Capitolo 5 La gestione e lo sviluppo dei lavoratori della conoscenza
5.4 La formazione
La maggior parte dei ricercatori e degli stessi sistemi di classificazione del lavoro considerano che la figura del knowledge worker non sia riconducibile esclusivamente al possesso di conoscenze e abilità ma faccia più ampio riferimento a valori e stili, leadership, capacità di dare significato al lavoro e, più in generale, al modo in cui le sue caratteristiche individuali contribuiscono alla performance (“the workplace within”).
La letteratura internazionale conferma che i knowledge worker sono soprattutto caratterizzati da un mix di competenze che è collegato ai contesti, alle tecnologie utilizzate, alla natura dei processi di lavoro trattati e al modello di divisione del lavoro. Tali figure apprendono, agiscono e rinforzano le proprie competenze entro tali contesti professionali e organizzativi.
Nel 1995 Blackler aveva valorizzato una classificazione della conoscenza rilevante per i knowledge worker (si veda, a proposito, anche Butera, Donati, Cesaria, 1997):
1 l’embrained knowledge, ossia l’insieme delle conoscenze concettuali e cognitive che consentono di comprendere, interpretare e mettere in discussione i paradigmi generali;
2 l’embodied knowledge, ossia quel corpo di conoscenze che si acquisiscono, anche implicitamente, nelle operazioni quotidiane. Zuboff (1988) la descrive come la conoscenza che nasce nella presenza fisica, nell’agire e nell’interagire con gli altri mentre Scribner (1986) la assimila al pensare pratico, come per esempio le tecniche di problem solving, che dipende più da un’intima conoscenza della situazione che da regole astratte;
3 l’encultured knowledge si riferisce al processo di condivisione della conoscenza, ed è parte del sistema di ideologie, cultura e valori che si crea in un’organizzazione. Dipende fortemente dai linguaggi ed è soggetta ad evoluzione;
4 l’embedded knowledge è la conoscenza che risiede nelle routine organizzative e si può analizzare nell’interrelazione tra ruoli, tecnologie, procedure, processi e routine. Nelson e Winter (1982) parlano di skill individuali ed organizzative, intendendo queste ultime come composte da un insieme di fattori interpersonali, tecnologici e socio-strutturali;
5 l’encoded knowledge è l’informazione che risiede nei segni e nei simboli, nei libri e nei manuali.
Pur proponendo classificazioni in parte diverse e talvolta provocatorie, tutte le ricerche più recenti (Kessels 2001; Farrell, 2004, 2006; Bagnara 2006; Butera, 2006; Sommerville & Lloyd, 2006, Kelley, 1998) concordano sul fatto che, al di là degli specifici contenuti di conoscenza, ciò che identifica e caratterizza i knowledge worker, sono metacompetenze e competenze più ampie:
• Problem solving, reflective skills and metacognitions, communication skills, self-regulations of motivations and affections (Kessels, 2001)
• Stili e tratti di leadership professionale, “motore delle knowledge economy ed elemento costitutivo chiave del knowledge worker” (Tichy, 2002)
• Conoscenze “emotive”, di comunicazione, sociali e di comprensione del contesto, in quanto solo il 30% dei knowledge worker è un pensatore originale (knowledge provider) mentre tutti gli altri sono knowledge integrator che elaborano e fanno convergere conoscenze già disponibili (Butera, 2006).
A queste competenze si aggiungono contenuti di natura metodologica che sono sempre più necessari in tutti i settori industriali e di servizio. Tra questi si possono richiamare a titolo di esempio metodologie quali Six Sigma, TPM, analisi lavoro, change management, project management, market analysis.
Sapere quali siano le competenze chiave che caratterizzano i lavoratori della conoscenza non significa necessariamente svilupparle con efficacia. L’Europa si è data l’obiettivo di diventare entro il 2010 “l’economia della conoscenza più dinamica e competitiva nel mondo” ma, ad oggi, i progressi sono ancora poco visibili e mal distribuiti. Questi ritardi sono spiegati, oltre che dal deficit di risorse disponibili in economie che crescono lentamente, anche dalla difficoltà di conciliare interessi ed obiettivi in parte divergenti. Ad esempio, nonostante un generale riconoscimento dell’importanza della conoscenza, spesso le rappresentanze sindacali mostrano di preferire, alle competenze e metacompetenze complesse e alle metodologie, programmi di formazione tradizionali, relativi a skill analitiche più facilmente “trasportabili” e accreditabili.
Inoltre le imprese si trovano a dover scegliere tra l’esigenza di favorire il libero e vitale fluire del knowing (che crea, nella rete delle relazioni, contaminazioni e combinazioni inaspettate) e quella di “commodificare” il knowledge (manuali, tecnologie, knowledge base) per renderlo riconoscibile dal mercato e potenzialmente brevettabile (Scarbrough, 1999).
