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La definizione codicistica di terzo settore

4.3. Prestazioni socio-sanitarie. – 4.4. Attività educative. – 4.5. Salvaguardia e tutela dell’ambiente, prevenzione del randagismo. – 4.6. Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico. – 4.7. Formazione universitaria e post-universitaria. – 4.8. Ricerca scientifica di particolare interesse sociale. – 4.9. Attività culturali, artistiche o ricreative. – 4.10. Radiodiffusione sonora a carattere comunitario. – 4.11. Attività turistiche, culturali e religiose. – 4.12. Formazione extra-scolastica. – 4.13. Servizi strumentali agli ETS. – 4.14. Cooperazione allo sviluppo. – 4.15. Commercio equo-solidale. – 4.16. Lavoro per persone svantaggiate. – 4.17 Housing sociale. – 4.18. Accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti. – 4.19. Agricoltura sociale. – 4.20.Attività sportive dilettantistiche. – 4.21. Attività di beneficienza. – 4.22. Promozione di legalità e pace fra i popoli. – 4.23. Tutela dei diritti, banche del tempo e GAS. – 4.24. Adozione internazionale. – 4.25. Protezione civile. – 4.26. Riqualificazioni di beni pubblici inutilizzati o confiscati alle mafie. – 4.27. Facoltà di aggiornamento dell’elenco delle attività di interesse generale. – 5. Le attività diverse degli ETS e la loro normazione. – 6. La forma giuridica degli ETS. – 6.1. Il peculiare caso degli enti privati ex IPAB. – 7. La disciplina comune agli ETS presente nel CTS. – 7.1. Forma e contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto. – 7.2. Denominazione dell’ente. – 7.3. Assenza dello scopo di lucro e perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. – 7.3.1. Possibilità di lucro oggettivo e misure a carattere fiscale. – 7.4. Indicazione delle attività di interesse generale. – 7.4.1. La diversa attività di raccolta fondi. – 7.5. Sede legale. – 7.6. Patrimonio iniziale ai fini dell’eventuale riconoscimento della personalità giuridica. – 7.7. Norme sull’ordinamento, l’amministrazione e la rappresentanza dell’ente. – 7.8. Diritti ed obblighi degli associati e requisiti per la loro ammissione. – 7.9. Nomina dei primi componenti degli organi sociali obbligatori e del revisore legale dei conti. – 7.10. Devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento o di estinzione. – 7.11. Durata dell’ente. – 8. La disciplina di maggior dettaglio riservata a specifiche tipologie di ETS. – 8.1. La disciplina delle ODV. – 8.2. La disciplina delle APS. – 8.2.1. Gli specifici vantaggi riservati ad ODV ed APS. – 8.3. La disciplina degli enti filantropici. – 8.4. Le imprese sociali (rinvio). – 8.5. Le reti associative. – 9. Le criticità del diritto transitorio e la funzione attribuita all’adeguamento statutario. – 9.1. Lo spartiacque temporale del 3 agosto 2017. – 9.2. L’obbligo di adeguamento statutario per ODV, APS ed ONLUS già iscritte nei

relativi registri prima del 3 agosto 2017. – 9.3. Il contenuto dell’adeguamento statutario e le problematiche connesse ai ritardi di attuazione della riforma. – 10. Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS).

1. Il ruolo del CTS nell’ambito della riforma del terzo settore.

Nel precedente capitolo è stata analizzata la Legge delega sulla base della quale il legislatore delegato avrebbe dovuto disciplinare nel dettaglio un’organica riforma del terzo settore.

Ma può fin da subito essere constatato che a differenza di quanto auspicato, la scelta del legislatore delegato è stata quella di intervenire quasi esclusivamente attraverso lo strumento del codice settoriale, evocato all’art. 4 della Legge delega.

Di riflesso, il codice civile è stato solo marginalmente ritoccato, ed emerge appieno, sotto questo profilo, la diversità di impostazione rispetto a quanto prevedeva l’art. 3 della Legge delega (1).

