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Scelte di mobilità per i lavoratori della conoscenza

Capitolo 4 Il dinamismo di conoscenza e organizzazione

4.1 Scelte di mobilità per i lavoratori della conoscenza

Quali possono essere le possibili cause, sia individuali che contestuali, che incidono e influenzano la decisione alla mobilità per i lavoratori nella economia della conoscenza?

Molte ricerche, sia in letteratura economica che sociale, hanno esplorato tale questione concludendo, seppur in modalità diverse per approcci e modelli teorici di riferimento, che la mobilità è un problema complesso che coinvolge congiuntamente dimensioni del lavoro, del lavoratore e del sistema sociale.

Lenzi (2006), ad esempio, per spiegare la decisione alla mobilità nella ricerca sugli inventori italiani attivi nel settore farmaceutico, riassume alcuni autorevoli contributi, formulando che la decisione alla mobilità può dipendere dall’offerta esterna di lavoro (V), dalla contro-offerta dell’attuale datore di lavoro (W) e dal costo della mobilità (C)16.

In altre parole, secondo questo approccio di taglio prettamente analitico, la probabilità che avvenga la mobilità si realizza quando l’offerta di lavoro esterna supera la contro-offerta dell’attuale datore di lavoro alla quale và aggiunto il costo della mobilità.

È possibile pensare, secondo Lenzi (ibidem), ad una serie di fattori che incidono su tutte o alcune di queste variabili come:

le caratteristiche dei lavoratori;

le caratteristiche della conoscenza (qualità e incremento); strategie aziendali di retention e attraction;

gli effetti del network;

domanda locale (localizzazione geografica).

Per caratteristiche dei lavoratori si considerano l’esperienza, la produttività, il genere, il tipo di posto di lavoro attuale. L’effetto dell’esperienza, ad esempio, non si può considerare lineare (come argomentato da Topel e Ward): i lavoratori durante i primi 10 anni di carriera tenderanno a cambiare maggiormente lavoro, rispetto ai periodi successivi, in cui la probabilità di mobilità decresce. L’incremento della contro-offerta dell’attuale datore di lavoro (W), secondo Lenzi, avviene quando il valore del lavoratore è già conosciuto all’azienda corrente che potrebbe preferire pagare un maggior salario piuttosto che cercare un nuovo lavoratore. Il genere e l’esperienza influenzano largamente l’effetto della mobilità poiché essere donna decresce la probabilità della mobilità. Il tipo di datore di lavoro attuale può incidere sulla probabilità di mobilità ad esempio quando lavorare all’università, in una azienda privata o in una pubblica organizzazione richiede l’adozione di un set di norme, pratiche e routine. Di conseguenza il cambiamento di lavoro, quando accade tra differenti tipi di organizzazioni, implica alcuni costi. Il livello di istruzione è considerato come un segnale di skills e si attende che abbia un positivo effetto sia sull’offerta esterna che sulla contro-offerta dell’attuale datore di lavoro. La produttività di un lavoratore rappresenta un proxy delle abilità del lavoratore e della sua adeguatezza alle attività dell’azienda, per questo motivo le aziende competono al fine di attrarre e trattenere i migliori lavoratori. Gli effetti della produttività, secondo Lenzi, si attende che siano positivi sia l’offerta di lavoro esterna che sulla contro-offerta del datore di lavoro attuale. Gli effetti del network sono collegati alla capacità di saper far rete di un lavoratore: se un lavoratore è ben collegato all’interno di un fitto network di relazioni con altri attori avrà maggiori probabilità di essere informato riguardo alle nuove occasioni di lavoro e avrà maggiore probabilità di spostarsi. L’ubicazione geografica dei lavoratori influenza la probabilità di mobilità: lavorare in regioni altamente industrializzate, dove sono localizzate molte aziende-università-centri di ricerca, rende meno costoso lo spostamento dall’attuale lavoro a uno nuovo, sempre all’interno della stessa “ricca” e stimolante area.

Altra ricerca importante è quella condotta da Riva (2008) nell’area metropolitana milanese, per studiare gli spostamenti lungo l’asse orizzontale dal settore tradizionale al “nuovo terziario” e, nello specifico, tra posizioni lavorative collocate in differenti settori d’impiego. L’indagine si è mossa dall’ipotesi che, per le forze di lavoro dotate di maggiori risorse formative e sociali, come ad esempio coloro che lavorano nella economia della conoscenza, viene meno “il senso e il valore della carriera come istituzione sociale e acquista uno spazio crescente il protagonismo individuale, sotto forma di una costante tensione a conseguire ciò che più viene ritenuto come avente importanza per l’esperienza personale e per la costruzione della propria identità; il tutto in rapporto a una più diffusa domanda di qualità, del lavoro e della vita (Borlini, Zajczyk, 2007). La ricerca

approfondisce soprattutto le dimensioni individuali legate alla motivazione, aspettative, preferenze che generano e orientano il cambiamento.

