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Giardino e mimesi della natura nell’architettura immaginifica

Maria Elisabetta Ruggiero

Dipartimento di Scienze per l’Architettura, Scuola Politecnica di Genova

Introduzione

“Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni

Convenzione europea del Paesaggio, Firenze 20 ottobre 2000.

Nella moderna definizione di Paesaggio il fattore percettivo sembra essere uno degli elementi cardine che ne connotano l’identificazione al pari delle interrelazioni tra i fattori naturali ed umani.

Il Paesaggio ha quindi espresso in sé in maniera diretta le intenzioni, le aspirazioni e le capacità dell’uomo di confrontarsi con l’elemento naturale divenendo oggetto di rappresentazione, e quindi archetipo di tali intenzioni, aspirazioni e capacità.

Il Paesaggio reale ed ancor più quello rappresentato hanno perciò seguito parallelamente l’evoluzione tecnica e culturale nelle sue diverse tappe e declinazioni locali, mettendo in luce di volta in volta il cambiamento della relazione tra ‘uomo’ ed ‘elemento naturale’.

In tale percorso evolutivo è possibile individuare una fase che ritorna a fasi alterne, ma sempre con una visibile identità: quella di ricercare attraverso e all’interno di una sua particolare accezione, quale è il giardino, una occasione architettonica straordinaria, nel vero e proprio senso del termine, ovvero di elemento completamente estraneo a ciò che è l’ordinario, il consueto. Quasi a voler ulteriormente superare il concetto di tecnica e di estetica con una espressione che trascenda i limiti del razionale.

Metodologia

Giulio Carlo Argan definisce il giardino come il maximum qualitativo o di valore estetico cui può dar luogo la pratica delle colture agricole ed infatti proprio l’affinamento e l’evoluzione di tali tecniche rendono possibile la strutturazione di interi giardini la cui principale aspirazione è quella di ricreare una perfezione improntata all’eco del giardino dell’Eden o una magnificenza che possa esprimere al meglio l’ambizione, se non addirittura l’espressione, della filosofia del suo ideatore.

All’interno di essi, in particolare con il Manierismo cinquecentesco, nelle composizioni sempre più complesse e ricche si vanno ad incastonare episodi architettonici che hanno il preciso intento di stupire con una serie di artifici, presentando forme metamorfiche tra arte e natura in cui il limite tra opera dell’uomo, struttura naturale e incanto sia quasi irriconoscibile; ne è anticipatrice già alla fine del ‘400 la celebre opera di Leonardo nella Sala delle Assi a Milano che simula una intera foresta.

In altri giardini invece, nella magnifica serie di cascate, in cui eccellono proprio i fontanieri italiani del ‘500 e del ‘600, la mano dell’uomo risulta e vuole risultare evidente nella volontà

Fig.1 Bomarzo, Parco dei Mostri commissionato da Pier Francesco Orsini all'architetto Pirro Ligorio nella metà del ‘500.

Le cascate diventano infatti straordinari esempi di stile e tecnica che stupiscono proprio in virtù della loro grandiosità mentre in altre soluzioni, al contrario, ciò che si ricerca è proprio una sorta di ‘magia’ che possa confondere ancora di più lo spettatore.

Fig.2 Genova - Villa Imperiale Scassi, detta “La Bellezza”. Veduta, planimetria e sezione. Da P.M. GAUTHIER, Le plus beaux edifices de la ville de Genes et de ses environs, Parigi, 1818-32.

Fig. 3 Genova Villa Imperiale Scassi a Sampierdarena. Rilevo della grotta intermedia (Disegni di M.E. Ruggiero) e immagini storiche del giardino e del ninfeo superiore ormai completamente distrutto.

Giornata di Studi - Genova 11 maggio 2015, Dip. DSA

Fig.4 Genova, Villa Imperiale Scassi. Immagine dell’interno della grotta intermedia ed esterno del ninfeo inferiore

Fig.5 Palazzo Corsini – Firenze – Grotta in prossimità del piano terreno. Opera del Ferri eseguita tra il 1692 e il 1698 con l'opera dello stuccatore Carlo Marcellini e i pittori Rinaldo Botti e Alessandro Gherardini.

Nei vari secoli queste “invenzioni” assumono forme diverse a seconda del gusto dell’epoca, ma sempre hanno una funzione che le accomuna ed in cui la possibilità di fondere realtà e rappresentazione con una forma di estrema mimesi della natura diviene il cardine della loro sostanza.

Nelle grotte artificiali cinquecentesche si cerca proprio di proporre un elemento di per sé assolutamente spontaneo ed anche di per sé apparentemente lontano da una forma architettonica vera e propria, in cui il registro della decorazione è interamente orientato all’evocazione di connubio tra materiali quali conchiglie, coralli, vetri e pietre colorate in

Le ville del Genovesato, insieme a quelle di Roma e della reggia di Fontainebleau, sono protagoniste di questo genere ed offrono un repertorio magnifico e diversificato di questa tipologia di soluzione scenica.

