Capitolo 5 La gestione e lo sviluppo dei lavoratori della conoscenza
5.1 La funzione di Direzione delle Risorse Umane
Recentemente Davenport (Davenport 2005, Dulebohn 2006, Johnson 2006) ha sostenuto che un sistema efficace di organizzazione e gestione dei knowledge worker deve abbracciare diversi aspetti: dalla cultura, all’organizzazione del lavoro, al layout. Più precisamente, per questo autore è necessario:
• prevedere un collegamento tra i processi di lavoro e le diverse attività di creazione, distribuzione e applicazione (processi e modalità di misura);
• andare al di là dei repository aziendali e considerare le tecnologie (PDA, instant messaging, pager, laptop, process mapping tool, data mining, collaboration tool, expert profiling, ecc) come strumenti che aiutano gli individui a trattare più efficacemente ed efficientemente informazioni e conoscenze (tecnologie personali), sapendo che questo tipo di lavoratori resistono ai sistemi esperti e ai copioni già scritti e preferiscono “connettere i punti tra loro in modo collaborativo”;
• adottare modalità per favorire lo sviluppo di reti collaborative e di apprendimento che consentano ai knowledge worker di trovare e condividere informazioni di valore (reti sociali);
• ripensare il ruolo del manager che è a sua volta un lavoratore della conoscenza che agisce sia da player che da coach, sa organizzare e animare la community professionale, mantiene le relazioni con i clienti, attribuisce significato ai contesti di lavoro e ai progetti. Due esempi sono il Manhattan Project e lo Xerox’s Palo Alto Research Center (PARC) in California. In entrambi i casi agli executive è stato data la responsabilità di difendere i knowledge worker dalla burocrazia, assicurando che i fondi siano attributi ai progetti più promettenti, spiegando ai manager di strutture più tradizionali le peculiarità del knowledge work, evitando che siano aggiunte sovrastrutture inutili di coordinamento;
• valutare l’output del lavoro svolto e non gli input (quante ore hai lavorato o dove hai lavorato). In processi spesso di natura simbolica questo può significare sviluppare anche misure di tipo qualitativo (numero di ricerche pubblicate, recensioni positive, ecc);
• anziché erogare corsi formali tradizionali, favorire l’apprendimento dall’esperienza e dall’interazione con i colleghi dentro e fuori l’organizzazione di appartenenza;
• riprogettare il layout degli uffici per ottimizzare le opportunità di scambio e di lavoro creativo che caratterizza i diversi tipi di knowledge worker (spazio fisico).
Anche Bartlett & Goshal (2002) hanno rilevato una trasformazione degli approcci gestionali, e del relativo ruolo di HR, che ha fatto seguito all’evoluzione delle strategie di business.
COMPETIZIONE PER I PRODOTTI E PER I MERCATI COMPETIZIONE PER LE RISORSE E LE COMPETENZE COMPETIZIONE PER I TALENTI E I SOGNI OBIETTIVO STRATEGICO Posizioni sostenibili all’interno del mercato
Vantaggio competitivo sostenibile Continuo auto-rinnovamento PRINCIPALI STRUMENTI E PROSPETTIVE - Analisi industriale: analisi dei concorrenti - Segmentazione del mercato e posizionamento - Pianificazione strategica - Competenze centrali - Strategie basate sulle risorse - Organizzazione in network - Vision e valori - Flessibilità e innovazione - Imprenditorialità di prima linea e sperimentazione
RISORSA CHIAVE PER
LE STRATEGIE Capitale finanziario
Capacità di organizzazione
Capitale umano e intellettuale
Per questi due autori, alla competizione basata sulla ricerca di competenze distintive, tipica degli anni ’90, si va sostituendo quella fondata sull’investimento in capitale umano ed intellettuale. In questo quadro il senior management non si occupa più di definire le strategie ma crea il contesto organizzativo più favorevole alla generazione di micro-decisioni strategiche che nascono dal basso, sviluppa una comunità alla quale le persone desiderino appartenere, aiuta a definire processi che assicurino l’empowerment, lo sviluppo e il commitment di tutti i componenti dell’organizzazione. Lo spostamento di attenzione sarebbe quindi dalla tradizionale ricerca di coerenza tra strategia, struttura e sistemi alla focalizzazione sulla innovazione, miglioramento continuo, realizzazione degli obbiettivi dell’azienda, dei processi, delle persone.
Queste trasformazioni nei modelli gestionali ha rimesso in discussione anche il ruolo, le competenze il valore stesso della Direzione Risorse Umane. Alcuni autori prevedono un suo ridimensionamento verso funzioni di puro servizio alle linee di business: sono infatti quest’ultime che dovrebbero occuparsi di mettere le persone nelle condizioni di ottenere i risultati attesi operando sull’organizzazione (obbiettivi, struttura, processi, cultura, ecc).
Negli anni ’80, il periodo delle strategie di analisi competitiva, la funzione di HR era prevalentemente di supporto operativo. Una volta che i manager di linea avevano tradotto gli obiettivi strategici in priorità esecutive, ad HR spettava assicurare che la ricerca del personale, la formazione e la gestione dei benefit fossero resi coerenti con quanto il management intendeva ottenere. Negli anni ’90 l’approccio delle core competence ha richiesto un ruolo più strategico da parte della Direzione R.U., alla quale si chiedeva di aiutare professionalmente il Vertice a identificare le competenze distintive e a ridisegnare l’organizzazione e le skill manageriali intorno a questi asset strategici.
