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La nuova previsione dell’art. 816-ter c.p.c. e la disciplina applicabile al consulente tecnico

consulente tecnico nell’arbitrato.

La lettera dell’art. 816-ter c.p.c. ha per la prima volta formalizzato nel tessuto

codicistico dedicato all’arbitrato rituale la figura della consulenza tecnica, prevedendo

espressamente, al quinto comma, che gli arbitri “possono farsi assistere da uno o più

consulenti tecnici”.

La scelta del legislatore di collocare tale disposizione nell’ambito della

disciplina dedicata all’istruzione probatoria, probabilmente, dimostra come la

consulenza tecnica, alla luce del tradizionale dibattito concernente l’individuazione

della natura e delle caratteristiche che le sono proprie

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, sia inteso come un istituto di

in VERDE (a cura di), Diritto dell’arbitrato rituale, 2000, Torino, p. 413. Secondo C. PUNZI, Disegno

sistematico dell’arbitrato, cit., p. 667, al consulente potrebbe essere delegata la soluzione di

problematiche relative al diritto antico o straniero: “Ciò che è interdetto agli arbitri è di delegare al consulente tecnico la soluzione delle questioni giuridiche rilevanti per la decisione o addirittura la redazione scritta del lodo”. Secondo M. RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, cit., p. 770, si deve distinguere “tra la raccolta di dati specialistici (che appare consentita) e il ricorso al consulente diretto a delegare in toto a un terzo la decisione della causa (non consentita)”.

538 D. GIACOBBE, in AA. VV., Arbitrato, ADR, conciliazione, diretto da M. RUBINO

SAMMARTANO, cit., p. 755; cfr., G. F. RICCI, Istruzione probatoria, sub art. 816-ter, in CARPI, (a cura di), Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 439.

539 Il dibattito tradizionale si è incentrato sulla seguente duplice alternativa: se la funzione della consulenza tecnica sia quella di costituire fonte di prova o mero accertamento in campo tecnico al fine di fornire al giudice elementi necessari per il suo giudizio. Sosteneva che la consulenza fosse un mezzo di prova e che, pertanto, il giudice, così come l’arbitro, di fronte ad una questione tecnica (cioè non giuridica) non potrebbe astenersi dal nominare il consulente, quand’anche fosse un perfetto conoscitore della specifica materia, S. SATTA, in SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 331-332, ove si dice chiaramente, non solo che non esiste una specifica differenza fra la consulenza e la perizia, ma che il consulente – perito, compie pur sempre un accertamento di fatto, per cui il giudice non può mai assolvere, anche se ne avesse la competenza, alle funzioni del perito. Orientati nel senso di considerare la consulenza come mezzo di prova sono anche V. DENTI, Perizie, nullità processuali e

contraddittorio, ora in Dall’azione al giudicato, cit., p. 295 ss.; G. FRANCHI, La perizia civile, Padova,

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confine, la cui funzione di strumento d’integrazione delle risultanze di ulteriori prove e

la conseguente natura complementare

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rispetto ad esse ne suggeriscono una

regolamentazione congiunta nell’ambito della disciplina dell’attività istruttoria, con la

quale essa presenta un indubbio collegamento.

La scelta di avvalersi dell’opera di un consulente, così come la relativa

indicazione, potrebbe essere stabilita a priori, nello stesso accordo compromissorio,

ovvero anche nel successivo corso del procedimento; può anche essere predeterminata

dal regolamento arbitrale, in caso di arbitrato amministrato. Può essere nominato

consulente qualunque soggetto ritenuto idoneo a tale scopo; non deve trattarsi

necessariamente di persone fisiche, ben potendo assumere tale funzione anche “enti”,

come recita la nuova formula dell’art. 816-ter, quinto comma, c.p.c., o istituzioni

541

. In

particolare, non vi è alcun obbligo di attribuire l’incarico ad un esperto iscritto negli albi

ufficiali presso il tribunale di riferimento

542

.