L’aspetto originale di questa ricerca, condotta su un campione di 30 lavoratori17, in un’età compresa tra i 30 e i 55 anni, che ha lasciato il precedente ambito professionale e lavorativo per approdare al terziario attiene soprattutto alla scelta di tre diverse chiavi di lettura/strumenti concettuali dei passaggi adottati: l’approccio del “corso di vita” in cui le carriere lavorative sono interpretate come insieme di tanti fattori (biografia individuale, cerchia sociale, esperienze e cambiamenti ecc..), la “cultura del progetto” e la “career theory” in cui, soprattutto per i profili professionali maggiormente qualificati, aumentano le opportunità di movimento.

I risultati della ricerca e quindi le esperienze raccolte nel corso delle interviste per approfondire il tema della mobilità job to job, nella specifica area del terziario milanese, hanno rilevato che vi sono elementi ricorrenti nelle traiettorie/transizioni analizzate.

La decisione alla job mobility, come argomentato nelle pagine precedenti, non dipende solamente dall’utilità economica per il lavoratore, ma, proprio perché si tratta di un fenomeno complesso, coinvolge altre dimensioni della persona, come variabili biografiche, il livello di istruzione, esperienze di mobilità, attitudine e aspettative ecc.., egualmente determinanti nella scelta. Inoltre, la job mobility, non deriva solamente da una scelta volontaria del lavoratore, ma, anche, da quella del datore di lavoro, definita, in questo caso, “forced job mobility”.

Prendendo spunto dai risultati di questa e di altre ricerche, si può tentare di generalizzare tali indicatori, come variabili afferenti alla dimensione soggettiva, che incidono sulla decisione dei lavoratori della conoscenza sulla mobilità job to job:

da un punto di vista soggettivo la direzione dei percorsi di carriera deriva da un complesso di interessi, valori, attitudini ed, in particolare, dalla volontà di lavorare in autonomia e indipendenza, “autonomia nel lavoro, più che del lavoro;

il protagonismo nel lavoro per ricavare spazi di affermazione e riconoscimento;

la gestione autonoma dell’orario e del ritmo di lavoro per gestire una rimodulazione personalizzata ossia di incremento delle ore dedicate alla professione;

interesse e domanda per la qualità della vita entro la quale si instilla il senso assegnato al lavoro;

17 Nell’indagine sono stati intervistati 30 lavoratori con livelli scolastici e formativi mediamente alti e mansioni diversificate come: professionisti di elevata specializzazione (esempio Business Manager, promotore finanziario, project manager, consulenti), profili generici nei servizi alla persona, figure addette ad attività di raccolta fondi, titolari di esercizi nel settore alberghiero e ristorazione, piccoli imprenditori, mediatori immobiliari ecc..

lavoro come fonte di compiacimento più profonda con cui rinforzare il proprio carattere, la dimensione più intima del sé;

cambiamento di lavoro come espressione di una necessità personale ovvero flusso di passioni e interessi, lavorativi e non, che ingrossa progressivamente la sua portata in una sorta di carriera parallela a quella professionale, fino a trovare il modo di emergere in superficie e dunque rivelarsi. (…) queste dedizioni diventano così rilevanti a livello identitario che il cambiamento di lavoro si fa impellente in quanto espressione di una necessità personale;

fugacità e indeterminatezza delle logiche e degli obiettivi che sembrano accompagnare molti dei passaggi lavorativi studiati;

dimensione della sfida (Schein, 1990) ovvero il desiderio che il lavoro riesca a garantire stimoli continuativi, rinnovandosi ininterrottamente e offrendo inoltre una componente di rischio, elemento quest’ultimo indispensabile per dare seguito ad una evidente quanto irrinunciabile smania di novità;

carriera come episodi o progetti lavorativi, autodiretta ovvero composta da un insieme di episodi o progetti lavorativi, di durata circoscritta e affidati alla responsabilità degli interessati, che a loro volta confluiscono entro molteplici progetti di vita, essi stessi aperti a nuove e molteplici evoluzioni;

vicende e circostanze negative per esempio per l’iniziale natura difensiva e adattiva di alcuni dei percorsi indagati;

variabile dell’età poiché sembra delinearsi un confine simbolico che delimita e separa la fase del corso di vita entro la quale si ritiene lecito sperimentarsi e mettersi alla prova da quella in cui non si reputa più conveniente avventurarsi in nuovi episodi occupazionali; il capitale umano ossia la disponibilità ad aggiornare le conoscenze possedute o

conseguire nuovi saperi;

il capitale sociale di cui si dispone, o meglio, l’abilità di impiegarlo secondo la finalità desiderata;

valutazione sociale del settore d’impiego ovvero la capacità di produrre un’identità lavorativa e professionale riconosciuta e apprezzata;

le ricadute a livello individuale e le ripercussioni che il cambiamento di lavoro produce sulla condizione personale.

