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Indicazione delle attività di interesse generale

7. La disciplina comune agli ETS presente nel CTS

7.4. Indicazione delle attività di interesse generale

Anche il requisito dell’indicazione di una o più attività di interesse generale esercitate è considerato quale elemento imprescindibile ai fini del possibile riconoscimento dell’ente quale ETS.

Sarà sufficiente indicare, nell’atto costitutivo o nello statuto, l’elenco delle attività che l’ente voglia perseguire, parafrasando in sostanza l’espressione che il legislatore ha utilizzato per descrivere ogni tipo di attività.

Rimane comunque l’auspicio, espresso dal Ministero del lavoro, che l’ente possa meglio dettagliare la tipologia di attività di interesse generale esercitata (91), sebbene la normativa vigente non lo richieda quale condizione necessaria per accedere alla disciplina del CTS.

L’indicazione delle attività di interesse generale, con l’ulteriore specificazione che esse dovranno essere svolte in via esclusiva o principale, è cosa ben diversa dalla possibilità, come visto facoltativa, di prevedere all’interno dello statuto l’esercizio di attività diverse.

Peraltro, in dottrina è stata acutamente distinta, a livello di attività oggettivamente consentite in capo all’ETS, l’ulteriore possibilità per l’ente di effettuare raccolte fondi, su cui vedi appresso (92).

7.4.1. La diversa attività di raccolta fondi.

Come poc’anzi accennato, l’art. 7 CTS consente all’ente di poter svolgere, in via del tutto facoltativa e purché ciò sia espressamente stabilito nello statuto, attività di raccolta fondi, la quale non può essere ricompresa né fra le attività di interesse generale, né fra quelle diverse, costituendo un ibrido di matrice autonoma.

(90) In tema può innestarsi una riflessione a carattere generale, riportata da CONSORTI P.–GORI

L.–ROSSI E., Diritto del terzo settore, cit., p. 204, per cui «torna così a farsi strada l’antico interrogativo

di chi in passato già poneva il dubbio se il volontariato facesse ancora parte (o dovesse continuare a fare parte) del Ts o se invece si dovesse immaginare come un quarto settore, distinto dal terzo proprio in ragione della sua natura non imprenditoriale e totalmente gratuita».

(91) Cfr. ancora la Circolare 27 dicembre 2018, n. 20, cit. (92) MAZZULLO A., Il nuovo codice del terzo settore, cit., p. 42.

La previsione di una generale disciplina della raccolta fondi rappresenta una novità, poiché prima dell’entrata in vigore del CTS la relativa normativa veniva ricavata da una serie di disposizioni eterogenee dettate per gli enti senza scopo di lucro.

Difatti, stando alle disposizioni contenute nell’art. 143, comma 3, lett. a, D.P.R. 917/1986 (c.d. TUIR), come modificato dall’art. 2, comma 2, D.lgs. 460/1997, si ricavava che l’introito ottenuto dall’ente non profit a fronte dell’effettuazione di una raccolta fondi non concorreva alla formazione del reddito imponibile.

Ad ogni modo, affinché il ricavato della raccolta fondi potesse essere esente dal pagamento dei tributi, la legge stabiliva il rispetto di talune caratteristiche (93).

Anzitutto, l’attività di raccolta fondi doveva essere occasionale, ovverosia svolta in modo sporadico e non organizzato. Peraltro, nelle norme sopra citate non era specificato il preciso limite del numero di raccolte fondi annuali che ogni ente avrebbe dovuto rispettare per rimanere entro il parametro dell’occasionalità. Per tali ragioni, nel tempo gli interpreti hanno preso a modello una norma dettata per le ASD, la quale considera occasionali le raccolte fondi svolte massimo due volte l’anno, e con ricavi complessivi inferiori o pari a 51.645,69 € (94).

L’altro requisito richiesto era quello della concomitanza con celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione (95).

Da ultimo, veniva richiesto il requisito della pubblicità, con la conseguenza che la raccolta fondi avrebbe potuto essere rivolta a favore di chiunque fosse in grado di venirne a conoscenza grazie ad un idoneo sistema informativo.

Il denaro così ricavato era utilizzabile per il soddisfacimento dei propri scopi istituzionali, senza alcuna tassazione (96).

