Nel corso del primo capitolo era stata messa in luce l’insufficienza, sotto plurimi profili, della disciplina che il codice civile riservava agli enti collettivi privati, i quali costituivano gli attori protagonisti del settore non profit in Italia (30).
Motivo per cui il primo compito affidato al legislatore delegato consisteva proprio nella «revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute» (art. 1, co. 2, lett. a, Legge 106/2016).
Peraltro, la direzione entro cui doveva attuarsi la delega veniva indicata dall’art. 3 (31).
(28) Il riferimento è alla disposizione della lett. b dell’art. 2, Legge 106/2016, in base alla quale andava rispettato il seguente principio: «riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata il cui
svolgimento, secondo le finalità e nei limiti di cui alla presente legge, può concorrere ad elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali».
(29) Il principio della semplificazione normativa emergeva dalla lett. d dell’art. 2, Legge 106/2016. La previsione ha un valore enorme, poiché sintetizza il frutto delle critiche maggiormente mosse avverso la giungla delle normative speciali preesistenti in tema di non profit. Già efficacemente PACINI F., Per un Codice del Terzo settore. Appunti di tecnica normativa, in Non profit, 2014, 3, p. 13, aveva ammonito sull’assoluta necessità, per gli operatori del non profit, di avere un testo normativo di riferimento, quanto più possibile chiaro, organico e sistematico.
(30) Riflessione che già nel 1993 aveva condotto BUSNELLI F. D., Il diritto delle persone, in AA. VV., I cinquant’anni del Codice civile. Atti del convegno, I, Milano, 1993, p. 94, ad affermare che «i
criteri normativi che possono orientare verso una loro soluzione si traggono sempre meno dalle norme del codice civile, sempre più dai principi della Costituzione». La disciplina, peraltro, appariva
estremamente lacunosa in tema di associazioni non riconosciute, quando, viceversa, emergeva dai dati statistici che oltre il 60 % degli enti fossero costituiti secondo tale forma.
(31) Art. 3, Legge 106/2016: «a) rivedere e semplificare il procedimento per il riconoscimento
della personalità giuridica; definire le informazioni obbligatorie da inserire negli statuti e negli atti costitutivi; prevedere obblighi di trasparenza e di informazione, anche verso i terzi, attraverso forme di pubblicità dei bilanci e degli altri atti fondamentali dell’ente anche mediante la pubblicazione nel suo sito internet istituzionale; prevedere una disciplina per la conservazione del patrimonio degli enti; b) disciplinare, nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi e di tutela dei creditori, il regime di responsabilità limitata degli enti riconosciuti come persone giuridiche e la responsabilità degli amministratori, tenendo anche conto del rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento degli enti medesimi; c) assicurare il rispetto dei diritti degli associati, con particolare riguardo ai diritti di informazione, partecipazione e impugnazione degli atti deliberativi, e il rispetto delle prerogative dell’assemblea, prevedendo limiti alla raccolta delle deleghe; d) prevedere che alle associazioni e alle fondazioni che esercitano stabilmente e prevalentemente attività d’impresa si applichino le norme previste dai titoli V e VI del libro quinto del codice civile, in quanto compatibili, e in coerenza con quanto disposto all’articolo 9, comma 1, lettera e); e) disciplinare il procedimento per ottenere la
Anzitutto, si riteneva necessario intervenire sulla modalità di riconoscimento della personalità giuridica, attraverso una complessiva semplificazione della normativa esistente (32).
Inoltre, veniva indicata la previsione di una più specifica disciplina sul contenuto obbligatorio di atti costitutivi e statuti (33), da accompagnarsi ad una maggiore trasparenza e pubblicità, anche dal punto di vista contabile e patrimoniale, degli enti senza scopo di lucro. Così come fondamentale importanza doveva assumere la disciplina volta a consolidare le garanzie di partecipazione democratica dei soci all’interno della compagine associativa.