I disegni dei viaggiatori, degli illustratori e dei trattatisti costituiscono una vera e propria letteratura di questo genere nel continuo tentativo di voler carpire e svelare i più nascosti segreti che queste strutture racchiudono: dal Gauthier che cerca non solo di ricostruirne la loro consistenza architettonica, ma anche di ridefinirne la relazione con l’impianto scenico di tutto il giardino e la villa cui si associa, al Furtenbach che ne indaga i minimi dettagli. La ricerca dei segreti di questi luoghi si protrae fino ai giorni nostri con le operazioni di rilievo mirate a cercare di ricostruire quanto spesso incuria e abbandono hanno ormai compromesso.

Fig.6 Villa Balbi allo Zerbino, Sala delle Rovine - Domenico Piola, Andrea Sighizzi 1684.

Corrispondenti di queste soluzioni sono a loro volta le rappresentazioni di rovine architettoniche che così spesso popolano le architetture seicentesche e settecentesche: il tema della rovina e della natura che si riappropria di essa in un paesaggio struggente in cui l’architettura vera e propria, grazie all’inganno prospettico, si apre verso l’esterno, ricorre in numerosi esempi di magnifiche realizzazioni in cui nuovamente la possibilità di rappresentare il paesaggio in una forma inconsueta è l’espediente per generare stupore e creare qualche cosa di unico e prezioso.

E’ celebre a Genova la Sala delle Rovine alla Villa Balbi allo Zerbino in cui le pareti della sala sono annullate e smaterializzate da disegni di resti di una ricca architettura in

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reinterpretata e rappresentata non termina con il Seicento, ma continua nei secoli successivi con nuove forme, seppur molto diverse sul piano formale.

Il primo movente di queste strutture è sempre l’ispirazione mitologica ed è quindi in una concezione-percezione del paesaggio fortemente condizionata dai miti dell’Arcadia e del paesaggio idealizzato che trova una collocazione il repertorio dei “villaggi” pastorali del Settecento. Qui l’artificio è forse meno celato, ma il distacco dalla architettura vera e propria continua il suo percorso. Nell’Hameau di Chantilly – opera dell’architetto Jean-François Leroy nel 1774 - , infatti, un complesso di casette rurali, dalla tipica struttura a graticcio e i tetti in paglia, diventa scenografia per intrattenimenti, accogliendo all’interno specifiche funzioni che in termini di logica di consuetudine e di normalità avrebbero potuto essere svolte nel castello: una sala da pranzo, un salone, una sala da biliardo ed un boudoir.

Fig.7 Planimetria d’insieme e dettagli della sala da pranzo dell’Hameau del castello del Principe di Condè a Chantilly. Opera dell’architetto Jean-François Leroy – 1774

Ciò che caratterizza ulteriormente queste strutture è che il loro interno è completamente decorato con la rappresentazione di un vegetazione incolta secondo la diretta suggestione degli scritti di Rousseau e alla maniera dei pittori del tempo, quasi a voler forzare il rapporto uomo-natura attraverso un artificio nell’artificio. Il villaggio di Chantilly costituisce un paradigma che trova la sua evoluzione completa nel villaggio della Regina al Trianon di Versailles, secondo il volere di Maria Antonietta e su progetto di Richard Mique nel 1783. Quale oggi l’eredità di queste immagini, di questa natura che si trasforma in architettura e viceversa? C’è ancora spazio per la rappresentazione di questo fenomeno in una volontà di creare stupore? L’inganno e la seduzione continuano oggi nelle opere di artisti che, raccolta questa eredità, la perpetrano secondo nuovi paradigmi: è il caso ad esempio delle realizzazioni ricercate di Renzo Mongiardino, nel secolo scorso, che proprio grazie ad una spazio connotato

Fig.8 Renzo Mongiardino Studi per la decorazione di un appartamento a New York –XX secolo

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Fig. 10a Francois Houtin – Cabane du Jardinier e Artcurial, Parigi XXI secolo

Fig. 10b Francois Houtin – Cabane du Jardinier e Artcurial, Parigi XXI secolo

Bibliografia

Norberg-Schulz, Christian. Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura. Milano, Electa, 1979. A.Maniglio Calcagno, Architettura del Paesaggio, Bologna, Calderini, 1983.

A.Maniglio Calcagno,Giardini, parchi e paesaggio nella Genova dell’800. Genova, Sagep, 1985. E.Gavazza, Lo Spazio Dipinto, Genova, Sagep, 1989.

F.Cattaneo, ( a cura di), Renzo Mongiardino. Architettura da Camera, 1993, Milano, Rizzoli. Zalapi, Angheli, Dimore di Sicilia. Venezia,Arsenale Editrice, 1998.

G. Bauer, Il secolo d’oro dell’acquerello inglese, Paris, Bibliotèque de l’Image, 2001.