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Dopo aver analizzato le svariate tipologie di attività che l’ETS potrà svolgere, occorre a questo punto della trattazione concentrare l’attenzione sulla natura giuridica dei soggetti coinvolti dalla riforma.

Come anticipato in precedenza, ciascun ente a carattere privato diverso dalle società può – in tesi – divenire protagonista del nuovo terzo settore legale.

(49) Ed in effetti, come da precedenti osservazioni formulate dal Ministero delle finanze con nota del 18 aprile 2018, il Decreto si è limitato a prevedere limiti di natura latu sensu contabile, non ponendo limiti al tradizionale concetto di strumentalità, che avrebbe potuto far riflettere sull’opportunità di limitare, dal punto di vista oggettivo, le tipologie di attività diverse che potranno essere svolte. A titolo meramente esemplificativo, come rilevato nella pubblicazione ARSEA, Codice del Terzo Settore e attività

diverse: lo stop del Consiglio di Stato per ulteriori approfondimenti, in https://arseasrl.it, 29 febbraio

2020, il CTS riconosce la possibilità per tutti gli ETS di stipulare contratti di sponsorizzazione, mentre l’Agenzia delle Entrate aveva in passato contestato tale possibilità alle ONLUS.

(50) Cons. Stato, Ord. 29 gennaio 2020, n. 248, cit., che ulteriormente precisa quanto segue: «al

riguardo l’Amministrazione ha anche evidenziato come alle attività diverse, qualificate sulla base dei criteri e limiti previsti nel provvedimento in esame, “si applichi un regime fiscale nuovo rispetto a quello attualmente vigente, poiché si passa da un sistema di defiscalizzazione attualmente previsto per le attività connesse esercitate dalle ONLUS (articolo 150, comma 2, del TUIR) e per le attività marginali esercitabili dalle organizzazioni di volontariato (articolo 8, comma 4, della legge n. 266/1991), all’assoggettamento ad imposizione fiscale delle attività diverse, ai sensi delle richiamate disposizioni codicistiche”, con possibilità di optare, a determinate condizioni, per i regimi di tassazione forfettaria specificamente previsti per i redditi d’impresa degli enti del Terzo settore non commerciali (art. 80 del d.lgs. n. 117/2017) e delle organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale (art. 86). In proposito, il Ministero ha segnalato che, ai sensi dell’articolo 101, comma 10, del d.lgs. 117/2017, l’efficacia del regime fiscale delle attività diverse è sottoposta all’autorizzazione della Commissione europea (cfr. relazione tecnica, AIR e ATN)».

Pertanto, integrando in questa sede le osservazioni già precedentemente effettuate sui vari tipi di enti collettivi privati disciplinati nel libro I del codice civile (51), potranno divenire ETS:

a) le fondazioni, espressamente richiamate nella definizione legislativa;

b) le associazioni riconosciute, espressamente richiamate nella definizione legislativa;

c) le associazioni non riconosciute, espressamente richiamate nella definizione legislativa;

d) i comitati, pur se non espressamente menzionati, in quanto rientranti nella locuzione «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (52);

e) l’istituto del trust, pur se non espressamente menzionato e sempreché rispetti ogni altro requisito previsto dalla normativa di terzo settore, in quanto anch’esso rientrante – secondo parte di dottrina – nella locuzione «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (53).

(51) Su cui si rinvia a quanto esposto retro, Cap. II, par. 11 ss.

(52) MAZZULLO A., Il nuovo codice del terzo settore. Profili civilistici e tributari, Torino, 2017, p. 27. L’A., peraltro, mette in luce al contempo le criticità che la forma del comitato può comportare sul piano della disciplina applicabile, stante la sua natura non concorde in dottrina, specie se dotato di personalità giuridica. Si ritiene generalmente, difatti, che in tale caso essi assumano, alternativamente, o la veste di associazioni o di fondazioni (CIAN G.–TRABUCCHI A., Commentario breve al codice civile, Padova, 2011, p. 132). In giurisprudenza v. ad esempio Cass. n. 3898 del 1996. Sulla criticità dell’approccio normativo in tema di comitati e riforma del terzo settore cfr. anche ROSSI F., I comitati

dopo la riforma del terzo settore, in La Nuova Giur. Civ. Comm., 2019, p. 1392.