Tutto questo appare quindi confermato in linea teorica. L’analisi della realtà che si può fare leggendo le ricerche (i.e. Eurofound, 64.1) e gli studi specializzati fornisce un visione del contesto che si può riassumere in alcune considerazioni principali.

Livelli di mobilità

‐ la forza lavoro europea è meno mobile di quella americana. I lavoratori europei sono molto più restii a spostarsi verso luoghi dove il lavoro è maggiore. Per tale motivo i lavoratori americani sono stati definiti movers mentre quelli europei stayers;

‐ solo il 18% degli europei si è trasferito al di fuori della propria regione, il 4% in un altro Stato Membro e il 3% al di fuori dell’Unione (in Usa il 32% dei cittadini vive al di fuori del proprio stato di nascita);

Principali motivi del trasferimento

‐ il 34 % ha dichiarato come motivo del trasferimento un nuovo posto di lavoro o un trasferimento

professionale;

‐ il 38% ha citato ragioni economiche, poi, anche per migliori condizioni di vita;

‐ il 18 % per cambiamento nelle relazioni di coppia o stato civile;

‐ gli uomini, per il 44%, dichiarano di trasferirsi per un nuovo lavoro rispetto al 27% delle donne;

Profilo dei soggetti che si trasferiscono

‐ sono molto più propensi al trasferimento i lavoratori giovani e con livelli di istruzione più alti: questo può costituire un guadagno per il paese di accoglienza ma, anche, una perdita per il paese di origine;

‐ sono i soggetti ben istruiti a trasferirsi;

‐ la fascia che va dai 25 ai 34 anni si è trasferita tanto quanto le generazioni più anziane ma in minor tempo; ‐ percentuali sono pressoché uguali tra uomini e donne.

La mobilità su grandi distanza sta subendo un processo di femminilizzazione;

‐ differenze nazionali: è più alta nei paesi nordici

Intenzione di emigrare

‐ i cittadini europei sono ampiamente a favore della mobilità. Il 49% ritiene che sia vantaggiosa per l’individuo, il 50% per il mercato del lavoro, il 62% per l’integrazione europea.

‐ tuttavia si registra una discrepanza tra quanto dichiarato e quanto in realtà accade: il 70 % non ha intenzione di trasferirsi nei prossimi 5 anni;

Ripartizione per Paese

‐ i flussi potenziali di cittadini in uscita dai nuovi Stati membri sono di portata considerevole: sebbene le percentuali nazionali di coloro che intendono lasciare i nuovi Stati membri siano basse, le cifre assolute potrebbero essere piuttosto consistenti. Una percentuale compresa tra il 2,4% e il 3,6% della popolazione in età lavorativa in Polonia ha espresso la propria ferma intenzione di trasferirsi in un altro paese dell'Unione nei prossimi cinque anni. Alla luce di una popolazione attiva che conta circa 25 milioni di persone, ciò potrebbe tradursi in un potenziale flusso in uscita compreso tra le 600 000 e le 900 000 persone nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010. Inoltre, i risultati indicano che i livelli futuri di mobilità geografica potranno essere più alti rispetto al presente;

‐ i 4 Nuovi Stati Membri ad alta mobilità sono: Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia mentre i 4 paesi ad alta mobilità dell’Eu15 sono: Danimarca,

Finlandia, Irlanda e Svezia;

Schemi futuri

‐ coloro che hanno intenzione di trasferirsi dai Nuovi Stati Membri ad alta mobilità sono giovani,

soprattutto con meno di 35 anni e ben istruiti;

Fattori che influenzano la mobilità

‐ la mobilità va di pari passo con il successo economico. Per le economie nazionali, maggiori livelli di mobilità geografica e professionale si associano a tassi più elevati di crescita del PIL e di occupazione e a minori tassi di disoccupazione a lungo termine. Per il singolo individuo, la mobilità inter-regionale per motivi di lavoro si associa a tassi di occupazione maggiori e migliore accesso

all'impiego a tempo indeterminato, mentre la mobilità dell'impiego è associata alla mobilità occupazionale verticale;

‐ il tipo di regime di previdenza sociale influenza i livelli di mobilità infatti gli stati sociali di tipo liberale (Irlanda e Regno Unito) e i regimi di tipo social-democratico (Paesi Bassi e paesi scandinavi) fanno registrare i livelli più elevati di mobilità professionale; ‐ la mobilità geografica e quella professionale sono

connesse ovvero i paesi caratterizzati da alti livelli di mobilità geografica registrano anche livelli elevati di mobilità professionale;