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tiva e soggettiva. La norma fondamentale relativa alle sentenze dibattimentali. – 4. La sentenza di patteggiamento. – 5. La sentenza conclusiva del giudizio abbreviato. – 6. La sentenza di non luogo a procedere. – 7. Il potere di appello della parte civile. – 8. Le sentenze pronunciate dal giudice di pace.

1. Introduzione.

L’appello, è stato scritto da chi ha studiato in maniera approfondita il si- stema delle impugnazioni anche in prospettiva riformistica, «può essere de- finito un mezzo di impugnazione ordinario […], tipico, diretto, sospensivo […], estensivo […] e devolutivo che si propone mediante una dichiarazione di volontà con cui viene impugnato, in tutto o in parte, per motivi di fatto o di diritto, un provvedimento del giudice ed è richiesto un nuovo giudizio, totale o parziale, ad un giudice di secondo grado»1.

Esso, come è noto, costituisce uno degli istituti più controversi nell’ambi- to del procedimento penale, essendo state sovente poste in discussione talvolta la struttura2, talvolta finanche la necessità sistematica del mantenimento di «un

mezzo di impugnazione ordinario, attraverso il quale ciascuna delle parti che vi abbia interesse e nei limiti dell’appellabilità oggettiva, qualora ritenga errata – per ragioni di merito o di diritto – la decisione del giudice di primo grado, può chiedere, in riferimento a uno o più capi o punti della pronuncia, una nuova decisione al giudice competente»3.

Consolidata, oramai, una posizione giurisprudenziale che propugna l’as- senza di una previsione costituzionale che assicuri copertura (a livello di nor- mazione primaria) al principio del doppio grado di giurisdizione di merito – il

1 Spangher, Appello nel diritto processuale penale, cit., 196. V., inoltre, Tonini, Manuale, cit.,

935, nonché, tra gli studiosi del processo penale previgente, Bellavista, Lezioni, cit., 407; Leone,

Impugnazioni, cit., 1; Manzini, Istituzioni, cit., 273.

2 Chinnici, Appello (evoluzione), in Dig. disc. pen., Agg. VIII, 5, definisce l’appello un istituto

«in crisi di identità» che appare «come arroccata città turrita, inespugnabile tanto dagli interventi legislativi quanto dalle sollecitazioni della dottrina».

quale consiste nella possibilità di ottenere, sul merito di una determinata vi- cenda contenziosa (un diritto controverso o una pretesa punitiva) una seconda pronuncia, da parte di un giudice diverso, destinata a prevalere sulla prima4

– e, dunque, imponga la conservazione del giudizio di appello quale indefetti- bile dato di sistema5, intorno ad esso si sono da sempre intersecate riflessioni

variamente articolate, oscillanti nel loro fondamentale compendio di valore tra la necessità di assicurare la ragionevole durata del processo – per cui, in fin dei conti, il giudizio di appello altro non sarebbe che una lungaggine (si aggiunge: il più delle volte strumentalmente utilizzata) collocata a valle rispetto ad una fase modulata seguendo criteri di accertamento accreditati dalle acquisizioni dell’epistemologia contemporanea e, oggi, consolidati in regole costituziona- li6 – e l’opportunità (o necessità, in chiave politica) di una verifica successiva

di un esito processuale in ogni caso incidente su valori fondamentali della persona.

Come fa notare, d’altra parte, attenta dottrina, è fin troppo ovvio ram- mentare che «la previsione di precise preclusioni nei confronti di un secondo giudizio di merito e la predisposizione di rigorosi limiti in relazione alla regiu-

4 La definizione si rinviene in Spangher, Il doppio grado di giurisdizione, in Presunzione di

non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, Milano, 2000, 104. Essa è ripresa, da ultimo, da

Algeri, Il nuovo volto dell’appello tra obbligo di rinnovazione istruttoria e dovere di motivazione