contro, se si considera la consulenza non una prova, ma un mezzo d’integrazione della scienza del giudice, si può anche arrivare a ritenere che il giudice (e così l’arbitro) possa farne a meno ogni volta che ritenga, in virtù della propria scienza, di poter risolvere direttamente la questione. Sul punto v. G. F. RICCI, La consulenza tecnica nell’arbitrato, cit., p. 11-12, il quale sostiene che questa soluzione “sembrerebbe avallata, sia dal fatto che il codice di procedura del ’40 a differenza di quello del 1865, sembra aver privilegiato il profilo di ausiliario del giudice del consulente, più che la natura probatoria della sua attività; sia dalla circostanza che l’art. 61 c.p.c. considera completamente discrezionale la sua nomina (il giudice “può farsi assistere”…non “deve”)”. L’opinione prevalente in dottrina è orientata verso il profilo soggettivo dell’attività del consulente e cioè del suo carattere di ausiliario del giudice, nonché del carattere integrativo e non semplicemente probatorio dell’attività del consulente. In tal senso, v. per tutti, E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile (Principi), a cura di COLESANTI-MERLIN-RICCI, Milano, 2002, p. 317-318; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2002, p. 190-191; M. VELLANI, voce Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Dig. disc.

priv. (sez. civ.), III, Torino, 1988, p. 525 ss. Tuttavia forse l’opinione più fondata è quella che distingue

fra i vari tipi di attività che il consulente è chiamato in concreto a svolgere: e cioè fra i casi in cui al consulente è demandata un’operazione logica di deduzione da fatti secondari noti di fatti principali ignoti (come nella consulenza medica) e quelli in cui il consulente è incaricato invece della vera e propria percezione del fatto (che potrebbe anche essere accertato direttamente dal giudice attraverso l’ispezione). Il carattere probatorio della sua attività sarebbe escluso nella prima ipotesi, ma non nella seconda. Così, esattamente, A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2002, p. 431. In argomento, può vedersi anche G.F. RICCI, Le prove atipiche, cit., p. 243 ss.

540

In tal senso v. P. BERNARDINI, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., p. 615, il quale sostiene che: “La consulenza può, quindi, avere solo carattere di complementarietà rispetto alla prova che la parte deve fornire e non può essere utilizzata per surrogare attività probatorie che la parte ha l’onere di compiere né può essere disposta a fini meramente esplorativi”. In giurisprudenza v. Cass., 6 giugno 1983, n. 3840, in

Rep. Foro it., 1983, voce Prova civile in genere, n. 16; Cass., 10 novembre 1979, n. 5806, in Rep. Foro it., 1979, voce Consulente tecnico, n. 22.

541 Come si legge nella Relazione illustrativa della riforma si può pensare ad esempio all’incarico affidato a un dipartimento o istituto universitario, a un istituto di ricerca, ovvero a una società di revisione.

542

Altre ipotesi di responsabilità degli arbitri

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Per quanto concerne l’iniziativa, la nomina del consulente è un atto discrezionale

dell’arbitro, nel senso che, così come accade, in linea generale, per le altre prove, egli

potrebbe ritenerla irrilevante, o comunque non utile, nel caso di specie

543

. In altri

termini, il giudice arbitrale potrebbe ricorrere all’espletamento della consulenza anche

d’ufficio, laddove in base al suo prudente apprezzamento egli ne ravvisi l’effettiva

necessità

544

.

La nomina del consulente viene disposta con un provvedimento del collegio

arbitrale, con il quale di regola dovrebbe essere altresì assegnato alle parti un termine

per l’eventuale nomina dei propri consulenti

545

; infatti, attraverso il riconoscimento di

tale facoltà è possibile garantire il rispetto del principio del contraddittorio anche nella

fase della consulenza

546

.