Un fenomeno del tutto simile è rilevato anche da Kreiner & Shultz, per i quali nelle imprese si crea spesso una contraddizione paradossale tra l’affermazione della confidenzialità delle informazioni e delle conoscenze, di cui rivendicano la proprietà, e la necessità di lasciare che i lavoratori della conoscenza collaborino informalmente anche con colleghi di altre aziende.
Tutte le fonti concordano nell’affermare che sono necessarie nuove strategie di supporto all’apprendimento.
La crisi delle modalità tradizionali di formazione e di diffusione di conoscenze “commodificate” ha aperto un importante dibattito sulle modalità di apprendimento dei lavoratori della conoscenza. Circa il 50% dell’efficacia dell’apprendimento in azienda è associata a modalità di apprendimento legate all’azione (ojt, mentoring & coaching, special assignment) mentre un 30% è riconducibile alla “rete sociale”. Modalità più tradizionali quali l’aula, i manuali o i workshop coprono complessivamente solo il 20% rimanente.
Poell & Van der Krogt (2003), descrivono diverse strategie di apprendimento tutte adottabili in contesti organizzati. Nella realtà, però, queste strategie si combinano in base ad una serie di fattori: gli obiettivi (spesso divergenti) dei diversi attori interessati, il tipo di organizzazione del lavoro, l’articolazione e la complessità delle competenze in gioco, eccetera. La modalità effettiva di apprendimento è quindi la risultante di una negoziazione di obiettivi che le stesse aziende (e le relative strutture HR) dovrebbero favorire e facilitare.
Actor Vertical learning project
Horizontal learning
project External learning project Liberal learning project
Workers Enroll in a fixed learning programme after consultation: 1 Suggest ideas 2 Provide information 3 Enroll in programme
Solve work problems and reflect upon the
approach being used: 1 Find common approach 2 Create programme by doing 3 Reflect together on practice
Experiment with new work methods developed outside the organization: 1 Appropriate new work method
2 Experiment with new method
3 Adapt work to new method
Create individual
arrangements to learn and solve work problems: 1 Monitor coherence in activities
2 Agree individual programme with manager 3 Undertake activities individually Managers Determine the course of the programme based on workers’ info: 1 Determine approach 2 Make list of activities 3 Coach learners
Support group discussion and problem redefinition: 1 Support joint approach 2 Co-organize
improvement activities 3 Support reflection by learners
Provide conditions for professional development of workers: 1 Determine conditions at a distance 2 Encourage professional consultation 3 Provide facilities
Agree with individual workers to establish a self-directed learning route:
1 Set boundaries of self-directed learning 2 Monitor progress of individual activities 3 Help workers practise on the job HRD staff Design a didactically sound learning programme: 1 Translate views of managers 2 Make learning programme 3 Provide training and support Counsel reflection sessions and group learning process: 1 Help learners determine approach 2 Help learners reflect on approach
3 Counsel learners reflecting on practice
Help workers adapt work to newly developed methods:
1 Suggest approaches to expertise development 2 Help learners adapt work
3 Compare learner experiences to external model
Help workers create a coherent
self-directed learning programme:
1 Help learners conceive of programme
2 Mediate for learners, give
Advice
3 Counsel learners through
self-study and problem solving
Learning-project strategy
Direct
representation Continuous adaptation Professional innovation
Individual negotiation
Apprendimento e formazione sono sempre più incorporati nei processi di lavoro. Le persone imparano “in situazione” affrontando quotidianamente problemi, interagendo con interfacce tecnologiche, ma anche con colleghi interni ed esterni all’organizzazione di appartenenza (Lave & Wenger, 1991). Conseguentemente anche il ruolo dell’ente formazione o della scuola aziendale cambia:
• Deve saper fare diagnosi, comprendendo meglio le strategie personali e sociali di apprendimento e sviluppando la consapevolezza necessaria ad adottare stili di pensiero convergenti, divergenti, critici, intuitivi.
• Deve fare leverage dell’apprendimento che avviene dentro i processi di lavoro, valorizzando il ruolo fondamentale dei manager, dei coach, degli stretti collaboratori e dei colleghi.
• Deve dominare e combinare sapientemente strumenti quali incarichi speciali, mobilità, discussioni di gruppo, sistemi elettronici di supporto alle performance, giochi e simulazioni, ricerche orientate ad un task.
• Deve saper disegnare corporate curricula che anziché delinare percorsi rigidi, propongano rich landscape tra i quali il lavoratore della conoscenza possa scegliere in base ad obiettivi e al proprio stile di apprendimento.
