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Con riferimento ai requisiti formali, l’accettazione degli arbitri è regolata

dall’art. 813, primo comma, c.p.c., secondo cui essa “deve essere data per iscritto e può

risultare dalla sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione”. Il

suo precedente storico risiede nell’art. 13 c.p.c. del 1865, il quale disponeva che

“l’accettazione degli arbitri deve essere fatta per iscritto” e che risultava sufficiente a

questo effetto “la sottoscrizione dei medesimi all’atto di nomina”.

Le questioni che si agitano sulla norma vigente sono simili a quelle che si

dibattevano durante la vigenza del codice del 1865

271

. La dottrina più risalente

272

,

infatti, nonostante la mancanza di un’espressa sanzione di nullità per l’ipotesi di

accettazione resa in forma non scritta, era orientata a ritenere nulla l’accettazione in

forma diversa da quella prescritta dalla norma, anche se non reputava necessaria una

forma speciale. In altri termini, si individuava nella disposizione un requisito di forma

ad substantiam, attraverso il rinvio alla forma richiesta per l’accordo arbitrale.

Relativamente al profilo in esame, parte della dottrina più recente tende ad

escludere che la questione relativa alla forma dell’accettazione possa essere risolta

rinviando alle norme di cui agli artt. 807-808 c.p.c.

273

Accordo compromissorio e

contratto di arbitrato, secondo tale tesi, pur rappresentando due momenti strettamente

legati tra loro, hanno funzioni diverse e si riferiscono a contratti distinti sia sotto il

profilo soggettivo, che sotto il profilo oggettivo; il momento dell’accettazione resta

quindi esterno ed autonomo, rispetto al contratto di deroga, alla competenza del giudice

ordinario

274

.

271 Per un’ampia ricostruzione del dibattito, v. A. DIMUNDO, Il mandato ad arbitrare. La capacità degli

arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 488.

272 L. BARBARESCHI, Gli arbitrati, cit., p. 100; E. CODOVILLA, Del compromesso e del giudizio

arbitrale, cit., p. 1249 ss.

273 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),

Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 250.

274 G. RUFFINI, Sub art. 813, in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, II, Milano, 2007, p. 5801; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 397; L. DITTRICH, Legge

5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 56; A. BRIGUGLIO, in

BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 71. In giurisprudenza v., Cass., 9 marzo 1982, n. 1519, in Mass. Foro it., 1982, c. 315, che ne ricava l’affermazione secondo cui chi eccepisce l’incompetenza del giudice ordinario non deve dare nessuna prova dell’accettazione dell’arbitro.

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

67

Basandosi su tali premesse, la citata dottrina esclude la necessità di una forma

solenne

275

, ritenendo che, secondo la disciplina attualmente vigente, la forma scritta sia

richiesta solo ad probationem

276

e forse solo con riferimento al rapporto intercorrente

fra le parti e gli arbitri, dovendosi invece, la mancanza della forma scritta, configurare

rispetto al procedimento come una mera irregolarità “sempre sanabile ad opera degli

arbitri e senza conseguenze sul decorso del termine”

277

.

Altra parte della dottrina, invece, non ritiene tale ricostruzione convincente e

persuasiva, osservando che l’art. 813 c.p.c. prescriva uno specifico requisito formale, a

pena di nullità

278

: la dichiarazione degli arbitri, con cui manifestare il proprio consenso

per l’accettazione dell’incarico, deve esprimersi in forma scritta.

Patendo dalla lettera dell’art. 1325 c.c. (che, nell’indicare i requisiti del

contratto, menziona bensì la forma, ma solo “quando risulta che è prescritta dalla legge

sotto pena di nullità), è possibile distinguere due classi di negozi: l’una composta da tre

requisiti – accordo, causa, oggetto; l’altra, da quattro – accordo, causa, oggetto e

forma

279

. Nella prima ipotesi (c.d. “fattispecie debole”), il profilo formale non ha alcuna

275 S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1959, p. 265, l’autore ritiene che per “l’accettazione non occorrano formule rigorose”, ma che basti la redazione di un verbale in cui si dia atto della nomina degli arbitri e questi appongano la firma; ritiene inoltre legittimo che essa avvenga in un momento successivo all’inizio delle operazioni arbitrali, con efficacia di ratifica. In giurisprudenza v., Cass., 29 agosto 1997, n. 8177, in Rep. Foro. it., 1997, voce Arbitrato, n. 176.

