3. Le componenti del welfare: i modelli di assistenza sanitaria
3.2. I sette modelli
Innovativa è anche la recente categorizzazione proposta da Toth 48
il quale evade dalla dicotomia classica Bismarck/Beveridge - occupazionale/universalistico proponendo una
47 S.Y.LEE,C.B.CHUN,Y.G.LEE E N.K.SEO, The National Health Insurance system as one type of new
typology: The case of South Korea and Taiwan in Health policy, 85, 2008
48 F.TOTH, Non solo Bismarck contro Beveridge: sette modelli di sistema sanitario in Rivista Italiana di
classificazione su sette distinti modelli che corrispondono ad altrettante modalità di finanziamento ed erogazione delle prestazioni.
Il primo modello corrisponde a quello del mercato diretto ove providers e fruitori di servizi sanitari interagiscono tra loro in modo diretto, senza quindi la mediazione di soggetti terzi. I fornitori fissano liberamente il prezzo delle proprie prestazioni. Gli utenti sono liberi di individuare il fornitore di servizi di proprio gradimento e ogni volta che usufruiscono di una prestazione corrispondono il relativo prezzo direttamente al fornitore, pagando direttamente. In un sistema di questo genere, il ruolo dello Stato si limita alla regolazione dei fornitori. Un vantaggio di tale modello è dettato dalla carenza di incentivi a richiedere prestazioni non necessarie; dall’altro lato però un modello così strutturato comporta un impatto economico rilevante esclusivamente sulle persone malate.
Il secondo modello è quello dell’assicurazione volontaria. In tale sistema, i cittadini non hanno alcun obbligo di assicurarsi; ogni cittadino rimane fondamentalmente libero di scegliere se acquistare o meno una copertura. Coloro che decidono di tutelarsi possono scegliere tra una pluralità di assicuratori privati, in competizione tra loro. I soggetti assicuratori possono consistere in compagnie d’assicurazione for profit, oppure enti e fondi senza fini di lucro. In un sistema di assicurazione volontaria, lo Stato deve regolare e sorvegliare non soltanto i fornitori, ma anche le compagnie di assicurazione, per evitare che queste ultime tengano condotte opportunistiche a scapito degli assicurati. La legislazione può inoltre prevedere incentivi fiscali o monetari per chi si assicura, o – al contrario – penalità per chi, pur avendone le possibilità economiche, decide di non assicurarsi. Anche in tale modello si ripropone il problema delle fasce più povere della popolazione: coloro che non sono in grado di sostenere il costo di una copertura privata sono evidentemente discriminati. Un ulteriore problema che la logica assicurativa può sollevare (e che il mercato diretto dovrebbe al contrario scoraggiare) è il cosiddetto azzardo morale: non pagando le prestazioni in rapporto all’effettivo consumo, gli utenti possono essere tentati di richiedere anche prestazioni non necessarie o a cui avrebbero rinunciato se le avessero dovute pagare a prezzo pieno.
Il terzo modello si struttura sulla assicurazione sociale di malattia (cd. modello bismarckiano di tipo occupazionale) e si basa sul principio per cui lo Stato obbliga alcune categorie di lavoratori a versare una parte del proprio stipendio a una cassa di malattia. Il modello ha quindi l’effetto di dividere la popolazione in due gruppi, cui viene riconosciuto un diverso grado di libertà. Da una parte vi sono coloro che, in quanto appartenenti ad alcune categorie professionali, devono obbligatoriamente versare i contributi: costoro non possono scegliere se iscriversi o meno al sistema mutualistico, sono costretti a farlo. Dall’altra parte vi sono invece coloro per cui non è previsto alcun obbligo; costoro possono, se lo desiderano, sottoscrivere una copertura volontaria, oppure acquistare le prestazioni sanitarie in regime di mercato.
