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La qualità del lavoro della conoscenza

Capitolo 3 I lavoratori della conoscenza

3.3 La qualità del lavoro della conoscenza

Sull’infinita varietà dei processi, sulla grande molteplicità dei ruoli, sulle responsabilità, sullo status, sulle forme di gestione e su tutte le altre peculiarità che caratterizzano questa area di lavoratori si parlerà meglio, e in maniera più approfondita, in altre parti di questo libro. Ciò che si proverà a fare adesso è invece tentare di identificare alcune caratteristiche generali che appaiono come comuni al lavoro della conoscenza che caratterizza, ad esempio, uno scienziato, un artista, un medico, un progettista, un esperto di marketing, un manutentore di grandi impianti, un addetto ad

un ufficio ministeriale. Per farlo si è preso spunto dalle Lezioni Americane, ultimo scritto di Italo Calvino15.

La prima qualità del contenuto professionale dei lavoratori della conoscenza è la leggerezza, rappresentata dalla portata della sua immaginazione ed elaborazione che deriva dalla capacità di astrazione per la ricerca di soluzioni “nuove ed utili” (facendo diretto riferimento a Henri Poincaré), ovvero riuscire a far emergere dalla prassi dimensioni che vanno ad assumere un significato diverso da quello che hanno fin d’ora avuto. Il lavoratore della conoscenza è padrone della leggerezza poiché è in grado di guardare le cose riuscendo a tramutare l’osservazione in un momento di produzione, precisa e determinata, che nasce dal sinolo di pensiero e conoscenza e che riesce ad avere un effetto costruttivo sulla realtà.

La seconda caratteristica è la rapidità diventata oramai il regime quotidiano di lavoro (da non confondere con il ben diverso regime di urgenza). La rapidità del lavoratore della conoscenza è una rapidità mentale fatta di una competenza che riesce a trovare connessioni tra le cose e che, facendo largo uso del dominio del sapere, costruisce una cultura professionale che si rende visibile, che riesce ad esplicitare metodi e contenuti e che sperimenta il nuovo nel continuo circolo virtuoso tra analogie e trasposizioni. La caratteristica della rapidità, che in ultima analisi aspira all’idea di eccellenza, si esplica dunque – riprendendo l’esempio calviniano di Mercurio – proprio nella capacità del lavoratore della conoscenza di stabilire relazioni tra i bisogni e le risorse, tra i soggetti delle reti (esistenti e potenziali), tra le necessità e le potenzialità, tra la teoria e la pratica.

La terza caratteristica è l’esattezza. Per esattezza Calvino intende tre cose: un disegno ben definito dell’opera, l’evocazione di immagini visuali nitide e l’uso di un linguaggio preciso. Per il lavoratore della conoscenza questo si definisce in un disegno ben definito e calcolato (almeno negli obiettivi di medio e lungo termine), consapevolezza delle direzioni di intervento e dell’insieme di tecniche da utilizzare e nell’uso di strumenti di verifica. Forse meno visibile, ma di importanza strategica, è la questione del riallineamento delle competenze. Capacità insita della definizione di esattezza è infatti la possibilità (necessità) di ridefinire le proprie competenze e di riposizionare il proprio intervento nei sistemi organizzativi mutati e nelle mutate esigenze gestionali. L’importanza di quest’ultimo aspetto è strettamente legata al fatto che una perdita di tale capacità porta inesorabilmente alla perdita di ‘status professionale’ che si esprime poi anche in una perdita di

15 Lo scritto è ricavato da una selezione postuma del ciclo di lezioni per l’università di Harvard che l’autore stava preparando quando è stato colpito dalla malattia che lo ha condotto improvvisamente alla morte. Nel 1985 Calvino ha 62 anni e viene invitato (primo tra gli italiani) a tenere un ciclo di lezioni alla Harvard University. È per quell’occasione che Calvino prepara quelle che nei suoi appunti chiama Six memos for the next millennium di cui si ritroveranno compiute solo le prime cinque. Calvino dedica le conferenze proprio a quelle che nel suo percorso ha trovato essere le qualità della letteratura, cercando così di gettare le basi per la loro continuità nel nuovo millennio: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e Consistenza. Il discorso di Calvino è, per ovvi motivi, fortemente focalizzato sulla letteratura; tuttavia, l’impianto speculativo presenta degli interessanti risvolti utili all’analisi sui lavoratori della conoscenza.

potere contrattuale nella definizione dell’entità retributiva. Proprio per questo è davvero interessante la discussione che Calvino porta avanti circa la sensibilità. Egli sottolinea come tutte le professioni (e le discipline correlate) con un’alta presenza di contributi relazionali incontrano notevoli difficoltà nell’esprimere una loro entità misurabile per il lato ineliminabile di indeterminatezza del loro apporto professionale. A questa indeterminatezza si associa l’idea di “sensibilità” come capacità di lettura dei bisogni e delle risorse. Il lavoratore della conoscenza è difatti chiamato, anche e soprattutto per riuscire a quantificare degnamente il proprio apporto lavorativo, a rispondere in maniera esaustiva al rapporto tra le variabili maggiormente non controllabili.