276 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 138, secondo l’autore, “non si deve confondere questo requisito con quello analogo previsto per la convenzione di arbitrato dagli artt. 807, primo comma, e 808, primo comma, c.p.c. Abbiamo, infatti, già posto in rilievo che la nomina degli arbitri è indipendente dal negozio compromissorio ed è legata a quest’ultimo da un mero vincolo strumentale. Ciò ci induce a ritenere che si tratti di requisito formale non previsto a pena di nullità, ma posto in funzione di determinare con certezza il dies a quo del termine per la decisione”; C. PUNZI, Disegno sistematico

dell’arbitrato, cit., p. 398; L. DITTRICH, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di

TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 55 ss.

277 L. DITTRICH, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina

dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., p. 59, secondo il

quale così si eviterebbe di favorire ingiustamente gli arbitri cui non è stato imposto un termine.

278 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 181-182; C. CECCHELLA,

L’arbitrato, cit., p. 115; S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; M. ORLANDI, Arbitri, in AA. VV., Dizionario dell’arbitrato, cit., p. 150; già in precedenza, S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 265; G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 322, per il quale

l’accettazione deve essere precedente all’inizio del procedimento pena la sua “assoluta nullità o meglio inesistenza” (p. 325). In senso conforme v. V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 811, l’autore, in particolare, conclude ammettendo la possibilità che la nullità possa essere sanata dalla sottoscrizione del lodo, per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. (p. 812). In giurisprudenza v., Cass., 22 febbraio 1961, n. 409, in Giur. it., I, 1, c. 741, con nota contraria di CORMIO, Brevi note in

tema di accettazione degli arbitri.

279

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

68

rilevanza per il diritto; nella seconda (c.d. “fattispecie forte”), invece, il negozio, privo

del requisito formale prescritto dalla legge, non potrà considerarsi validamente

compiuto, essendo la forma, al pari di causa ed oggetto, un elemento essenziale della

fattispecie negoziale

280

.

Secondo tale orientamento, il problema dell’accertamento di negozio “debole”

non si risolve attraverso un’indagine sulla forma, che in tal caso non è considerata dal

diritto, bensì sull’accordo, o più precisamente, sul modo in cui l’accordo si manifesta e

si rende percepibile

281

. “Altro è la necessità dell’esternare – necessità, implicita in

qualunque tipo di accordo; altro, la necessità giuridica della forma, che emerge soltanto

nei contratti a struttura forte”

282

. Ne deriva il seguente corollario: se la forma è, nelle

fattispecie forti, elemento essenziale, requisito di rilevanza dell’atto, allora essa dovrà

sempre considerarsi prescritta a pena di nullità

283

.

La tesi in esame si ricollega quindi non alla distinzione tra negozi a forma libera

o vincolata, ma a quella tra negozi formali

284

– e negozi amorfi – per i quali sarà

sufficiente la presenza di accordo, causa ed oggetto.

Il contratto di arbitrato dunque è fattispecie a struttura forte

285

, cioè, un negozio

formale, in relazione al quale la forma scritta è richiesta in modo inderogabile

286

.

Pertanto, l’inosservanza della forma scritta determinerà l’invalidità del negozio,

un’accettazione orale, o per fatti concludenti, sarebbe nulla

287

.

280 N. IRTI, Strutture forti e strutture deboli, in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 145, secondo l’autore: “Le due strutture sono autonome e complete. Ciascuna vive in base alla propria legge di composizione. Quando il singolo e concreto contratto è chiamato a soddisfare una struttura debole […] qui non vi è un problema giuridico di forma. Quando, invece, la descrizione legislativa è forte […] qui (e soltanto qui) vi è un problema giuridico di forma”.

281 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 181.

282

N. IRTI, Strutture forti e strutture deboli, in Studi sul formalismo negoziale, cit., p. 146.

283 Sul punto v. G. OSTI, voce Forma (negli atti), in Diz. pr. dir. priv., III, I, Milano, 1923, p. 207, secondo il quale: “L’interpretazione più naturale di una disposizione relativa alla forma di un negozio porti a considerare tale forma come essenziale”.

284

E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 280.