(53) L’inclusione dei trust all’interno degli ETS si evincerebbe in modo chiaro dalla volontà del legislatore, che ha provveduto a modificare l’iniziale schema dell’art. 4, varando pertanto il testo attualmente vigente, in accoglimento dell’istanza avanzata in commissione finanza VI della Camera da SANGA G., Schema di decreto legislativo recante codice del Terzo Settore. Proposta di rilievi del

relatore, 22 giugno 2017, p. 81, reperibile sul sito www.il-trust-in-italia.it, stando alla quale si ravvisava

la «necessità di prevedere l’inserimento della formula già utilizzata all’art. 10 del decreto legislativo n.

460/1997 per le ONLUS al fine di consentire ai trust (…) di iscriversi nel Registro Unico suggerendo all’uopo di sostituire nell’art. 4 la dizione “ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta e non riconosciuta o di fondazione”, con la dizione “altri enti di carattere privato diversi dalle società”». Conferme in tal senso da MAZZULLO A., Il nuovo codice del terzo settore, cit., p. 27; SAVIO E., Il trust Onlus: le possibili evoluzioni a seguito della riforma del Terzo Settore, in Non solo

Fisco, 19 luglio 2018. Peraltro, i medesimi A. fanno leva sul fatto che già nel previgente sistema

normativo introdotto con D.lgs. 460/1997 era stata avallata la possibilità per i trust di ottenere l’iscrizione al registro dell’anagrafe ONLUS, a partire dall’Atto di indirizzo approvato il 25 maggio 2011 da parte dell’Agenzia per il terzo settore e confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E del 1° agosto 2011. Di contrario avviso, invece, IANNACCONE M. N., Enti del terzo settore e trust, relazione al Convegno tenuto a Milano il 17 ottobre 2018, reperibile sul sito www.studiocrusiepartners.it, per la quale, da un lato, il trust non assurge ad ente dotato di autonomia rispetto ai beni di cui si compone, nonché, dall’altro, l’introduzione della possibilità di divenire ONLUS è limitata alla soggettività meramente tributaria, e non civilistica, dell’istituto in questione. Tale tesi contraria, oltretutto, troverebbe conforto nella giurisprudenza di legittimità finora costante, per cui l’istituto del trust, sebbene legittimato in Italia a partire dalla Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985, ratificata con Legge 16 ottobre 1989, n. 364 (art. 2) risulta «definito non già quale ente dotato di personalità giuridica, ma quale semplice insieme

di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell'interesse di uno o più beneficiari, formalmente intestati al trustee». Con la conseguenza che il «trust è una proprietà finalizzata; il trustee non è

A ciò si accompagnano una serie di tipologie particolari di ETS. Ad ogni modo, dal punto di vista della natura giuridica, la disposizione in commento nulla innova rispetto all’analisi condotta nel primo capitolo, posto che:

- le ODV dovranno assumere la forma dell’associazione, sia essa riconosciuta o non riconosciuta;

- le APS dovranno assumere la forma dell’associazione, sia essa riconosciuta o non riconosciuta;

- gli enti filantropici dovranno assumere la forma dell’associazione riconosciuta ovvero quella della fondazione;

- le reti associative dovranno assumere la forma dell’associazione, sia essa riconosciuta o non riconosciuta;

- le imprese sociali dovranno assumere la forma dell’associazione (riconosciuta o non riconosciuta) o della fondazione, ovvero – ed in ciò risiede la loro peculiarità assieme alle cooperative sociali – quella societaria (54);

- le società di mutuo soccorso saranno riconducibili allo schema della società, sebbene sui generis (55).

Da ultimo, vi sarà la possibilità per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti di istituire un ramo di terzo settore: ad ogni modo, per la centralità di tale argomento, la trattazione verrà ampiamente affrontata nel corso del prossimo capitolo.

6.1. Il peculiare caso degli enti privati ex IPAB.

Sono stati altresì espressamente inclusi fra gli ETS, grazie ad un successivo intervento legislativo (56), tutti gli enti ex IPAB «derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990, pubblicato nella

considerato il rappresentante di un ente (che non esiste) ma intestatario di un insieme di beni, unico riferimento di rapporti con i terzi in quanto “colui che dispone del diritto”» (Cass., 27 gennaio 2017, n.

2043). Unico margine di apertura, per IANNACCONE M. N., Enti del terzo settore e trust, cit., è quello inerente la possibilità, pur nel rispetto di ogni altra normativa di settore applicabile, che un ETS che sia già tale acquisiti la posizione di trustee.