“rafforzata”, in Dir. pen. e proc., 2019, 388. Come rileva, con chiarezza, C. cost., 15 giugno 1995,

n. 280, il doppio grado di giurisdizione, così diffuso e tradizionale nell’ordinamento italiano, non è oggetto di un diritto elevato a rango costituzionale, sì che ogni scelta circa l’adozione o meno dell’appello nel processo penale non può che essere riservata al legislatore. V., inoltre, C. cost. (ord.), 4 luglio 2002, n. 316. Quindi, il principio è stato ulteriormente ribadito in C. cost., 6 febbraio 2007, n. 26. V., per un’analisi compiuta della giurisprudenza costituzionale, Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 275. V., altresì, Spangher, Appello nel diritto processuale penale, cit., 197; Rinaldi, Impugnazioni, cit., 450; Sottani, Un sistema in trasformazione, in Le impugnazioni penali, diretto da Gaito, Torino, 1998, 46; Grilli, L’appello nel processo penale, Padova, 2001, 7.

5 Ma v., in senso contrario, la posizione di De Caro, Impugnazioni, cit., 334.

6 Sottolinea il rilievo che rispetto al rinnovato interesse per la rivisitazione della disciplina

delle impugnazioni determina «l’intreccio dell’uso strumentale dei rimedi con la previsione costi- tuzionale di tempi ragionevoli», in particolare, Presutti, L’inappellabilità delle sentenze di proscio-

glimento tra regola ed eccezione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 1195. Come posto in evidenza da

Ceresa Castaldo, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative, in Dpc, 2017, 3, 164, «[g]ià all’indomani del varo del codice Vassalli si erano avanzati dubbi sulla opportunità della scelta operata dal legislatore di mantenere l’assetto del mezzo sostanzialmente invariato rispetto al precedente, sottolineandosi come, con il passaggio ad un sistema accusatorio […] non solo avrebbe perso valore la logica del doppio grado di merito (tipica della “cattiva coscienza” del codificatore inquisitorio), ma avrebbe finito per risultare incoerente con il nuovo impianto la stessa strutturazione di un secondo grado come giudizio critico, fondato (tendenzialmente in via esclusiva) sulla verifica degli atti del primo».

dicanda davanti alla Corte di cassazione incidono sui tempi del processo, in quanto comprimono gli itinerari della vicenda giudiziaria e rendono più spedita la via verso il giudicato»7.

L’ovvietà dell’osservazione rende banale qualsiasi riflessione sull’istitu- to dell’appello che abbia come punto di riferimento l’esigenza di contenere i tempi del processo.

Evidenzia criticamente la dottrina, infatti, come l’approccio deflazionisti- co – peraltro seguito dai recenti interventi riformistici del sistema delle impu- gnazioni – sia radicalmente errato e fuorviante, nel senso che «partire dall’idea che il controllo attuato mediante l’impugnazione di merito e di legittimità sia un ambito da ridimensionare numericamente non sembra oggettivamente una premessa condivisibile, posto che le peculiarità garantiste interconnesse alle impugnazioni ne consigliano un uso “proporzionale” alle esigenze concrete ed in particolare alla necessità di rimozione dell’errore giudiziario»8.

Appare invece più corretto collocare il parametro – e, soprattutto, le solu- zioni attuative di esso – all’interno di un sistema di impugnazioni la cui con- servazione (o meno) ha già costituito l’oggetto delle pertinenti valutazioni di matrice politica9.

D’altra parte, l’assenza di una norma che offrisse copertura costituzionale all’istituto ed esigenze di semplificazione connesse alla necessità di contenere i tempi processuali, unitamente a valutazioni di afferenza di un secondo grado di merito ai modelli processuali di tipo inquisitorio, hanno sospinto giudizi di insufficienza della riforma delle impugnazioni attuata dal legislatore della nuova codificazione, accusato apertamente di avere conservato, nell’imposta- zione scaturente dalla legge di delega, praticamente inalterata l’architettura del vecchio codice10.

Tutto quanto ciò avviene guardando alle forme concrete, dunque volgendo lo sguardo verso un sistema positivo che, riproponendo il giudizio di secondo grado seguendo pressoché in maniera pedissequa lo schema concettuale del co-

7 Siracusano, Ragionevole durata del processo e giudizi di impugnazione, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2006, 16.