Ciò non toglie, ad ogni modo, che il rapporto fra codice civile e normativa speciale rimanga pur sempre di genere a specie, dovendosi fare riferimento ai principi ordinari qualora nel CTS manchi la regolamentazione di una determinata fattispecie e la soluzione non sia ricavabile all’interno del medesimo (2).

A sancire questa possibilità è proprio il CTS, laddove all’art. 3, comma 2, così dispone: «per quanto non previsto dal presente Codice, agli enti del Terzo settore si

(1) Come visto precedentemente, ulteriore profilo, assai più rilevante, riguarda l’analisi di questa divergenza, poiché vi potrebbero essere gli estremi per ravvisare un’effettiva violazione e/o mancata attuazione dei principi espressi in sede di delega, con conseguente esposizione al rischio di illegittimità costituzionale per eccesso o difetto di delega. Per cenni al tema MAZZULLO A., Il nuovo codice del terzo

settore. Profili civilistici e tributari, Torino, 2017, pp. 14-15. Peraltro, ammonivano già MANCINI F.– MENEGATTI V.–RANIERI C., Processo di riforma del terzo settore. Iter, questioni definitorie ed esigenze

di governance, in Osservatorio Isfol, 2014, 3-4, p. 81, che «la riforma del Codice civile è di primaria importanza per superare una dicotomia fra Stato e Mercato e riconoscere il ruolo e le funzioni esercitate dai soggetti di Terzo settore nella costruzione del bene comune, in virtù dell’art. 118 della Costituzione».

Ad ogni modo, per il Consiglio di Stato, che pure ha valutato uno «svuotamento di contenuto normativo

del Libro I del codice civile, (…), il concreto esercizio della delega legislativa costituisce una scelta che rientra nella discrezionalità propria del Governo», sottolineando al contempo che «sarebbe stato auspicabile un intervento ancor più organico e completo» (così il Parere del Cons. Stato, 14 giugno 2017,

n. 1405, in www.giustizia-amministrativa.it).

(2) Cfr. in particolare MAZZULLO A., Il nuovo codice del terzo settore. Profili civilistici e

tributari, cit., p. 16, per il quale a causa dell’eccessivo dettaglio con cui determinate fattispecie vengono

regolate «la specialità trascolora in specificazione, con rilevanti conseguenze in termini, ad esempio, di

applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione» (3).

Per altro verso, poi, le – scarne – norme presenti nel codice civile continueranno a trovare applicazione nei confronti di tutti quegli enti che, pur contraddistinguendosi per l’assenza dello scopo di lucro, non siano sottoposti alla disciplina del CTS in quanto carenti dei requisiti richiesti per essere considerati appieno ETS (4).

Non mancano, infine, numerosi rimandi effettuati dal medesimo CTS, ad esempio, alla disciplina contenuta nel codice civile in tema di bilanci, organi di amministrazione e di controllo, ovvero patrimoni destinati.

Ma nonostante le svariate criticità che tale impostazione è suscettibile di ingenerare, anche avuto riguardo ai numerosi decreti attuativi che il D.lgs. 117/2017 necessita per essere portato ad effettivo compimento, resta il fatto che tale testo costituisce oggi la principale fonte normativa con cui confrontarsi al fine di ricavare la disciplina valevole per il nuovo terzo settore post – riforma.

Motivo per cui, nell’ambito di questo capitolo, verrà dato spazio alla trattazione della struttura e del contenuto principale del CTS: ciò sarà propedeutico per verificare, in ossequio agli obbiettivi della presente ricerca, regole ed opportunità di sviluppo per gli enti ecclesiastici che vogliano entrare a far parte del nuovo mondo di terzo settore.

2. La struttura generale del CTS.

Come detto più volte, il D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, passato alla storia come Codice del Terzo Settore (CTS) costituisce una fondamentale tappa del complessivo processo di attuazione della delega conferita al Governo con Legge 6 giugno 2016, n. 106, per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.