285 M. ORLANDI, voce Accettazione, in Diz. dell’arbitrato, cit., p. 150.

286 G. SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, cit., p. 321-322, il quale trae a sostegno della tesi un argomento di natura letterale: “L’art. 813 c.p.c. stabilisce che l’accettazione “deve” essere data per iscritto. Ora, il verbo dovere implica, per se stesso, un obbligo, obbligo che assume il suo valore pieno quando dettato dalla legge e che si spiega con una semplicissima considerazione. Se la forma scritta non fosse richiesta in modo inderogabile, non si vede perché il legislatore si sarebbe dato la pena di dettare una norma ad hoc”.

287 Su questa linea G. DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomia privata, cit., p. 427, ove espressamente si afferma l’inderogabilità dell’art. 813 c.p.c.

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

69

Tuttavia, qualunque sia la soluzione accolta circa il rilievo della forma richiesta

per l’accettazione, non si può negare che, in concreto, le conseguenze non siano molto

differenti

288

.

E’ evidente, infatti, che, da un lato, il presupposto necessario è l’impugnazione

del lodo ex art. 829, n. 2, c.p.c., che richiede la preventiva eccezione di parte nel corso

del processo arbitrale

289

, dall’altro, nel normale svolgimento della procedura, a

cominciare dal verbale di costituzione, vi sono diverse occasioni in cui viene emanato

un documento nel quale è facile identificare un’accettazione.

Non bisogna dimenticare, infatti, che punto centrale della discussione non è

l’eventuale assenza dell’accettazione, ma il modo in cui l’accettazione si sia

formalizzata

290

. Nell’ipotesi di sostanziale mancanza dell’accettazione da parte

dell’arbitro ci troveremmo dinanzi ad una totale nullità-inesistenza dell’investitura, che

non è immaginabile là dove lo svolgimento della procedura sia palese manifestazione

quanto meno di un’accettazione tacita

291

.

288

C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),

Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 251.

289 E come precisato da V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 812, in un brano spesso richiamato dalla dottrina, “[..] di fronte alla quale eccezione, gli arbitri, sollecitati dal pericolo di più non conseguire gli onorari, si affretteranno a sottoscrivere in bella e debita forma”.

290 L. DITTRICH, Legge 5 gennaio 1994 n. 25. Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina

dell’arbitrato internazionale, Commentario a cura di TARZIA-LUZZATTO-RICCI, cit., nota 6, p. 56.

291 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

70

Sezione II

SOMMARIO: 1. La natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo. – 2. Le obbligazioni ad attuazione congiunta: species del genus obbligazioni indivisibili. – 3. La responsabilità dell’arbitro “per fatto proprio”. – 4. La tipicità dei motivi di responsabilità degli arbitri. – 5. (Segue): obblighi degli arbitri. – 6. Condizioni di esercizio dell’azione di responsabilità. Sanzioni.

1. La natura indivisibile dell’obbligazione di rendere il lodo.

L’obbligo principale degli arbitri, derivante dal perfezionarsi del contratto di

arbitrato, è quello di pronunciare il lodo entro un certo termine

292

. Su tale assunto

sembra basarsi la disciplina concernente le responsabilità e i diritti degli arbitri, di cui,

rispettivamente, agli artt. 813-ter e 814 c.p.c.

Secondo l’opinione di attenta dottrina, la confezione del lodo rappresenterebbe

un’obbligazione di natura indivisibile: i membri dell’organo giudicante sono obbligati,

nei confronti delle parti compromittenti, ad eseguire una prestazione indivisibile

293

. In

proposito, si precisa che dall’indivisibilità della prestazione arbitrale discendono

conseguenze significative in tema di responsabilità degli arbitri.

Infatti, diretta conseguenza della natura indivisibile dell’obbligazione di rendere

il lodo, è il corollario del vincolo solidale: gli arbitri, vincolati congiuntamente

all’esecuzione della prestazione, sarebbero titolari di un’obbligazione in solido verso le

292 G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, cit., p. 141, l’autore chiaramente parla di un’obbligazione principale, quella di rendere il lodo, e di obbligazioni implicite o strumentali: “L’obbligo degli arbitri è quello di rendere il lodo nel termine stabilito dalle parti o dalla legge. Implicite in tale obbligo sono prestazioni strumentali, quali quelle di non rinunciare all’incarico senza giustificato motivo o non omettere o ritardare il compimento di atti relativi alle loro funzioni (arg. ex art. 813, secondo e terzo comma, c.p.c.)”; A. STESURI, Gli arbitri. Mandato, responsabilità e funzioni, Milano, 2001, p. 129, secondo l’autore: “Con l’accettazione dell’incarico, gli arbitri si impegnano a compiere quel complesso di attività di indagine e di studio, giuridico ed intellettuale, che attraverso la loro scienza e conoscenza li porta alla formulazione del lodo. L’obbligo principale degli arbitri è quindi quello di pronunciare il lodo entro il termine previsto dalla legge o dalle parti”; A. DIMUNDO, Il mandato ad arbitrare. La capacità

degli arbitri. La responsabilità degli arbitri, in AA. VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, cit., p. 497; A. BRIGUGLIO, in

BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., p. 73.