Dopodiché, il legislatore delegante confermava, in via legislativa, un approdo già ampiamente consolidato in giurisprudenza nei confronti delle associazioni e fondazioni che esercitavano stabilmente attività imprenditoriali, ovverosia l’applicazione, in quanto compatibili, delle norme di cui ai titoli V e VI del libro V del codice civile (34).
trasformazione diretta e la fusione tra associazioni e fondazioni, nel rispetto del principio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi introdotto dalla riforma del diritto societario di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6».
(32) Il riferimento è al D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361. Sebbene sono notevoli i vantaggi che l’ente può conseguire dal riconoscimento della personalità giuridica (ad esempio in tema di responsabilità patrimoniale), va ancora una volta chiarito a scanso di equivoci che la Costituzione non menziona tra i requisiti per associarsi quello di possedere la personalità giuridica. Ciò ha rappresentato un baluardo formidabile che ha garantito, a tutti gli enti privi di personalità giuridica, il pieno diritto di far parte del terzo settore.
(33) Fino a quel momento, difatti, la disciplina era prevista dall’art. 16 c.c., che con riferimento ad atti costitutivi e statuti di fondazioni ed associazioni riconosciute enunciava solo l’obbligo di prevedere «la denominazione dell’ente, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme
sull’ordinamento e sull’amministrazione», soggiungendo che essi «devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite». Del tutto laconica, poi,
la disciplina delle associazioni non riconosciute, lasciata dall’art. 36 c.c. in mano agli accordi degli associati. Peraltro, sull’assenza di una disciplina specifica, e sulla conseguente misura con cui calibrare l’applicazione analogica delle regole dettate in tema di associazioni riconosciute, si rinvia ai contributi di BASILE M, Gli enti di fatto, in AA.VV., Trattato di Diritto Privato, diretto da RESCIGNO P., II ed., Torino, 2000, II; BASILE M., L'intervento dei giudici nelle associazioni, Milano, 1975; COSTANZA M., Gli enti
non commerciali, in AA. VV., Trattato di diritto civile, diretto da PERLINGIERI P., Napoli, 2012; DELLACASA M., Associazioni non riconosciute e limiti statutari dei poteri di rappresentanza: regole di
diritto comune e tutela dell'affidamento del terzo, in Giur. It., 2001, p. 10; EROLI M., Le associazioni non
riconosciute, Napoli, 1990; GALGANO F., Associazioni non riconosciute e comitati, in AA. VV.,
Commentario del Codice Civile, II ed., a cura di SCIALOJA A. – BRANCA G., Bologna – Roma, 1976; RUBINO D., Le associazioni non riconosciute, II ed., Milano, 1952; SANTARONI M., voce Associazione, in
Dig. Civ., I, IV ed., Torino, 1987.
(34) Storico, sotto questo punto di vista, l’approdo cui era giunto Trib. Palermo, 7 aprile 1989, confermato successivamente da Trib. Milano, 17 giugno 1994, in Giur. It., 1995, I, 2, p. 283: «l'imprenditore collettivo non societario va individuato come tertium genus di imprenditore commerciale
oltre a quello individuale ed a quello societario: tale categoria, nella quale rientrano le associazioni, le fondazioni e i comitati che esercitano attività imprenditoriale-commerciale può essere considerata sottoponibile a fallimento». In dottrina cfr. GALGANO F., Persone giuridiche, in AA.VV., Commentario
Veniva, poi, segnalata la necessità di disciplinare il procedimento per ottenere la trasformazione diretta e la fusione tra associazioni e fondazioni (35).
Infine, vi era un esplicito riferimento all’aggiornamento della disciplina sul regime della responsabilità limitata degli amministratori degli enti riconosciuti come persone giuridiche (36).
Peraltro, l’inserimento delle sopra menzionate innovazioni all’interno del codice civile avrebbe consentito l’applicazione della normativa, in via generale, a tutti gli enti senza scopo di lucro, a prescindere dalla loro appartenenza al nascituro terzo settore «in senso legale» (37). Obiettivo, questo, perfettamente coerente con la volontà di promuovere e favorire l’associazionismo, nonché la creazione di altri enti privati, in quanto tali (38); d’altronde, già da tempo veniva da più voci invocata la riforma del titolo II del libro I, frutto di una storica visione legislativa di diffidenza ormai superata da tempo (39).