Pur con i limiti e le criticità poc’anzi evidenziate, l’intento del CTS è quello di riordinare, revisionare ed uniformare, per quanto possibile, la disciplina civilistica,

(3) Per QUADRI E., Il terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova Giur. Civ.

Comm. 2018, 4, p. 710, la normativa generale del codice civile è «persistentemente destinata a governare gli enti del libro primo che non intenderanno perseguire l’inserimento tra quelli del Terzo settore».

(4) Solo per fare un esempio, si pensi all’ente che, pur essendo dotato di uno statuto perfettamente in linea con le disposizioni della riforma, non abbia richiesto l’iscrizione al RUNTS, considerata quale condizione imprescindibile, fermi gli altri requisiti necessari, per poter accedere alla disciplina speciale. Un problema non di poco conto, che rischia oltretutto di creare irragionevoli distinzioni fra enti pur sempre afferenti al settore non profit. Si v. ancora GORI L., Il sistema delle fonti

amministrativa, fiscale e tributaria relativa a tutti quei soggetti definiti dalla riforma quali Enti del Terzo Settore (ETS).

Il CTS si compone di 104 articoli, suddivisi in dodici titoli.

Il titolo I (artt. 1-3) reca disposizioni di carattere generale sull’intento della riforma, avuto riguardo dell’importanza del terzo settore per l’ordinamento giuridico italiano.

Nel titolo II (artt. 4-16) vengono dettate norme generali relative agli ETS.

Il titolo III (artt. 17-19) prevede talune disposizioni specifiche in materia di attività di volontariato.

All’interno del titolo IV (artt. 20-31) vengono disciplinate le regole e le modalità di svolgimento della vita organizzativa di associazioni e fondazioni che vogliano divenire ETS.

Mediante il titolo V (artt. 32-44) vengono disciplinate, più nello specifico, talune tipologie di ETS, ovverosia le Organizzazioni di Volontariato (ODV), le Associazioni di Promozione Sociale (APS), gli enti filantropici, le reti associative, nonché le società di mutuo soccorso mediante la tecnica del rinvio. Viceversa, per la disciplina dell’impresa sociale viene effettuato un rimando integrale al D.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, ovvero il c.d. Codice dell’Impresa Sociale (CIS).

Il titolo VI (artt. 45-54) si occupa di istituire e disciplinare il funzionamento del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), ovverosia quel registro unico che dovrà sostituire tutti i registri finora previsti da speciali disposizioni di legge, la cui iscrizione viene considerata condizione imprescindibile per essere considerati ETS.

Il titolo VII (artt. 55-57) reca la disciplina relativa ai rapporti fra ETS ed enti pubblici.

All’interno del titolo VIII (artt. 58-76) vengono inoltre dettate innovative disposizioni in materia di promozione e di sostegno degli ETS, prevedendo fra l’altro l’istituzione del Consiglio Nazionale del Terzo Settore (CNTS), una disciplina revisionata per i Centri di Servizio per il Volontariato (CSV), nonché norme in materia di risorse finanziarie destinate a siffatti enti.

Il titolo IX (artt. 77-78), seppur formato da due soli articoli, reca disposizioni assai importanti in materia di titoli di solidarietà degli ETS ed altre forme di finanza sociale.

Il corposo titolo X (artt. 79-89), anch’esso di fondamentale importanza e con impatto innovativo rispetto al passato, contiene la disciplina del regime fiscale degli ETS, la quale, però, attende ancora oggi il vaglio dell’UE per la sua applicazione.

Il titolo XI (artt. 90-97), poi, detta disposizioni in materia di controllo e coordinamento, per una quanto più possibile – oltreché auspicabile – attuazione organica ed omogenea delle numerose novità introdotte.

Infine, il titolo XII (artt. 98-104), mediante apposite disposizioni transitorie e finali fra loro coordinate, effettua le dovute abrogazioni della normativa pregressa e detta le regole per la progressiva entrata in vigore della riforma.