(54) Il richiamo alle imprese sociali sottende altresì quello alle cooperative sociali, che sono imprese sociali di diritto in base alla riforma e che continuano ad essere disciplinate dalla Legge 381/1991. Sul tema v. diffusamente CUSA E., Le cooperative sociali come doverose imprese sociali, in Le

Nuove Leggi Civ. Comm., 2019, p. 948.

(55) Preme evidenziare l’occasione mancata del legislatore delegato, che come già anticipato

retro al Cap. II, par. 5, nota 49, non ha affatto revisionato la disciplina vigente in tema di società di mutuo

soccorso, limitandosi ad effettuare un generale rinvio, nell’art. 42 CTS, alla Legge 15 aprile 1886, n. 3818, ss.mm.ii.

(56) Ciò in virtù dell’art. 11 sexies, comma 2, D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12.

Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990, e del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207» (57).

L’esigenza di introdurre in maniera espressa gli enti ex IPAB privatizzati fra i soggetti potenzialmente destinatari del CTS è sorta a seguito della problematica interpretativa che aveva posto l’art. 4, comma 2, per il quale «non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti» (58).

Difatti, come si è avuto modo di analizzare in precedenza, a seguito delle riforme normative avutesi a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale, 7 aprile 1988, n. 396 (59), le organizzazioni che per opera della Legge Crispi del 1890 erano state attratte nell’alveo dei soggetti di diritto pubblico, hanno potuto optare per la trasformazione in soggetti di diritto privato. Orbene, nel percorso di trasformazione le ex IPAB hanno perlopiù mantenuto, all’interno del propri consigli di amministrazione, soggetti nominati in rappresentanza degli enti pubblici, che in taluni casi costituiscono addirittura la maggioranza.

Una simile condizione, pertanto, aveva portato talune organizzazioni di categoria ad escludere che ex IPAB potessero divenire, stando all’originario assetto del CTS, veri e propri ETS (60).

Proprio sotto questo punto di vista è stata introdotta, per via legislativa, una norma latu sensu interpretativa, che ne ha permesso appieno l’inclusione (61). Più nello

(57) Così recita l’attuale art. 4, comma 2, CTS.

(58) Per completezza, l’art. 4, comma 2 prosegue affermando l’esclusione dal raggio applicativo della norma da parte dei «soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si

provvede ai sensi dell’articolo 32, comma 4».

(59) Retro al Cap. I, par. 3.3 ss.

(60) Su tutti si segnalano in questa sede i numerosi moniti dell’Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale (UNEBA).

(61) Come ribadito anche dalla pubblicazione a cura del servizio studi della Camera dei Deputati, dal titolo Riforma del Terzo Settore, in www.camera.it, 30 giugno 2020, difatti, «si segnalano

inoltre le modifiche alla normativa di settore introdotte dal Decreto Semplificazioni che (…) ha incluso le associazioni o fondazioni di diritto privato originate dalla trasformazione di istituti pubblici di assistenza e beneficenza (cd. ex IPAB) nel novero degli enti del Terzo settore». Sotto questo punto di vista già Cons.

Stato, sentenza n. 6691 del 2009, aveva sancito il principio per cui la nomina dei rappresentanti di un istituto ex IPAB da parte del Sindaco, ai sensi dell’art. 50, comma 8, D.lgs. 267/2000, non presuppone un rapporto fiduciario come «coincidenza di orientamento politico (o, addirittura, di opinione politica), in

quanto tale relazione si deve misurare nel campo delle scelte concrete e nella adesione o meno agli indirizzi amministrativi e di gestione dell'Ente di riferimento». Ed in effetti non sussiste, ad esempio,

specifico, è stato precisato che la nomina degli amministratori da parte della P.A. non è ascrivibile alla nozione di controllo che definisce il rapporto tra essa e gli organismi partecipati, bensì, piuttosto, «la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicché è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima».

Ad ogni modo, anche l’intera galassia delle ex IPAB privatizzate sarà pur sempre riconducibile, dal punto di vista della forma giuridica, allo schema generale dell’associazione ovvero della fondazione.

Tali notazioni a carattere generale, d’altronde, non esimono dall’analisi accurata delle specificità di disciplina che gli ETS recano, sia dal punto di vista della regolamentazione statutaria (a monte), sia sotto il profilo della normativa correlativamente applicabile (a valle).

Pertanto, nell’analisi che seguirà si prenderanno in considerazione sia le disposizioni di carattere generale, valevoli per tutti, sia quelle maggiormente penetranti applicabili a taluni ETS tipici.