Grazie alla sempre maggiore diffusione dei knowledge worker, a partire dalla metà degli anni ’90 si sono diffusi negli Stati Uniti esempi concreti di collegamento tra processo formativo, documentazione di processo, certificazione degli skill posseduti dagli operatori e sistemi retributivi.
Nel 1995, Estrada -un consulente americano- ha descritto alcuni esempi significativi di “formazione funzionale”. Come si è detto, la formazione tradizionale d’aula risulta estranea a processi di lavoro che sono sempre più specifici e, pertanto, finisce per risultare “teorica” e di difficile applicazione concreta. D’altra parte il training on-the-job rischia, in un periodo di cambiamenti continui, di trasferire e perpetuare abitudini, modi di fare e stili di lavoro che sono superati. La “formazione funzionale” parte invece dall’analisi dei processi di lavoro, coinvolge gli operatori nell’attività di documentazione dei processi presidiati e definisce insieme a questi ultimi gli skill necessari a governare tali processi e le conseguenti modalità di acquisizione e certificazione. Secondo Estrada, le caratteristiche della “formazione funzionale” applicata ad uno stabilimento sono riassumibili in otto principi:
• Systematic: La formazione si occupa in modo sistematico di tutto l’ambiente di stabilimento. Si fonda sull’analisi e la definizione della tecnologia di stabilimento, sugli obiettivi di apprendimento dell’azienda, di ogni ruolo e di ciascun operatore.
• Total Learning: la formazione è pervasiva. Deve dare al lavoratore il controllo di tutti i processi riconducibili al ruolo. Ognuno nello stabilimento deve sapere cosa fare, perché, quali decisioni è chiamato a prendere e, infine, quali sono i vincoli al processo decisionale; oltre alla capacità di svolgere il proprio lavoro, la persona deve anche comprendere pienamente le attività su cui opera e come queste ultime sono collegate al resto dello stabilimento.
• Line Function: La formazione è una funzione di linea che vede la responsabilizzazione di ciascuno per lo sviluppo e la formazione di colleghi e collaboratori. Gli operatori e i supervisori sono preparati a svolgere il ruolo del trainer e a supportare le persone in
crescita. Ogni dipendente apprende ad apprendere ed è preparato a partecipare con determinazione al proprio sviluppo.
• Everyone Gets Trained: Nel contesto attuale, il management non riesce a assumere persone che hanno già tutte le qualificazioni per svolgere un lavoro molto contestualizzato in termini di metodi, pratiche, tecnologie. È sempre necessario formarle. Troppo spesso la formazione è disorganizzata e occasionale.
• Not in a Vacuum: Anche gli approcci più efficaci falliscono se la formazione è “appesa al nulla”. Troppo spesso persone ben addestrate sono sabotate da chi non ha partecipato al processo (“lascia perdere cosa ti hanno spiegato, qui da noi le cose si fanno così”..). La formazione funzionale si assicura che ogni persona di linea partecipi consapevolmente al processo e si senta responsabile dei risultati.
• Follow Through: Solo la formazione rinforzata e ripetuta risulta efficace nel tempo. La formazione per “eventi” insegue solo le mode. Sono piuttosto necessary “follow-through” sistematici che devono entrare a far parte intergrale del percorso di apprendimento.
• Relevance: La formazione si concentra sul lavoro che deve essere svolto e l’apprendimento avviene nel contesto nelle attività da svolgere. Le persone imparano on site, facendo direttamente o utilizzando simulazioni molto vicine alla realtà.
• Measurement: I risultati della formazione sono misurabili obiettivamente. La formazione funzionale richiede alla persona di dimostrare sul campo gli skill appresi.
Più recentemente anche altri ricercatori, manager e consulenti sono giunti a conclusioni e hanno descritto esperienze analoghe (si vedano ad esempio: Brown, Duguid, 2000; Prusak, Cohen, 2001; Scarbrough, H., 1999; Wenger et al. 2000).
Europa ed Italia sono in ritardo nella realizzazione di programmi di formazione funzionale o di apprendimento “context specific”.
Anche in Europa, i sistemi pubblici di classificazione e regolazione del lavoro e le ricerche concordano sul fatto che il reale contributo alla persona dei programmi di formazione aziendale non vada misurato soltanto in termini di conoscenze e abilità trasferite ma, piuttosto, in termini di metacompetenze, competenze contestuali e rinforzo dell’identità professionale. Sono infatti queste a fare la differenza tra un lavoratore tradizionale ed un “lavoratore della conoscenza”.
Sia pure a fatica, anche in Europa e in Italia si sta affermando una comprensione più ampia del tipo di competenze che danno identità e distintività ai lavoratori della conoscenza. Purtroppo,
però, questa timida consapevolezza finisce per arenarsi di fronte alle insufficienze del sistema tradizionale di istruzione e formazione.