Deve osservarsi poi che se l’arbitro ha la facoltà di nominare il consulente

tecnico, non potrebbe tuttavia costringerlo, non solo a giurare

547

, ma almeno secondo

una nota opinione, neppure ad accettare l’incarico, anche se si verte nelle ipotesi in cui

ciò sarebbe obbligatorio di fronte al giudice e cioè quando, come prescrive l’art. 63,

primo comma, c.p.c., il consulente sia iscritto in apposito albo

548

. Anche in tal caso il

543 D. GIACOBBE, in AA. VV., Arbitrato, ADR, conciliazione, diretto da M. RUBINO

SAMMARTANO, cit., p. 756; E. F. RICCI, La prova nell’arbitrato rituale, cit., p. 120.

544 F. DANOVI, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina dell’arbitrato rituale, cit., p. 30; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 665-666, il quale afferma che: “Gli arbitri possono avvalersi dell’opera di consulenti tecnici, ma non hanno certo l’obbligo di ricorrervi. Essi, quindi, discrezionalmente e senza alcuna autorizzazione delle parti, possono disporre una consulenza tecnica”. Si legge in T. CARNACINI-M. VASETTI, voce Arbitri, in Nuovo dig. it., I, Torino, 1937, p. 459, che la giurisprudenza del tempo riteneva che le parti potessero “dispensare preventivamente gli arbitri dal valersi dell’opera di periti, autorizzandoli a risolvere la controversia valendosi delle proprie cognizioni tecniche”. Ma è agevole osservare che il giudice o l’arbitro non hanno mai l’obbligo di avvalersi dell’opera di consulenti tecnici. In proposito, può ricordarsi il disposto dell’art. 61 c.p.c., ove è stabilito che: “quando è necessario, il giudice può farsi assistere da uno o più consulenti” e il disposto dell’art. 259 c.p.c., che, in tema di ispezione, sancisce che “all’ispezione provvede personalmente il giudice istruttore, assistito, quando occorre, da un consulente tecnico”.

545 F. DANOVI, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina dell’arbitrato rituale, cit., p. 30.

546 Il rispetto del principio del contraddittorio anche nella consulenza è componente essenziale. Se viene violato (ad es. se il consulente non mette una delle parti a conoscenza di circostanze ovvero documenti dei quali egli si serva per la sua relazione), la conseguenza è la nullità della consulenza per violazione del diritto di difesa: cfr. sul tema Cass., 29 gennaio 1992, n. 923, inForo pad., 1993, I, c. 40.

547 D. GIACOBBE, in AA. VV., Arbitrato, ADR, conciliazione, diretto da M. RUBINO

SAMMARTANO, cit., p. 757; G. F. RICCI, Istruzione probatoria, sub art. 816-ter, in CARPI, (a cura di),

Arbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile – artt. 806-840, cit., p. 435;

S. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., p. 139; F. AULETTA, in Diritto dell’arbitrato, a cura di VERDE, cit., p. 314-315.

548 T. CARNACINI, voce Arbitrato rituale, cit., p. 891; cfr., D. GIACOBBE, in AA. VV., Arbitrato,

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consulente può infatti rifiutare pur se non ricorra un giusto motivo di astensione, e ciò

perché la norma ha riguardo alla sola nomina fatta dal giudice

549

.

Tali riflessioni si giustificano in virtù del fatto che il consulente rimane un

ausiliario privato del collegio arbitrale e non acquista, come avviene nel processo

ordinario, la qualifica di ausiliario pubblico

550

. Per le stesse ragioni eventuali

responsabilità del consulente dovrebbero essere non già riconducibili alle fattispecie

penali (artt. 64 c.p. e 366 e 373 c.p.), bensì piuttosto regolamentate sulla base della sola

disciplina civilistica

551

.

Secondo l’opinione prevalente in dottrina, inoltre, non vi sono ostacoli a ritenere

applicabile la disciplina di cui all’art. 192 c.p.c., relativa alle ipotesi di astensione e

ricusazione del consulente

552

. Le parti, quindi, possono ricusare il consulente nominato

dall’arbitro, per le ragioni indicate dall’art. 51 c.p.c.

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