Nei paesi in cui prevale o il modello dell’assicurazione volontaria oppure l’assicurazione sociale di malattia sono spesso presenti programmi di tipo residuale (evidente il richiamo a R. Titmuss) finanziati dalla fiscalità generale e destinati a particolari target della popolazione, specificatamente le categorie più deboli ed esposte ai rischi di malattia. Un aspetto fondamentale differenzia i programmi residuali dagli altri modelli di finanziamento: in tutti gli altri sistemi chi paga si guadagna il diritto di beneficiare del programma che sta finanziando. Nei programmi residuali questo non è necessariamente vero: la platea dei beneficiari coincide solo in parte (o può non coincidere affatto) con coloro che finanziano tali programmi. Per quanto riguarda il rapporto con i fornitori, i programmi residuali possono essere di due tipi. Nella maggior parte dei casi, lo Stato svolge solo il ruolo di assicuratore, finanziando quindi fornitori esterni. Sebbene meno frequente, esiste un secondo tipo di programma residuale: esso prevede che il programma pubblico disponga di proprio personale e di proprie strutture sanitarie, tramite le quali è in grado di fornire direttamente ai propri assistiti le cure di cui essi necessitano. Lo Stato, quindi, è soggetto al triplice compito di individuare le categorie meritevoli di particolare tutela, finanziare i programmi residuali, e - in alcuni casi - erogare direttamente le cure.
Il quinto regime preso in considerazione è quello dell’assicurazione nazionale obbligatoria. A tutti coloro che risiedono nel paese corre quindi l’obbligo di provvedere,
con mezzi propri, all’acquisto di un’assicurazione che copra le cure sanitarie ritenute essenziali. Non esiste un unico schema pubblico cui versare i contributi: la polizza deve essere acquistata presso una pluralità di soggetti assicuratori, tra cui i cittadini possono scegliere. Gli assicuratori possono essere compagnie d’assicurazione for profit oppure casse e mutue senza fini di lucro. Una volta obbligati tutti i residenti a procurarsi una copertura assicurativa, lo Stato può prevedere sussidi economici per i cittadini a basso reddito (che potrebbero altrimenti avere difficoltà a pagare regolarmente i premi assicurativi), e può imporre una regolazione, anche molto rigida, del mercato assicurativo.
Successivamente, rileva il sistema universalistico single-payer ove lo Stato si limita a finanziare le cure sanitarie, che vengono poi erogate da providers esterni. Tale sistema consiste infatti in uno schema assicurativo unico per l’intera popolazione, finanziato dalla fiscalità generale e inteso a garantire le cure sanitarie ritenute essenziali a tutti i residenti. Rispetto agli altri schemi assicurativi, il sistema universalistico di questo tipo si distingue per il fatto che il diritto all’assistenza sanitaria non è legato al regolare versamento dei contributi o di un premio assicurativo, ma alla residenza in un determinato paese. L’assistenza sanitaria diventa perciò un diritto di cittadinanza. Le cure possono essere erogate gratuitamente oppure a fronte di una compartecipazione economica (solitamente di ridotta entità) a carico del paziente. A differenza del modello dell’assicurazione sociale di malattia vengono qui tassati non solo i redditi da lavoro, ma tutte le forme di reddito. Il finanziamento dello schema universalistico ha perciò un chiaro intento redistributivo: i soggetti più benestanti finiscono per pagare, almeno in parte, l’assistenza sanitaria ai meno abbienti.
L’ultimo modello è quello in cui si riscontra la presenza di un servizio sanitario nazionale sovvenzionato dal gettito fiscale e che copre l’intera popolazione, garantendo a tutti i residenti le cure sanitarie ritenute essenziali. A differenza del modello precedente, il servizio sanitario nazionale ha però la particolarità di erogare in prima persona le cure sanitarie ai propri assistiti.
4. Conclusioni
Tutte le analisi sopra riportate, portano a concludere che non esiste una coerenza fra la classificazione dei sistemi di welfare (da considerarsi come sovra-sistemi rispetto ai sistemi sanitari) e le caratteristiche assunte dai sistemi sanitari nazionali. Le politiche di welfare hanno dato origine a sistemi differenziati, non necessariamente espressione dei regimi politici entro i quali si sono sviluppate. Le forme assunte rispecchiano la complessità delle dinamiche che influenzano lo sviluppo dei sottosistemi che a loro volta presidiano la formazione delle politiche pubbliche. In particolare, le variabili che incidono su tali processi possono essere ascritte, oltre e in relazione dinamica con i regimi politici, a: la centralità o il decentramento dei processi decisionali; la multidimensionalità dei problemi affrontati; l’incidenza e le caratteristiche delle tecnologie e dei saperi (vale a dire l’importanza delle competenze specialistiche messe in gioco per affrontare i rischi sociali su cui insistono le politiche); il periodo storico di sviluppo dei singoli sistemi e i riferimenti politico–culturali che lo caratterizzano; il tipo di attori coinvolti ed i loro processi di negoziazione (corporativismo), la loro forza contrattuale, i loro valori di riferimento nonché la loro capacità di influenzare i processi decisionali.
CAPITOLO II