8 De Caro, Impugnazioni, cit., 336.

9 Sottolinea l’importanza ed il senso di interrogarsi sulle ragioni della previsione di un istituto,

entrambi rilevanti sul “piano politico”, Siracusano, Ragionevole durata del processo, cit., 17. Ma v., ancora prima, le riflessioni di Manzini, Istituzioni, cit., 262, per il quale l’attività di controllo o di rinnovazione della fase processuale anteriore «risponde ad una evidente necessità di buona ammi- nistrazione della giustizia […] mentre, sotto l’aspetto politico-giuridico, rimane soltanto discutibile l’opportunità di concedere l’uno o l’altro, o uno o più, dei mezzi di impugnazione».

dice del 193011, mantiene l’appello nell’ambito funzionale della revisio prioris

instantiae, in modo tale da esaltarne la tradizionale funzione di strumento di

controllo della decisione impugnata12 – il giudizio penale di secondo grado, è

stato infatti ribadito, si «apprezz[a] come giudizio critico, in funzione di con- trollo della decisione già resa»13 – in luogo di quella di novum iudicium14. 2. Giudice competente per il giudizio d’appello.

L’individuazione del giudice competente a conoscere dell’appello non pone particolari problemi, essendo estremamente chiara la disposizione conte- nuta nell’art. 596 c.p.p.: sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale decide la corte di appello, mentre su quello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello.

Salvo quanto previsto dall’art. 428 c.p.p. – norma che, come è noto, de- linea la competenza esclusiva della Corte d’appello a conoscere dell’appello proposto avverso la sentenza di non luogo a procedere, a prescindere, quindi, dal tipo di reato per il quale si procede – infine, sull’appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise.

Con una scelta che si è segnalata – ed il dato non è sfuggito alla dottrina – per il venire meno del “principio” di collegialità in sede di gravame, con con-

11 Tranchina, Di Chiara, Appello (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg. III, 201, i quali manifesta-

no una certa perplessità dinanzi «alla circostanza che il legislatore del codice di procedura penale del 1988, pur con la sua pretesa di voler “attuare i caratteri del sistema accusatorio” […] abbia, poi, finito non solo col riproporre il giudizio d’appello, ma ricalcandolo, addirittura, con connotazioni so- stanzialmente analoghe a quelle che lo caratterizzavano nell’abrogato impianto codicistico, a sfondo notoriamente inquisitorio».

12 Spangher, Appello (Diritto processuale penale), in Enc. giur., II, 1. V., inoltre, Id., Appello

nel diritto processuale penale, cit., 223, ove evidenzia, in relazione al sistema previgente, come «[l]e

variegate esigenze di politica processuale coniugandosi in modo articolato con lo sviluppo per gradi del processo hanno […] fatto perdere pure all’appello alcuni suoi tratti storici configurandolo in modo ibrido». Negli stessi termini v., poi, Bargis, Impugnazioni, cit., 768, ove, pur condividendo la tesi dell’appello come strumento di controllo, se ne ribadisce la struttura ibrida. V., da ultimo, Algeri,

Il nuovo volto dell’appello, cit., 388, per il quale «il legislatore del 1988 ha optato per un modello

tendenzialmente orientato verso la logica del controllo, nell’ambito di un giudizio essenzialmente cartolare, a fronte di un giudizio di primo grado permeato dall’oralità e dal principio del contraddit- torio per la formazione della prova».

13 V., in questo senso, Spangher, Appello, cit., 7; Id., Impugnazioni penali, cit., 217, ove si

sottolinea la scarsa attenzione dedicata dal nuovo codice al tema delle impugnazioni.

seguente consolidamento della spinta legislativa verso il giudice singolo, l’art. 39, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, contenente le norme relative alla disciplina della competenza in materia penale del giudice di pace, stabilisce che com- petente per il giudizio di appello avverso le sentenze pronunciate dal giudice onorario è il tribunale in composizione monocratica del circondario in cui ha sede il giudice di pace che ha pronunciato la sentenza impugnata15.

Si tratta di una soluzione che, da ultimo, è stata ribadita dall’art. 2, l. 23 giugno 2017, n. 103 in relazione ai casi di “reclamo” avverso il provvedimento di archiviazione, ipotesi in cui il controllo di legittimità dell’atto – rigidamente delimitato mediante una espressa tipizzazione dei casi di nullità – è rimesso dall’art. 410-bis c.p.p. al tribunale in composizione monocratica.