Peraltro, sono numerose le disposizioni che non possono trovare ancora applicazione, da un lato perché talune novità non sono state introdotte ovvero interamente attuate, come ad esempio il RUNTS (5); dall’altro, perché la gran parte della normativa fiscale è ancora nel limbo, in attesa che sopraggiunga l’autorizzazione della Commissione UE ai sensi dell’art. 101 CTS.

Ultima notazione: considerate le finalità e l’oggetto della presente ricerca, l’analisi del CTS verrà in questo capitolo ristretta soltanto alle norme ritenute più rilevanti in relazione agli scopi prefissati.

3. La definizione codicistica di terzo settore.

Il legislatore delegato, dopo aver richiamato i principi ispiratori della riforma, anche di carattere costituzionale (6), inserisce all’art. 4 una definizione di ETS.

Ed in ispecie «sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro,

(5) Nel complesso, è stato stimato che per realizzare appieno il progetto di riforma contenuto nel CTS siano necessari ventiquattro decreti attuativi; eppure, solamente tredici provvedimenti sono già stati adottati al momento della redazione del presente elaborato. Fra essi, vi è anche quello inerente la regolamentazione del RUNTS; ad ogni modo, sul punto la riforma non può ancora dirsi compiuta, posto che rimane ancora l’ultimo tassello costituito dalla concreta attivazione, a livello di Regioni e Province autonome, degli Uffici territorialmente competenti (cfr. art. 53, comma 2, CTS).

beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».

Il metodo prescelto dal legislatore delegato consiste, anzitutto, nel richiamare espressamente tutti gli enti tipici direttamente disciplinati dal CTS, quali ODV, APS, enti filantropici e reti associative (7). La seconda parte dell’elenco prende in considerazione tipologie di enti storicamente inseriti all’interno del terzo settore, ma che continuano ancora oggi a trovare disciplina in normative speciali, avendo rinunciato il legislatore delegato ad inglobarle all’interno del CTS: il riferimento è alle cooperative sociali ed alle società di mutuo soccorso.

L’elenco delle figure tipiche ingloba anche le imprese sociali, che la Legge delega aveva fin dall’inizio previsto di disciplinare con apposito e distinto intervento normativo (c.d. CIS).

Segue, da ultimo, il richiamo a tutte le residuali forme associative, sia riconosciute che non riconosciute, nonché alle fondazioni ed agli altri «enti a carattere privato».

A ben vedere, tale formula di chiusura non coincide perfettamente, a livello lessicale, con quanto disposto dalla Legga delega, la quale, meramente, indicava gli «enti privati».

In altri termini, non sembra sussistere una perfetta coincidenza fra l’espressione «enti privati» e quella di «enti a carattere privato»; sotto questo punto di vista, peraltro, la possibile spiegazione può essere fornita in combinato disposto con il successivo comma 2 dell’art. 4, CTS, in base al quale vengono espressamente escluse talune tipologie di enti fra i possibili ETS.

Difatti, il lessico utilizzato nella Legge delega, evidentemente, era idoneo a creare criticità con riferimento a quegli enti che, sebbene privati (associazioni, anche non riconosciute, e fondazioni) non hanno per nulla «carattere privato», poiché, di converso, sono dotati di finalità collettive e mirano ad acquisire rilevanza pubblica.

Si tratta di quegli enti, quali le formazioni e associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati

(7) Tali enti, sebbene trovino diretta disciplina all’interno del CTS, sono pur sempre riconducibili ad una fra le categorie di enti privati analizzate nel precedente capitolo. Ad ogni modo, la loro tipizzazione sottende che per definirsi tali gli stessi debbano anche rispettare le specifiche regole imposte dal CTS.

dalla pubblica amministrazione, che non potranno mai divenire ETS in base alla riforma (8).

Esclusioni, queste, che trovano ragionevole giustificazione al cospetto dell’intento complessivo della riforma, con la conseguenza che l’adeguamento lessicale utilizzato dal legislatore delegato appare in linea con le finalità della Legge delega, ed uniforma maggiormente le due disposizioni in commento.

