3 agosto 1862, n. 753 sull’amministrazione della opere pie, vanno ricercati nella normativa sugli istituti di beneficenza della Repubblica italiana (1802 - 1805) e del Regno d’Italia napoleonico (1805 -1814). Con decreto 3 agosto 1803, il vicepresidente della Repubblica italiana, vista la necessità di estendere provvisoriamente a tutta la Repubblica i regolamenti in vigore in vari dipartimenti per la migliore amministrazione economica e più esatta tutela dei beni addetti a istituti di religione o di beneficenza, su rapporto del ministro per il culto, stabilì un regolamento provvisorio per l’amministrazione e tutela dei beni addetti a istituti di religione o di beneficenza, portante le modalità di tenuta e trasmissione dei bilanci annuali, le norme sulle rendite e proprietà fondiarie e i rapporti con il ministro.

Con il decreto sull’amministrazione generale di pubblica beneficenza, dato dal viceré Eugenio di Beauharnais il 5 settembre 1807, fu di fatto stabilito un sistema regolare e uniforme nell’amministrazione della pubblica beneficenza.

Per decreto di Napoleone Bonaparte 21 dicembre 1807, infine, gli oggetti di beneficenza pubblica passarono nelle attribuzioni del ministro dell’interno; i comuni venivano incaricati di supplire ai bisogni degli ospedali, orfanotrofi, istituti elemosinieri, i cui beni erano amministrati da un certo numero di probi cittadini del comune. Gli istituti creati localmente prendevano il nome di congregazione della carità. Il decreto del dicembre 1807 fissava il numero degli amministratori a seconda del numero di abitanti; prefetto del dipartimento, vescovo e podestà facevano parte della congregazione; il consiglio d’amministrazione, composto di quattro consiglieri, esercitava presso il ministero dell’interno le stesse ispezioni sugli enti, redditi e lasciti di pubblica beneficenza che prima esercitava presso il ministero per il culto. Per un approfondimento si veda A. ANTONIELLA, L’archivio comunale postunitario. Contributo

di assistenza e beneficenza” un ente morale che aveva come fine quello di “soccorrere

le classi meno agiate, (...) di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione”. Si trattava per lo più di enti che sfuggivano ad una qualificazione

giuridica precisa: la loro struttura e la loro attività erano regolate in parte dal diritto comune e in parte dal diritto pubblico e le risorse finanziarie di cui disponevano provenivano sia da rendite di carattere prevalentemente fondiario sia da sussidi pubblici. La gestione della congregazione era affidata a un consiglio d’amministrazione, composto da un presidente e da un numero variabile di componenti (in base all’entità della popolazione residente) eletti dal consiglio comunale e disponeva di un segretario e di un tesoriere per la gestione rispettivamente della corrispondenza e della contabilità. L’istituzione delle Congregazioni di carità accentuò quindi il localismo del sistema sanitario che già assegnava alle amministrazioni locali un ruolo fondamentale di controllo e di gestione.

Le Opere Pie furono poi oggetto di riforma ad opera della Legge n. 6972/1890 (cd. Legge Crispi), pietra miliare dell’assistenza sanitaria, che disciplinò e sottopose al controllo statale ogni ente con finalità assistenziale verso gli indigenti trasformandoli in Istituzione pubbliche di assistenza e beneficienza.

I pubblici poteri, quindi, a partire dal 1890 cominciano ad essere presenti nel settore e, in base alla citata disposizione legislativa, esercitano su tali istituzioni anche l’attività di vigilanza e controllo amministrativo, per mezzo di un apposito comitato che risiede in Prefettura ed è presieduto da un Funzionario delegato dal Prefetto, il quale è responsabile, territorialmente, dell’assistenza e sanità pubblica. A livello statale si avverte, pertanto, seppur timidamente, l’esigenza di affermarsi ed introdursi nel settore assistenziale con obbiettivi universalistici ed al fine di limitare consolidati fenomeni di parzialità che le menzionate strutture presentavano, sia perché nate sotto la spinta di istituzioni private, sia perché preponderante era in esse l’interesse privato come mentalità, costume, modo di amministrare e di condurre la gestione, di operare scelte ed indirizzi programmatici ed operativi nell’intervento sanitario ed assistenziale.