293 V. ANDRIOLI, Commento del codice di procedura civile, cit., p. 816. Così, anche, G. MIRABELLI,

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

71

parti

294

. Quindi, nel caso in cui l’impossibilità di pronunciare la decisione della

controversia, nei termini previsti, sia dovuta al fatto di un arbitro, anche gli altri membri

dell’organo arbitrale sarebbero responsabili nei confronti dei litiganti.

Dalla lettera dell’art. 813-ter, ultimo comma, c.p.c., che stabilisce che “ciascun

arbitro risponde del fatto proprio”, sembra evincersi il non accoglimento, da parte del

legislatore, dell’idea incentrata sulla natura indivisibile della prestazione gravante sui

membri del collegio arbitrale. Tale ricostruzione interpretativa avrebbe un’utilità

parziale, in quanto non coglie tutti i profili propri del concetto di indivisibilità; ma si

limita ad estendere a tale categoria, attraverso il richiamo dell’art. 1317 c.c., la

disciplina della solidarietà

295

.

In proposito, si rende necessario chiarire e precisare il concetto di indivisibilità.

Secondo l’art. 1316 c.c., l’obbligazione è indivisibile “quando la prestazione ha

per oggetto una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il

modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti”.

La dottrina tradizionale ha osservato che divisibilità o indivisibilità

dell’obbligazione vanno identificate nella divisibilità o indivisibilità dell’oggetto della

prestazione, cioè della cosa o del fatto dovuto

296

. Il riferimento all’oggetto della

prestazione consente di individuare l’elemento maggiormente rilevante, ai fini del

predicato di indivisibilità, non nel comportamento dovuto, bensì nell’oggetto cui si

rivolge il comportamento stesso. In proposito, viene in rilievo la distinzione tra

contenuto e oggetto della prestazione: con l’uno si individua (in senso stretto) il

comportamento obbligatorio; con l’altro si intende (in senso stretto) il risultato da

realizzare, ossia l’oggetto del diritto di credito

297

.

294 C. GIOVANNUCCI ORLANDI, Accettazione e obblighi degli arbitri, in CARPI, (a cura di),

Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 272;

C. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., p. 122; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 305.

295 S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 185.

296 R. CICALA, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, in Noviss. dig. it., XI, s.d., Torino, p. 636, secondo l’autore: “Divisibilità e indivisibilità dell’oggetto della prestazione sono – per le norme da cui vanno desunte le nozioni di divisibilità e d’indivisibilità delle cose e per la loro estensibilità ai fatti – la possibilità e l’impossibilità di frazionamento dell’oggetto stesso, cioè della cosa o del fatto, in parti”. Sul punto v., anche, M. GIORGIANNI, voce Obbligazione solidale e parziaria, in Noviss. dig. it., XI, Torino, s.d., p. 675.

297 L. MENGONI, L’oggetto dell’obbligazione, in Jus, 1952, p. 177, nota 2. Sul punto v., anche, R. CICALA, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., p. 638, secondo l’autore, “l’oggetto della prestazione, cosa o fatto, è ciò a cui tende l’interesse del creditore, è il bene (in senso lato) che soddisfa quell’interesse, mentre la prestazione, contenuto dell’obbligo, è il mezzo che (normalmente) consente il

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

72

La natura indivisibile dell’obbligazione ricorre ogni qualvolta il relativo oggetto

sia impossibile da frazionare o dividere in parti, dotate di esistenza autonoma ed idonee

a soddisfare parzialmente il creditore

298

. Pertanto, l’indivisibilità dell’obbligazione, in

virtù di tali peculiari caratteristiche del suo oggetto, implica necessariamente che

l’adempimento venga realizzato in un’unica soluzione; in altri termini, l’interesse

creditorio risiede nell’adempimento dell’intero.

L’art. 1317 c.c., nell’individuare la disciplina applicabile alle obbligazioni

indivisibili, richiama, nei limiti della compatibilità, le norme concernenti le obbligazioni

solidali

299

.