Detti parametri, sebbene ancora vigenti poiché non abrogati dal CTS, vengono superati dalla normativa specificamente prevista in sede di riforma per gli ETS.

(93) Nello specifico, veniva stabilito quanto segue: non costituiscono reddito tassabile «i fondi

pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione».

(94) Così l’art. 37, comma 2, Legge 342/2000, che ha modificato l’art. 25, Legge 133/1999. (95) Si riteneva altresì che i fondi raccolti, inoltre, potessero provenire anche dall’offerta di servizi o di beni di modico valore. Si pensi al caso della raccolta fondi tramite l’esposizione in vendita di prodotti botanici o articoli di uso quotidiano.

(96) Vi era comunque l’obbligo, indipendentemente dalla redazione del bilancio annuale, di redigere un apposito e separato rendiconto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio. Tale rendiconto doveva poi essere debitamente conservato, ai fini fiscali, per almeno dieci anni (v. artt. 20, comma 2, e 22, D.P.R. 600/1973). In caso contrario, l’ente si esponeva al rischio di sanzioni amministrative, nonché alla possibile tassazione dei proventi ottenuti.

Orbene, volendo quindi procedere all’analisi della rinnovata definizione della raccolta fondi contenuta all’art. 6, va preliminarmente richiamato che per raccolta fondi «si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un Ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva».

Viene poi ulteriormente specificato al secondo comma dell’art. 7 che «gli enti del Terzo settore possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico».

Numerosi sono gli interrogativi che l’art. 7 CTS pone all’interprete, in quanto la disposizione è assai vaga in merito al tipo di attività che ogni ETS può concretamente svolgere, nonché avuto riguardo delle modalità operative con cui si può dar corso ad una raccolta fondi, e soltanto l’auspicata emanazione delle previste linee guida potrà fungere da base per un analitico ragionamento (97).

Ad ogni modo, quella che avrebbe potuto rappresentare l’innovazione più dirompente, ovverosia l’attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, sembra svilire al cospetto dell’art. 79, comma 4, lett. a, CTS, che viceversa si limita a riproporre il testo dell’art. 143, comma 3, lett. a, TUIR, già analizzato in precedenza.

Con il risultato che il ricavato delle raccolte non concorre alla formazione del reddito degli ETS soltanto se i fondi siano pervenuti a seguito di «raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione» (98).

(97) Alla data di redazione del presente elaborato non risultano ancora emanate le linee guida per la disciplina della raccolta fondi, che stando alle prescrizioni del CTS dovranno essere adottate con «decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all’art. 97 e il

Consiglio nazionale del Terzo settore». Per il passato si rinvia alle linee guida predisposte nel 2011

dall’Agenzia per il terzo settore e pubblicate sul sito www.sitiarcheologici.lavoro.gov.it.

(98) Tutti gli ETS che effettuino raccolte pubbliche di fondi devono inserire all’interno del bilancio un rendiconto specifico, redatto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio e soggetto all’obbligo di conservazione, ai fini fiscali, per almeno dieci anni (art. 79, comma 5, CTS, il quale rimanda all’art. 22 D.P.R. 600/1973). Nel rendiconto devono risultare in modo chiaro e trasparente, eventualmente a mezzo di una relazione illustrativa, le entrate e le spese relative a ciascuna iniziativa di raccolta fondi effettuata (così l’art. 87, comma 6, CTS). Stando infine all’art. 48, comma 3, CTS, i

Dalla struttura a cerchi concentrici delle due disposizioni emerge un quesito fondamentale, ovverosia se gli introiti ricavati dagli ETS a fronte dello svolgimento di attività di raccolta fondi svolte in forma organizzata e continuativa concorrano o meno alla formazione del reddito.

Nonostante la generale apertura inserita nell’art. 7 CTS, il più specifico dettame dell’art. 79, comma 4, lett. a, fa propendere per una risposta positiva, nel qual caso l’introito ricavato dovrà essere considerato attività diversa anche ai fini del bilanciamento complessivo delle entrate per l’applicazione dello specifico regime fiscale dell’ETS. Il che, come accennato in precedenza, conduce a considerare l’attività di raccolta fondi come un ibrido, poiché idonea a determinare conseguenze assai diversificate in base alla modalità concreta di effettuazione (99).