Il lavoratore della conoscenza deve, inoltre, essere visibile. Nell’analisi di questa caratteristica non si può non fare diretto riferimento alla legittimazione della figura all’interno della più ampia questione economica. Calvino parla delle due forme che si avranno nel futuro per non perdere la nostra facoltà di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi (Calvino, 1978): o riciclare immagini usate in un nuovo contesto che ne cambi il significato, o fare il vuoto per ripartire da zero. Si può provare a vederne, tra le righe, l’interessante similitudine con il dibattito, ancora non del tutto concluso, sulle forme per fare innovazione (mettere a fuoco visioni a occhi chiusi). Il lavoratore della conoscenza deve, a questo proposito, proporsi chiaramente come l’artefice di elaborazioni anche di forme preesistenti ma in modalità nuove volte a creare forme (mentali) innovative oltre che, nella loro accezione creativa, essere in grado di creare oggetti e forme non esistenti in precedenza.

L’ultima lezione che Calvino riuscì a scrivere è all’insegna della molteplicità e tratta del “Metodo di conoscenza e soprattutto rete di connessione tra i fatti, le persone, le cose del mondo”. La molteplicità del lavoratore della conoscenza è ricchezza e allo stesso tempo vincolo: ricchezza per le infinite aperture di conoscenza ed esperienza che consente, e vincolo perché la rilevazione della pluralità inevitabilmente espone all’aumento della complessità generale: “saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo” mirando non “alla stabile compattezza di un pensiero sistemico ed unitario” quanto alla confluenza di “una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare, stili di espressione” (cit). Si comprende adesso perché il lavoratore della conoscenza è, a buon diritto, il professionista della molteplicità: il prerequisito fondamentale è difatti la conoscenza e lo sviluppo di competenze (oltre che la capacità di saperle identificare e gestire). La conoscenza cui si riferisce Calvino è propriamente una conoscenza lontana dal nozionismo puro, bensì vicina ad un processo allargato che vede nel reperimento, nell’auto-educazione cognitiva e nella elaborazione ultima delle informazioni, il naturale sostrato all’amministrazione della molteplicità. Molteplicità, dunque, come stimolo all’apprendimento continuo e circolare, che spinge la conoscenza più che i contenuti, che promuove

i processi sociali più che le singole prestazioni professionali, il porsi domande più che il ricercare risposte per analizzare ciò che è “potenziale, congetturale, plurimo”, mettendo in conto revisioni dei propri modi di vedere e di rappresentare i percorsi di azione, accettando eventuali errori e contabilizzando positivamente ritorni mirati alla scoperta di nuove risorse.

L’ultima caratteristica è la consistenza. Per questa ultima caratteristica è bene partire dall’impotenza e dal suo contrario, l’onnipotenza, che rappresentano i due poli al centro dei quali si trova la consistenza. C’è impotenza nel lavoratore della conoscenza allorché si è inevitabilmente convinti che il proprio apporto professionale sarà ineluttabilmente modificato dal mutare degli agenti esterni e c’è onnipotenza allorché si pensa, specularmene, che il proprio agire professionale possa modificare il mondo esterno non cogliendo gli inevitabili vincoli che da questo potranno venire. A metà strada troviamo la professionalità matura del lavoratore della conoscenza: un esserci solido e fattivo, con un contributo di obiettività professionale determinante che deriva da una osservazione disillusa del reale, di cui si cerca di conoscere con esattezza limiti e vincoli per riuscire, così, a lasciare un segno di fattività utile e di professionalità valida.

Analizzando, in ultimo, l’apporto professionale ad un livello più di dettaglio, si ha che la professione di un lavoratore della conoscenza normalmente fa riferimento ad una ‘struttura’ che riguarda competenze di tipo specialistico sulle quali, spesso, il lavoratore è uno dei pochi all’interno dell’organizzazione a poter vantare quel livello di presidio. Sono conoscenze che richiamano un lavoro di tipo concettuale, analitico, di elaborazione e ricerca per la creazione di risposte a problemi non strutturati, maturate in contesti formativi di elevato livello e formalizzati nei titoli e nelle appartenenze ad associazioni di categoria e che il lavoratore utilizza per assolvere al compito che, nella normalità, è caratterizzato da un’alta responsabilità personale e da un alto presidio dell’organizzazione più sui risultati e sull’output del proprio lavoro che sulle procedure operative.

Il contesto di riferimento è spesso imprevedibile a priori, mutevole al mutare delle condizioni al contorno, riferito e trasversale a più contesti e quasi mai ripetitivo nei contenuti e negli ambiti. Il processo che ne deriva è poco formalizzato nelle sue componenti di fasi ed operazioni quanto più, invece, lo è negli input e negli output, oltre che nelle prestazioni e nei risultati da raggiungere. Il lavoratore della conoscenza ha, inoltre, nel proprio contesto medio di azione numerose e frequenti interazioni con strumenti moderni e dall’alto contenuto tecnologico ed informativo. Si può, in generale, discernere tra due tipi di strumenti cui fa riferimento: un primo di supporto – di tipo organizzativo, logistico e procedurale – al proprio lavoro ed un secondo afferente alle peculiari mansioni produttive.

Il ruolo, infine, fa riferimento ad azioni creative, quasi esperenziali più che procedurali, inerenti la ricerca, l’innovazione, i domini gestionali, organizzativi e manageriali, ma soprattutto

che, utilizzando la risorsa conoscenza, riescano a stabilire una rete dei collegamenti all’interno dell’organizzazione: le relazioni sono dunque profondamente variegate e plurime, vanno dai clienti esterni a quelli interni all’organizzazione, possono riguardare diversi ambiti e fare riferimento a variegati registri comunicativi.