La prevalente dottrina ha individuato l’elemento distintivo delle due categorie di

obbligazioni nel seguente criterio: il predicato dell’indivisibilità riguarda l’essenza della

prestazione dovuta; il profilo della solidarietà, invece, si ricollega alle modalità attuative

del rapporto

300

. Nel primo caso, viene in rilievo una peculiarità specifica della

prestazione; nel secondo, il vincolo che lega i debitori ai fini dell’adempimento.

Nonostante il rinvio legislativo di cui all’art. 1317 c.c., il concetto di

indivisibilità non può essere sovrapposto o confuso con quello di solidarietà; si tratta,

infatti, di figure distinte che esprimono esigenze differenti

301

. In proposito, si sottolinea

come un ulteriore profilo di distinzione tra indivisibilità e solidarietà vada riconosciuto

non nel diverso “carattere” di esse, bensì nei diversi referenti materiali dell'obbligo di

conseguimento del bene e perciò la realizzazione dell’interesse”. In termini diversi E. BETTI, Teoria

generale delle obbligazioni, I. Prelegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti di obbligazione,

Milano, 1953, p. 39: “Nella prestazione si può distinguere un momento soggettivo, che attiene al contegno di cooperazione richiesto dal debitore, ed un momento oggettivo che attiene alla utilità che la prestazione è chiamata ad apportare al creditore”.

298 R. CICALA, voce Obbligazione divisibile e indivisibile, cit., p. 647: “Non essendo possibile che le porzioni del fatto vengano ad esistenza nello stesso tempo e mancando, perciò, quel presupposto della divisibilità che è la contemporaneità delle parti, si deve senz’altro concludere per l’indivisibilità”.

299 A. DI MAJO, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 304, l’autore sottolinea come “sul rapporto tra obbligazione solidale e obbligazione indivisibile non regna assoluta chiarezza”, in virtù “anche di un certo ermetismo legislativo che si è limitato ad estendere alle obbligazioni indivisibili le norme relative a quelle solidali, in quanto applicabili (art. 1317 c.c.)”.

300 F. D. BUSNELLI, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 340, secondo l’autore: “[…] le due figure in questione non debbono porsi sullo stesso piano di valutazione (per ricercarne gli eventuali elementi di contrapposizione), ma vanno ricollegate a due distinti ordini di valutazione delle obbligazioni soggettivamente complesse: il primo, avente come punto di riferimento la natura della prestazione; il secondo, avente come punto di riferimento il modo di attuazione del rapporto”; cfr., pure, ID., L’obbligazione soggettivamente complessa (profili sistematici), Milano, 1974; D. RUBINO, Delle obbligazioni (obbligazioni alternative - obbligazioni in solido - obbligazioni

divisibili e indivisibili), in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1963, p. 354.

301

Struttura del contratto di arbitrato: il rapporto parti-arbitri

73

adempiere “per la totalità”

302

. Nell’obbligazione indivisibile, tale obbligo trova il suo

referente nella natura intrinseca della prestazione, nell'obbligazione solidale, per

contrapposto, quel referente va ricercato nel particolare modo di disporsi dei vari

interessi debitorii e creditorii. Sicché saranno pur sempre questi diversi referenti

(economico-materiali) a dare ragione e spiegazione della diversa “forma” di solidarietà

rispetto a quella di indivisibilità

303

.

L’importanza, che la disciplina della solidarietà riveste per le obbligazioni

indivisibili, si fonda sulla presenza di una pluralità di debitori: viene, pertanto, in rilievo

il concetto di obbligazione soggettivamente complessa. Tale categoria ricorre quando

nel rapporto obbligatorio intervengono più debitori (o, come si dice, una pluralità di

debitori) e/o più creditori (o una pluralità di creditori)

304

. La solidarietà rappresenta la

302 A. DI MAJO, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, cit., p. 304-305.

303 A. DI MAJO, voce Obbligazioni solidali e indivisibili, cit., p. 305, l’autore sviluppa anche una riflessione che guarda al rapporto solidarietà-indivisibilità da una visuale più ampia e generale: “Mentre infatti il vincolo di solidarietà tende a porsi come forma di mediazione più complessiva di un conflitto di interessi che non riguarda soltanto l’oggetto della prestazione, il principio di indivisibilità è massimamente espressione di esigenza che si puntualizza in ordine a tale oggetto”.

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