4. La legislazione in materia non profit dal secondo dopoguerra fino
4.2. La realtà italiana e la proliferazione della normativa speciale in materia non
4.2.2. Le organizzazioni di volontariato (ODV)
Fondamentale importanza per l’evoluzione del volontariato in Italia ha assunto la Legge quadro 11 agosto 1991, n. 266, uno strumento normativo partorito dopo
(132) L’oggetto del presente elaborato concerne la riforma del terzo settore, con particolare riferimento alle opportunità di sviluppo per gli enti ecclesiastici che operano nel sociale. Motivo per cui la pregressa normativa sarà analizzata in chiave funzionale, evidenziando i più importanti aspetti e servendosene poi, nel prosieguo della ricerca, per trarne spunti di studio e riflessione.
(133) Per approfondimenti su attività e regole cui sono sottoposte le ONG si rinvia ai contributi di AA.VV., ONG italiane, ONG del Nord, ONG del Sud, Organismi internazionali, a cura di GRUPPO DI LAVORO ONG – DGCS, Roma, 1991; MARCHISIO S., Le organizzazioni non governative internazionali e
la cooperazione allo sviluppo, Roma, 1985; TAFFIORELLI STERLOCCHI G., Le organizzazioni
internazionali ed i Beni Culturali: gli organismi non governativi, Roma, 1981; BELGIORNO DE STEFANO
M.G.,La tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo e le Organizzazioni Internazionali Non Governative
a base culturale-religiosa, in AA.VV., Studi in onore di Gaetano Catalano, Catanzaro, 1989; AA.VV.,
Partecipazione di base e sviluppo: ruolo delle organizzazioni non governative nella cooperazione allo sviluppo: atti del secondo Incontro mondiale, a cura di UNICOS - Unione internazionale per la
cooperazione allo sviluppo, Roma, 1989.
(134) Ad oggi, la disciplina trova spazio all’interno della Legge 11 agosto 2014, n. 125 recante «disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo», la quale, all’art. 26, co. 2, conferma in primis che «sono soggetti della cooperazione allo sviluppo le organizzazioni della società
svariati anni di dibattiti (135), al fine di fornire uno strumento che potesse, soprattutto, disciplinare le organizzazioni di volontariato nonché l’annosa questione del lavoro svolto gratuitamente (136).
È stata, a tal proposito, riconosciuta la denominazione di organizzazione di volontariato in favore di ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere attività caratterizzata da «fini di solidarietà», e che si avvalga «in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti».
Dopodiché, il legislatore, che di fatto non ha tipizzato una specifica forma giuridica dell’organizzazione di volontariato, si è limitato a prevedere in modo promiscuo la sussistenza dei seguenti requisiti (art. 3): «negli accordi degli aderenti, nell’atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l'organizzazione assume, devono essere espressamente previsti l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'assemblea degli aderenti» (137).
(135) Basti riflettere che, in campo assistenziale, l’importanza del volontariato, ispirata dai precetti costituzionali di cui all’art. 38 Cost., era stata già espressa, ad esempio, nella Legge Regione Veneto, 15 dicembre 1982, n. 55, il cui art. 1 così afferma: «la regione riconosce la funzione di utilità
sociale del volontariato e ne promuove l’apporto e il coordinato utilizzo». Tale filone normativo,
peraltro, secondo ADDIS P.–FERIOLI E.–VIVALDI E., Il terzo settore nella disciplina normativa italiana
dall’unità ad oggi, cit., p. 179, ha costituito «il primo importante riconoscimento dei soggetti del Terzo settore nell’attuazione di servizi di interesse pubblico».
(136) Per una bibliografia essenziale sulla disciplina dettata dalla Legge 266/1991 v. COSTANZA
M., Profili privatistici della normativa sulle organizzazioni di volontariato, in Il Corr. Giur., 1991, p. 10; CONSORTI P., Legislazione del Terzo settore. Le norme sul non profit, il volontariato, la cooperazione
sociale ed internazionale, Pisa, 2005; BONFANTE G., Legge sul Volontariato e cooperative di solidarietà
sociale, in Le Società, 1991, p. 12; ALESSE A., La prestazione di attività di volontariato, in Il Lav. nella
Giur., 2003, p. 8;MANAGOZZI, G. P., Volontariato e terzo settore: dalla beneficenza alla partecipazione, in IlSole24ore, 11 novembre 2002; RAVACCIA M., Note minime in materia di esenzioni tributarie in
favore delle organizzazioni di volontariato ed interpretazione della norma tributaria, in Dir. e Prat. Trib., 1998, p. 3; CSV PROVINCIA DI CATANZARO,Le agevolazioni fiscali per le OdV , Catanzaro, 2006;
CSV DI ROVIGO,La tutela dei lavoratori e dei volontari delle OdV, Rovigo, 2009; CSV PROVINCIA DI
VERONA, Gli obblighi contabili per una ODV, Verona, 2009. Per uno sguardo più organico all’assetto
normativo in tema di volontariato in Italia cfr. invece PIEPOLI G., La disciplina legislativa del
volontariato, in Il Corr. Giur., 1984, p. 3; LIPARI N., Il volontariato: una nuova dimensione culturale e
giuridica del Welfare State, in Riv. Dir. Civ., 1982, II.