In materia sanitaria ed assistenziale si chiude così definitivamente il ciclo storico, consolidatosi nei secoli in cui tutto era affidato, nella assoluta totalità, ad iniziative, attività ed interventi esclusivamente del privato e del singolo, e la salute era una questione strettamente personale senza interesse per lo Stato.

Lo Stato nazionale unitario appena costituitosi, e per esso la classe dirigente al potere, non era nelle possibilità culturali e politiche di ideare un progetto riformatore solido e definitivo, ma finalmente avvertiva il problema della sanità come una questione da affrontarsi su base statale. L’avvertito bisogno di affermare la propria presenza nell’assistenza sanitaria era altresì accresciuto da motivazioni ideologiche, di unificazione del tessuto sociale e di avvio del processo di laicizzazione di un settore in cui da sempre avevano operato istituzioni non statali.

Lo Stato giunge quindi a qualificare, per la prima volta, come attività di pubblico interesse il soccorso ai bisognosi ed agli indigenti.

All’articolo 1 la Legge formalmente dispone che “sono istituzioni pubbliche di

assistenza e beneficenza soggette alla presente Legge, le Opere Pie ed ogni altro ente morale che abbia in tutto od in parte per fine: a) di prestare assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità che di malattia; b) procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento e qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo, il miglioramento morale ed economico”.

Per ciò che riguarda i meccanismi interni di organizzazione e gestione, la Legge del 1980 fa esplicito richiamo alle tavole di fondazione ed agli statuti regolarmente approvati. Tale prima fonte normativa delinea una situazione di fatto per cui l’assistenza ai bisognosi viene erogata quasi esclusivamente da strutture di antica origine, per lo più religiose e private, aventi un nucleo di interessi di autonomia amministrativa nei confronti dello Stato.

La beneficenza viene ad essere distinta in pubblica e privata. La beneficienza pubblica si differenzia per il concorso di due elementi: l’uno soggettivo, nel senso che la pubblica beneficienza non può essere esercitata se non da persone giuridiche: fondazioni o

associazioni. Il secondo elemento, oggettivo, consiste nella “generalità” dei destinatari52

. L’articolo 2 della Legge del 1980 esclude, infatti, che le fondazioni destinate a vantaggio di una o più famiglie determinate possano costituire istituzioni pubbliche di beneficenza. Beneficenza legale e beneficenza istituzionale si riferiscono soltanto alla beneficenza pubblica, trovando il proprio fondamento nella diversa fonte dalla quale la beneficenza è regolata: la Legge o l’autonomia dei singoli enti. La beneficenza legale è quella che deve uniformemente svolgersi in tutto il territorio dello Stato; essa appartiene allo Stato, alle province, ai Comuni. È istituzionale, invece, la beneficenza, impropriamente detta facoltativa, retta dagli statuti e dai regolamenti particolari dei singoli enti. Sostanzialmente, quindi, mentre la beneficenza legale rappresenta un sacrificio imposto ai contribuenti a favore dei poveri, la beneficenza istituzionale è l’effetto di atti di liberalità, spontanei e volontari, essendo propria di istituzioni che basano le loro finanze esclusivamente sulle rendite dei beni donati dai fondatori. Considerando in particolare la beneficenza istituzionale, è da rilevare che, oltre ad una precedenza storica, detta modalità di fare beneficienza ha anche una precedenza logica rispetto ad altre forme. La beneficenza legale, infatti, è episodica e sussidiaria, nel senso che interviene solo quando manca o è insufficiente l’azione degli enti istituzionali.