Così come non potranno mai divenire ETS, e sul punto nulla quaestio, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Proseguendo nell’analisi della definizione sopra richiamata, si rintraccia un’ulteriore specificazione della definizione legale, che ben si concilia con la visione di stampo soggettivo adottata dal legislatore delegato.

A tal proposito, pertanto, viene ulteriormente precisato che l’ETS è soltanto quel soggetto giuridico che, rientrando appieno nella definizione legale di terzo settore, sia altresì iscritto al RUNTS (9).

Come già anticipato in precedenza, dunque, il RUNTS diviene in tal modo uno fra i fulcri principali della riforma legislativa, in quanto condizione necessaria affinché l’ente possa accedere alla disciplina speciale prevista nel CTS.

Ed infatti, stando a quanto disposto dall’art. 4, comma 1., lett. m, Legge 106/2016, l’iscrizione al RUNTS è necessaria «per gli enti del Terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale o che esercitano attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici o che intendono avvalersi delle agevolazioni previste ai sensi dell'articolo 9 (n.d.r.: misure fiscali e di sostegno economico)».

Sia consentita, a margine, una comparazione con le indicazioni provenienti dalla Legge delega (10).

(8) Va per completezza specificato che ciò non si applica ai «soggetti operanti nel settore della

protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell'articolo 32, comma 4». Ed inoltre «sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d'Aosta» (art. 4, comma

2, ultima parte, CTS).

(9) Va da sé che il ruolo di controllo dell’Ufficio centrale preposto alla tenuta del RUNTS, così come a loro volta tutti gli eventuali uffici periferici, diventi la reale cartina di tornasole affinché si possa delimitare l’ambito soggettivo degli ETS, i quali, fermo il rispetto di ogni altra circostanza, sono tali in quanto – e fino a quando – risultano ivi iscritti. Requisito, per tali ragioni, considerato di natura costitutiva; di talché «un ente non iscritto al RUN non potrebbe qualificarsi come ETS e far uso della

relativa denominazione» (così FICI A., Fonti della disciplina, nozione e governance degli enti del terzo

Ivi, difatti, era stata fornita una definizione di terzo settore da identificarsi nel «complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi» (11).

A ben vedere, dal raffronto delle due definizioni emerge una discrasia di fondo fra terzo settore ed ente di terzo settore. O meglio, sebbene tutti gli ETS presuppongano la definizione di terzo settore, sembra proprio che quest’ultima possa non essere esclusivamente riferita all’operato degli ETS.

Ciò in quanto la qualifica stessa di ETS implica, necessariamente, l’iscrizione al RUNTS, la quale, a sua volta, si rende obbligatoria per accedere alle disposizioni premiali, soprattutto a carattere fiscale, presenti nel CTS.

Ma questo non toglie, opinando in astratto, che vi siano enti costituiti, in effetti, per perseguire integralmente le finalità richiamate nella definizione di terzo settore, ma che, al contrario degli ETS, non effettuino l’iscrizione al RUNTS. In tali casi gli enti non profit saranno soggetti alla disciplina tributaria di diritto comune riservata ai residuali enti non commerciali, fermo restando che la loro azione si esaurirebbe interamente nell’ambito del terzo settore legalmente inteso.

L’apparente stortura rivela, ad una più approfondita analisi, le carenze del legislatore delegato proprio in punto di attuazione della riforma. Come anticipato nell’ambito del precedente capitolo, difatti, la riforma del terzo settore avrebbe dovuto, in primis, interessare un sostanziale restyling del codice civile, riservando al CTS solo le disposizioni maggiormente premiali.

Viceversa, la logica della riforma è stata interamente appiattita sull’emanazione del CTS, creando un notevole divario fra la disciplina prevista dal codice civile per gli enti collettivi privati, e la normativa riservata agli ETS, sebbene, a rigore, entrambi i campi possano essere ricompresi nell’originaria definizione legale di terzo settore fornita dalla Legge delega.

(10) Si ricorda l’art. 1, comma 1, Legge delega: «per Terzo settore si intende il complesso degli

enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi».