In contrapposizione alla teoria del mandato, si collocano i sostenitori della tesi
che qualifica il rapporto parti-arbitri in termini di contratto di prestazione d’opera
intellettuale
131.
La dottrina più risalente
132aveva già individuato, nel rapporto in esame, la
sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge per la figura della locatio operis: gli
arbitri, in virtù dell’incarico ad essi conferito, si obbligano ad esercitare un’attività
materiale, quale risultante di una “somma di (plurime) energie”; tuttavia, tale attività
non è dotata di autonoma rilevanza, in quanto, è un elemento strumentale al
raggiungimento di un determinato effetto: la decisione del giudizio mediante la
pronuncia del lodo. I compromettenti, dal canto loro, con il perfezionarsi del contratto
assumono l’obbligo di corrispondere un compenso agli arbitri per l’opera prestata.
Tale orientamento, secondo parte della dottrina
133, si chiarisce ulteriormente
attraverso il richiamo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di
risultato.
Nei rapporti obbligatori, in genere, l’utilità, o il risultato dovuto dal debitore,
rappresenta il bene assicurato dal diritto di credito, in cui la relazione tra soggetto attivo
e passivo è diretta al soddisfacimento della pretesa creditoria.
Tuttavia, non sempre tale interesse è direttamente dedotto in obbligazione; in
talune fattispecie, la tutela giuridica, cioè la misura del “dover avere” del creditore, è
131 Così, tra i primi, S. SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, cit., p. 17, che definiva il rapporto parti-arbitri come rapporto di diritto materiale – il “receptum” – analogo ad altre figure pacificamente riconosciute, e in genere, alla locatio operis. Sul punto v., anche, S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e
l’esperienza, cit., p. 70; E. FAZZALARI, voce Arbitrato (Teoria generale e Diritto processuale civile),
cit., p. 398.
132 Cfr. I. LA LUMIA, Sui rapporti tra compromettenti e arbitri, in Dir. comm., 1912, I, p. 329, che individua i requisiti della locatio operis nel rapporto parti-arbitri: “[…] uno dei contraenti, l’arbitro, si obbliga a prestare una somma di energie, che, però, non è da considerarsi a sé, astraendo da qualsiasi effetto, bensì è dedotta come mezzo a un effetto dato, la pronunzia del lodo, e gli altri, i compromettenti, corrispondono una mercede”.
133
Il contratto di arbitrato: ricostruzione della fattispecie e posizioni della dottrina
35
circoscritta ad un interesse strumentale, avente come scopo mediato un’attività del
debitore capace di promuovere l’interesse primario. In tali ipotesi, il fine tutelato, cioè
appunto il risultato dovuto, è solamente un mezzo nella serie teleologica che costituisce
l’interesse primario del creditore
134.
Da tale assunto deriva la distinzione tra obbligazioni di risultato, il cui
adempimento mediante la condotta dell’obbligato realizza, con piena soddisfazione, il
fine economico avuto di mira dal creditore; e obbligazioni di mezzi, ove l’attività
strumentale assume un valore di scopo, di risultato dovuto, individuando il momento
finale della prestazione obbligatoria
135. Nel primo caso, prevale l’utilità perseguita e
ottenuta dal creditore; nel secondo, invece, il comportamento tenuto dal debitore.
Secondo autorevole dottrina
136, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale,
il professionista si obbliga al compimento di una determinata opera; pertanto, ciò che
viene in rilievo è la condotta del debitore, che rappresenta il vero oggetto del contratto e
dell’obbligazione.
Il carattere di prevalenza del comportamento rispetto al risultato costituirebbe la
peculiarità tipica dell’obbligazione che grava sugli arbitri
137; quindi, ai fini
dell’adempimento, è determinante non la correttezza della decisione assunta dai
membri del collegio, ma il fatto che, attraverso lo svolgersi delle fasi procedimentali, si
addivenga alla confezione del lodo
138.
134 L. MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 188-189; ma la relatività del concetto di “risultato” era stata già posta in evidenza dal TUNC,
Distinzione delle obbligazioni di risultato e delle obbligazioni di diligenza, in Nuova Riv. dir. comm.,
1947-48, p. 129. Sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato v. anche le considerazioni di M. GIORGIANNI, L’inadempimento, Milano, 1959, p.227, secondo l’autore, tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato non si ha una differenza di qualità ma di proporzione fra il comportamento dovuto e il risultato. Il “comportamento” del debitore è sempre in obligatione e, anzi, ne costituisce l’elemento individuatore; ma anche il “risultato” è sempre necessario, indicando la direzione della prestazione verso il soddisfacimento di un interesse del creditore. Varia la proporzione dei due elementi, cosicché vi sono rapporti in cui il “comportamento” prevale rispetto al “risultato” e viceversa.
135
L. MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi (Studio critico), cit., p. 192.
136 Cfr. G. MUSOLINO, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, Padova, 1995, p. 99; F. SANTORO PASSARELLI, voce Professioni intellettuali, in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1967, p. 25: “Nelle professioni intellettuali non si può dire che il risultato si identifichi con lo stesso comportamento, ma può e deve essere tenuto distinto da questo”.