Le istituzioni di beneficienza traggono, in genere, la loro origine dal c.d. negozio di fondazione. Tale atto, che può essere formalmente un testamento o un atto di liberalità tra vivi, contiene l’espressione della volontà del fondatore in ordine ai fini, ai mezzi di azione, ed all’organizzazione dell’erigenda istituzione. Quest’ultima parte del negozio costituisce le tavole di fondazione del nuovo ente. In base ad esse viene successivamente predisposto lo statuto, complesso di norme destinate a regolare nei particolari la vita e l’ordinamento della istituzione, approvato con lo stesso decreto con il quale l’istituzione è pubblicamente riconosciuta.

Appare comunque ancora lontana l’idea di una salute concepita come fondamentale valore sociale ed economico che lo Stato si impegna a tutelare. La salute rappresenta infatti una mera condizione personale, tutelabile principalmente ad opera dell’iniziativa                                                                                                                

privata. Lo Stato, quantomeno, riconosce la necessità che vengano assicurati interventi di sostegno allorché la salute è stata compromessa.

Lo spirito riformatore della Legge Crispi fu poi confermato con il primo testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R. D. 1 agosto 1907, n. 603 il quale cosi occupò di coordinare tutti i provvedimenti che erano stati adottati sino alla sua emanazione.

Negli anni Venti si assistette poi a mirati interventi dedicati a categorie specifiche, si ricordano a titolo esemplificativo le disposizioni in materia di maternità e per l’infanzia53

e la ridefinizione dell’ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonato o esposti all’abbandono54

.

Nel 1938 fu poi emanato il Regio Decreto n. 1631 (cd. Legge Petragnani) che dettava norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario degli ospedali. La citata Legge ebbe una importanza fondamentale in quanto costituì il primo provvedimento mediante il quale si definirono le norme per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario e la conseguente definizione del ruolo del direttore sanitario.

Perdura però ancora una struttura assistenziale legale, strettamente collegata allo stato, ed una struttura istituzionale regolata da statuti, tavole di fondazione e regolamenti particolari di singole istituzioni, che traggono il loro finanziamento in gran parte dalle rendite dei beni donati dai fondatori. Ciò sino alla crisi finanziaria intervenuta in quegli anni e che coinvolse anche il settore dell’assistenza sanitaria e comportò un rafforzamento ed un accentramento (coadiuvato dalla presenza del regime fascista) dell’articolazione dei servizi sanitari.

In questi anni furono infatti istituiti enti con precisi compiti previdenziali e sanitari, tra i quali l’INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), l’INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale), e l’ENPAS (Ente nazionale di assistenza e previdenza per i dipendenti statali).

                                                                                                                53 R.D.L. 15 aprile 1926 n. 718

Nel 1945 venne poi costituito55

l’Alto commissariato per l’igiene e la sanità pubblica (ACISP, anche noto con la sigla di ACIS56) che, lavorando alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gestiva compiti di tutela della salute pubblica e di coordinamento e di vigilanza tecnica sulle organizzazioni sanitarie, quali la Croce Rossa e l’ONMI (Opera Nazionale per la tutela della maternità e dell’infanzia).

Più specificamente, esso si occupava della “tutela della sanità pubblica, il

coordinamento e la vigilanza tecnica sulle organizzazioni sanitarie e sugli enti che hanno lo scopo di prevenire e combattere le malattie sociali”.

Il sistema risultava quindi così strutturato57

:

− a livello centrale vi era il Ministero dell’Interno supportato dalla Direzione generale della sanità e dal Consiglio superiore di sanità che avevano la responsabilità generale della tutela della salute pubblica nonché funzioni di controllo degli organi periferici provinciali e comunali;

− il Prefetto che, a livello provinciale, operava di concerto con il medico provinciale in via integrativa all’attività dei Comuni;

− da ultimo, a livello comunale, vi era il Sindaco che era la figura autoritaria di riferimento per il territorio comunale.

Al sistema sopra delineato andava ad aggiungersi la rete degli ospedali costituiti sotto forma di Istituti pubblici di assistenza e beneficienza.