Oggi, secondo Bartlett & Goshal, i professional di HR devono diventare i protagonisti dello sviluppo strategico in quanto le conoscenze specialistiche sono sempre più una risorsa strategica limitata che appartiene alle persone e alle reti. Il successo nell’assicurarsi e nel trattenere i talenti dotati di competenze specialistiche può quindi determinare il differenziale competitivo dell’azienda. Barbara Beck, Direttore Risorse Umane di Cisco, sembra avere ben presente l’importanza di assicurarsi i migliori talenti: “Una delle strategie core per lo sviluppo di Cisco consiste nelle acquisizioni, ed una delle finalità principali è di assicurarsi i migliori talenti di progettazione” (in O’Reilly & Pfeffer, 2006). Anche l’Amministratore Delegato rinforza questa tesi, affermando che: “quando compriamo un’azienda noi non acquistiamo solo i suoi prodotti attuali ma soprattutto la prossima generazione di prodotti che sarà generata dall’intelligenza delle persone” (idem).
Dopo l’acquisizione, la sfida più critica è quella di trattenere in azienda i knowledge worker, soprattutto considerando che, nel giro di due anni, dal 40 all’80% dei top manager e degli ingegneri chiave si dimette (O’Reilly & Pfeffer, cit.). Cisco ha definito un processo di reclutamento e di retention che mira ad azzerare le dimissioni. Grande importanza viene data alla costruzione di una solida rete di relazioni interpersonali: il 60% delle persone che scelgono Cisco è motivato dalla presenza di un amico che già lavora in azienda. Cisco ha rinforzato questo meccanismo offrendo al dipendente che presenta un candidato un bonus di 500 o 1000 $ se quest’ultimo viene effettivamente assunto. Ma il programma di reclutamento “Fast Track” non si limita a questo: ad ogni nuovo ingresso tutti i team potenzialmente interessati vengono pre-allertati e al neoassunto viene assegnato un collega più esperto (il cosiddetto “buddy”) che ha la responsabilità di rispondere alle sue domande; c’è poi un seminario di due giorni chiamato “Cisco Business Essentials”; infine,
a due settimane dall’ingresso, il capo diretto riceve automaticamente una mail che gli ricorda di rivedere con il neoinserito le iniziative dell’Area e di concordare gli obiettivi individuali.
Questa attenzione alla qualità degli inserimenti e alla retention dei talenti non è peraltro prerogativa esclusiva di Cisco. Microsoft, ad esempio, ogni anno analizza tutti i 25.000 neolaureati americani in informatica per poi restringere lo screening a circa 8.000 potenziali candidati. Dopo ulteriori valutazioni invita nel campus per una intervista 2.600 persone e, a 800 tra queste, propone un ulteriore incontro nei suoi Headquarter di Redmond. Alla fine del processo circa 500 ricevono un’offerta e, solitamente, 400 accettano. Questo approccio alla selezione dei neo-laureati, così analitico e costoso, serve a coprire solo il 20% del fabbisogno annuale dell’azienda. Per tutti gli altri Microsoft si avvale di 300 selezionatori che, a tempo pieno, ricercano i migliori talenti nel Settore: costruiscono relazioni con migliaia tra i migliori progettisti di sistemi, ingegneri software e program manager e, una volta individuati i migliori, sono disposti a “corteggiarli” per anni pur di portarli in Microsoft (Bartlett & Goshal, 2002).
Questi due esempi, insieme a tanti altri, danno la misura dell’importanza attribuita dalle aziende dell’Economia della Conoscenza all’acquisizione e alla retention dei lavoratori della conoscenza. Oggi si preferisce investire soprattutto in un flusso continuo di professionisti che sono portatori di innovazione e sono motivati dal lavorare insieme alle migliori menti disponibili. Per far questo è però necessario attirare i migliori, creare una relazione fiduciaria e cercare di mantenerli in azienda il più a lungo possibile, pur sapendo che le entrate e le uscite fanno comunque parte del gioco.
Una ricerca di Barley et. al. (2003) sui processi di downsizing e di rightsizing ha evidenziato come, sempre più di frequente, vi siano knowledge worker disposti a lasciare volontariamente le aziende che non riescono a offrire loro stimoli professionali. Alcune organizzazioni cominciano a vedere con favore la mobilità interaziendale anche quando nasce da una esigenza della persona. Nell’impresa tradizionale le dimissioni di un dipendente erano vissute come un tradimento o, comunque, un trauma ed era molto difficile che questi potesse ritornare sui suoi passi. Oggi, come ha spiegato David Thomas della Harvard Business School, molte organizzazioni comprendono quanto sia difficile offrire con continuità progetti e iniziative stimolanti e mantenere alta nel tempo la motivazione dei loro migliori talenti. Devono conseguentemente accettare la possibilità che alcuni professionisti vadano via, salvo magari farli rientrare in un secondo momento. Questo approccio, oltre a mantenere elevata la motivazione della persona, consente anche di arricchire il network relazionale, il patrimonio di conoscenze e le esperienze del knowledge worker (e, conseguentemente anche dell’azienda capace di gestirlo). McKinsey, ad esempio, ha cominciato a
assumere nuovamente suoi professionisti che avevano scelto di fare esperienza in altre realtà aziendali o di consulenza (The Economist, 21/1/2006).