137 G. VERDE, Collegialità degli arbitri e responsabilità per inadempimento, cit., p. 256.
138 Sul punto v. S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 70; E. FAZZALARI, voce
Arbitrato (Teoria generale e Diritto processuale civile), cit., p. 398, secondo l’autore, con l’accettazione,
Il contratto di arbitrato: ricostruzione della fattispecie e posizioni della dottrina
36
Il rapporto tra decisione della controversia da parte dell’arbitro e attività
intellettuale del professionista è ricostruito come di species a genus: l’attività
dell’arbitro sarebbe un elemento del più ampio insieme “prestazione d’opera
intellettuale”
139. La correttezza di tale ipotesi interpretativa si fonda sulla necessità di
verificare se l’incarico svolto dall’arbitro contenga in sé tutti gli elementi della locatio
operis; e, in caso di esito positivo, se contenga o meno profili ulteriori.
Gli elementi costitutivi dell’attività del prestatore d’opera intellettuale sono due:
l’uno di carattere soggettivo, dovendo l’obbligazione essere adempiuta da un
professionista (art. 2229 c.c.); l’altro di carattere oggettivo, essendo la prestazione
qualificata come discrezionale ed infungibile (art. 2231 c.c.)
140.
Con riferimento al primo profilo, è evidente la differenza con la disciplina
dell’arbitrato, in quanto, il codice di procedura civile non stabilisce requisiti soggettivi
per gli arbitri e non si basa sull’elemento della professionalità per individuare coloro
che possono ricoprire l’ufficio arbitrale.
Vi è difformità anche per quanto concerne l’oggetto della prestazione: decidere
una controversia è ben diverso dal rendere una prestazione intellettuale.
In particolare, non si riscontra nell’attività dell’arbitro il carattere
dell’infungibilità
141, quale elemento decisivo
142del contratto di prestazione d’opera
intellettuale, che rende insostituibile la persona del professionista
143.
decidere la controversia; una volta investiti dell’incarico, “s’istituisce fra gli stessi e le parti una locatio
operis”.
139 In tal senso, confutando la tesi del contratto di prestazione d’opera intellettuale, v. S, MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., p. 34-35.
140 Cfr., M. TICOZZI, Autonomia contrattuale, professioni e concorrenza, Padova, 2003, p. 16; R. CAFARO, Il contratto di consulenza, Padova, 2003, p. 16, ove discrezionalità e infungibilità della
prestazione sono tratte a fondamento della distinzione tra professione intellettuale e attività d’impresa.
141 Cfr., G. MUSOLINO, L’opera intellettuale: obbligazioni e responsabilità professionali, cit., p. 82.
142
In tal senso v. L. RIVA-SANSEVERINO, Lavoro autonomo, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, II edizione, Bologna-Roma, 1969, p. 223; F. SANTORO-PASSARELLI, voce
Professioni intellettuali, cit., p. 25.
143 Usa la nota dell’infungibilità per rammentare le difficoltà incontrate, nel nostro ordinamento, dalla figura della società tra professionisti, G. AMADIO, L’esercizio associato della professione intellettuale
tra presente e futuro: le prospettive di una riforma, in Riv. dir. civ., 1990, II, p. 663. Cfr., anche, A.
BERLINGUER, Professione intellettuale, impresa e concorrenza nel dialogo diritto interno-diritto
comunitario: premesse per uno studio, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 637; G. OPPO, Antitrust e professioni intellettuali, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 123; F. GALGANO, Professioni intellettuali, impresa, società, in Contratto e impresa, 1992, p. 7. Parla di infungibilità come “aspetto saliente” della obbligazione del
professionista il GIACOBBE, voce Professioni intellettuali, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, p. 1074. Nello stesso senso v., anche, P. PERLINGIERI, Lavoro autonomo dei professionisti, principio di
Il contratto di arbitrato: ricostruzione della fattispecie e posizioni della dottrina
37
Nella disciplina dell’arbitrato, inoltre, si evince che la terzietà e l’indipendenza
rispetto ai litiganti sono requisiti indispensabili per gli arbitri, i quali non possono in
alcun modo tutelare interessi particolari di una delle parti compromittenti; ciò
rappresenta una notevole differenza con il prestatore d’opera, che per certi versi ha
sempre un legame di dipendenza dal committente, il quale può impartirgli ordini e
direttive, laddove, invece, agli arbitri non possono imporsi istruzioni sulle modalità
decisionali della controversia
144.
5. (Segue): esecuzione di prestazione d’opera intellettuale in adempimento di
un mandato.
Nel tentativo di conciliare le opposte tesi del mandato e del contratto di
prestazione d’opera intellettuale, autorevole dottrina ha elaborato una soluzione
intermedia per qualificare correttamente il contratto di arbitrato.
Sembra che non sia sufficientemente percepito come mandato e locatio operis
non siano figure eterogenee e non associabili, e come siano costantemente combinate tra
loro. Tale combinazione sarebbe visibile, sia pur vagamente, all’interno del codice
civile, in particolare, nei due capi del titolo III del V libro, in virtù del richiamo dell’art.