(137) Ben sintetizza BONFANTE G., Legge sul Volontariato e cooperative di solidarietà sociale, cit., quelli che vengono ritenuti i capisaldi della normativa, i quali consistono: «a) nel sottolineare il
carattere assolutamente gratuito della prestazione in modo da non giustificare alcuna pretesa del “volontario”» anche sotto il profilo previdenziale; b) nel favorire la massima libertà organizzativa in un quadro di finalità non speculativa dell'organismo; c) nel demandare all'ente pubblico il controllo più ampio del grado di meritevolezza dell'iniziativa sia per quanto concerne la tenuta del registro, sia in sede
In definitiva, dal rispetto dei succitati requisiti veniva fatta derivare la possibilità di ottenere l’iscrizione nei registri generali delle organizzazioni di volontariato – tenuti presso ogni Regione e Provincia autonoma – e di conseguire così le ambite agevolazioni, soprattutto di carattere fiscale (138).
Fra i requisiti assumeva valore fondamentale quello dell’assenza dello scopo di lucro, che doveva contraddistinguere l’operato solidaristico delle ODV.
Tanto che, in dottrina, si è rintracciata in questo tentativo la volontà di far emergere, nel marasma degli enti fino a quel momento scarsamente disciplinati dal libro I, titolo II, codice civile, una sorta di speciale «ente collettivo caratterizzato da uno scopo particolare, quello di solidarietà» (139).
Nondimeno, veniva prevista anche in favore delle ODV la possibilità di esercitare, in via secondaria e strumentale, attività commerciali. Ciò si evinceva chiaramente all’art. 5, dedicato alla disciplina delle risorse economiche: fra le entrate dell’ente, vi potevano essere quelle «derivanti da attività commerciali e produttive marginali». Ad ogni modo, restava fermo il divieto di distribuire fra soci o aderenti il lucro in tal modo conseguito.
Va da ultimo notato che, avendo il legislatore rinunciato a tipizzare la forma giuridica di tali enti, era teoricamente possibile creare una ODV sia secondo lo schema – preferibile – dell’associazione (riconosciuta o non riconosciuta), sia secondo quello della fondazione (140).
di stipula delle convenzioni. In questo ambito di particolare interesse risultano i requisiti richiesti dalla legge per le organizzazioni di volontariato. Più precisamente l'organizzazione prescelta deve espressamente prevedere: a) l'assenza di fini di lucro; b) la democraticità della struttura; c) la elettività e la gratuità delle cariche sociali; d) la gratuità delle prestazioni degli aderenti e i criteri di ammissione ed esclusione; e) l'obbligo di formazione e di approvazione di un bilancio; f) la devoluzione in caso di scioglimento o estinzione dei beni che residuano dopo la liquidazione ad altre organizzazioni di volontariato operanti in identico o analogo settore (art. 5, quarto comma); g) la trasparenza dell'informazione garantita dall'applicazione dell'art. 6, legge 7 luglio 1990, n. 241 (norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto d'accesso ai documenti amministrativi)».
(138) Il riferimento va in primis agli artt. 8, 9 e 10, Legge 266/1991.
(139) Così COSTANZA M., Profili privatistici della normativa sulle organizzazioni di
volontariato, in Il Corr. Giur., 1991, 10, p. 1073, la quale, inoltre, prosegue sostenendo come «non può non ravvisarsi la volontà legislativa di attribuire a questi enti un’autonomia superiore a quella prevista per le associazioni». In definitiva, l’A., pur nella consapevolezza dei limiti e dei difetti della riforma,
rintraccia la positiva volontà di considerare le ODV quali «nuovi anelli di congiunzione fra privato e
pubblico».
(140) DE GIORGI M. V., Fondamenti di diritto degli enti non profit, Padova, 1997, p. 20: «la
forma assunta dall’ente di volontariato deve ritenersi, (...) irrilevante per il legislatore, mentre ciò che conta è solo il tipo di attività svolto». Resta comunque inteso, per ALESSE A., La prestazione di attività di
volontariato, in Il Lav. nella Giur., 2003, 8, p. 713, che «debbano essere espunti quelli che disciplinano i modelli societari, anche cooperativistici». Peraltro, la medesima dottrina appena citata reputa opinabile il