2222 c.c. alle disposizioni del libro IV e dell’art. 2230 c.c. alle disposizioni del capo
precedente
145.
Nelle premesse metodologiche dell’indicata dottrina, si coglie il principio
secondo cui la scelta di una figura non impedisce di richiamare e combinare con essa
144 L. BARBARESCHI, Gli arbitrati, cit., p. 102.
145 Così, E. REDENTI, voce Compromesso, cit., p. 790; R. VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del
processo civile, cit., p. 253, l’autore qualifica il rapporto parti-arbitri in termini di contratto misto di
mandato e locazione d’opera. Per un approfondimento di tale orientamento, v. C. PUNZI, Disegno
sistematico dell’arbitrato, cit., 180, l’autore “per far progredire la ricerca diretta ad individuare e
qualificare il rapporto parti-arbitri”, ricorre al concetto di “ufficio privato”; gli arbitri sarebbero, cioè, titolari di un ufficio di diritto privato, in quanto, si trovano in posizione di supremazia rispetto alle parti, di cui curano l’interesse alla definizione della controversia. Essi, inoltre, come ogni soggetto, cui la legge assegna una particolare “funzione”, vantano nei confronti dei litiganti pretese e prestazioni, obblighi e potestà. Secondo l’autore, inoltre, a fondamento di tale tesi potrebbero richiamarsi le norme del codice di procedura civile che parlano di nomina (artt. 809-811 c.p.c.) e di funzioni (art. 813-bis c.p.c.) degli arbitri, mentre “non si sono mai usati i termini di mandato, né tanto meno di procura”.
Il contratto di arbitrato: ricostruzione della fattispecie e posizioni della dottrina
38
anche altro contratto tipico. Pertanto, sarebbe proprio la natura complessa dell’attività
compiuta dagli arbitri a suggerire di associare mandato e prestazione d’opera
146.
Gli arbitri promettono l’esecuzione di una prestazione d’opera intellettuale (e
strumentalmente anche materiale), che implicherà per essi impiego di tempo ed energie,
salva la possibilità di ricevere dalle parti indicazioni ed elementi indispensabili per
l’esecuzione dell’opera pattuita, e ciò in vista del risultato finale (la decisione della
controversia con la pronuncia del lodo) che essi si obbligano a fornire entro un termine
prestabilito
147.
Il risultato dell’attività degli arbitri, però, non consiste in un “opus-cosa”, da
consegnare o da rendere disponibile alle parti, né in un “opus-servigio”, di esclusivo
contenuto economico; il risultato finale deve consistere in un atto giuridico, sebbene sui
generis
148.
Di conseguenza, è possibile giungere alla conclusione che, con l’assunzione
dell’incarico, gli arbitri si impegnano ad eseguire una prestazione di lavoro intellettuale,
che si traduce nell’adempimento di un mandato
149. Ciò implica che al rapporto
parti-arbitri si debbano applicare, come implicitamente risulta dalle disposizioni del codice di
procedura civile, le regole del contratto d’opera, concluso a scopo e ad uso di
esecuzione di un mandato.
L’esposto orientamento sembra ricollegarsi alla ricostruzione del rapporto
parti-arbitri che si fonda sulla natura congiuntiva dell’incarico
150e che si giustifica in virtù
del richiamo alla disciplina del mandato
151; dovendosi, poi, motivare il riferimento al
146 Sul punto v., anche, S. MARULLO di CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., 38.
147 E. REDENTI, voce Compromesso, cit., p. 790.
148 E. REDENTI, voce Compromesso, cit., p. 790.
149
E. REDENTI, voce Compromesso, cit., p. 790. Nello stesso senso v., anche, E. ONDEI, Natura
giuridica e conseguenze del rifiuto di esecuzione della sentenza arbitrale, in Foro it., 1960, I, c. 997,
secondo l’autore, “Che la formazione del lodo arbitrale sia una prestazione d’opera intellettuale non mi par dubbio, ma questo è un aspetto generico del contenuto del contratto di compromesso. Il contenuto specifico parmi quello del mandato con il quale le parti affidano agli arbitri la formazione di un atto giuridico (il lodo arbitrale) destinato ad avere l’efficacia della sentenza a seguito di un atto successivo dell’autorità giudiziaria”.
150 L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 58; M. AMAR, Dei
giudizi arbitrali, cit., p. 46; E. CODOVILLA, Del compromesso e del giudizio arbitrale, cit., p. 245.
151 E. REDENTI, voce Compromesso, cit., p. 790, secondo l’autore, il mandato, conferito a più soggetti obbligati ad operare insieme, sarebbe l’unica figura tipica in grado di spiegare alcune note distintive e caratterizzanti della prestazione degli arbitri: “[…] congiuntivo infatti è necessariamente il conferimento e congiuntiva è la corrispondente accettazione, congiuntivi i doveri che gli arbitri assumono […] e solo
Il contratto di arbitrato: ricostruzione della fattispecie e posizioni della dottrina
39