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L’ipotesi della presenza, sulla scena processuale, di soggetti diversi dalle parti necessarie è in massima parte legata al fatto che il medesimo accadi- mento storico può essere preso in considerazione da norme diverse, le quali vi riconducono differenti conseguenze giuridiche: «Il reato [infatti] va […] riguardato come un illecito a sanzione multipla, nel senso che assoggetta chi lo ha commesso non solo alla pena, ma anche alle restituzioni e al risarcimento del danno»122.

Alla chiara distinzione tra il danno criminale – ossia l’offesa al bene giu- ridico protetto dalla norma incriminatrice – e il danno civile123 corrisponde

121 Marandola, La reintroduzione dell’appello, cit., 250.

122 De Angelis, Processo civile e processo penale, Milanofiori Assago, 2009, 7.

123 Come rileva Quaglierini, Le parti private diverse dall’imputato e l’offeso dal reato, Milano,

quella tra persona offesa e persona danneggiata dal reato, individuandosi la prima figura soggettiva nel «titolare del bene giuridico protetto (o, nei reati plurioffensivi, dei beni giuridici protetti) dalla norma penale incriminatrice e leso o minacciato dalla condotta criminosa»124 e identificandosi la seconda in

«colui che patisce il danno civile, patrimoniale o morale»125.

Le posizioni di persona offesa e di persona danneggiata dal reato, almeno di regola, coesistono nel medesimo soggetto, ma, a parte il fatto che in molte occasioni questa coincidenza soggettiva non si verifica, in ogni caso la consta- tazione non priva la differenziazione di rilievo sul piano teorico, al punto che il legislatore del nuovo codice processuale «ha operato una netta distinzione tra soggetti portatori di pretese non penali e quelli titolari, invece, di vere e proprie pretese penali, configurandoli in modo del tutto autonomo sia per quanto con- cerne i tempi di intervento sia per quel che attiene ai loro poteri processuali»126.

Ed infatti, la persona offesa dal reato assume un ruolo di primario rilievo nella fase delle indagini preliminari, durante la quale è, per converso, esclusa la costituzione di parte civile127.

Dopo l’esercizio dell’azione penale la persona offesa che, potendolo, ab- bia scelto di non assumere la qualità di parte processuale mediante la costitu- zione di parte civile, conserva i residuali poteri conferiti dall’art. 90 c.p.p.128,

per il resto estraniandosi dal processo ed affidando ad altri, innanzitutto al pub- blico ministero, la tutela diretta dei propri interessi.

Costituendosi parte civile, invece, la stessa persona – ovvero un soggetto diverso, non cumulandosi in ipotesi le due distinte posizioni – diviene «tito- lare di una solida posizione soggettiva […] oltremodo irrobustita rispetto alle precedenti codificazioni e sorretta da una piattaforma di garanzie partecipative

ontologicamente diverse, rilevanti l’una sul piano strettamente penalistico e l’altra sotto il profilo civilistico».

124 Quaglierini, Le parti private, cit., 4.

125 Baldelli, Bouchard, Le vittime del reato nel processo penale, Torino, 2003, 2. V., inoltre, il

fondamentale studio di Algeri, L’impugnazione della parte civile, Padova, 2014, 8.

126 Quaglierini, Le parti private, cit., 6.

127 La mancata previsione di un termine iniziale ha indotto la dottrina a ricostruire il profilo tem-

porale del potere di costituzione sulla base di considerazioni di ordine storico e sistematico. V., tra i tanti, Quaglierini, Le parti private, cit., 93, secondo il quale l’esercizio dell’azione civile riparatoria è consentito «unicamente nel processo penale, vale a dire in quella porzione di procedimento che inizia con l’esercizio dell’azione penale». Negli stessi termini v., fra gli altri, Baldelli, Bouchard, Le vittime

del reato, cit., 153; Strina, Bernasconi, Persona offesa e parte civile, Milano, 2001, 298.

128 La norma attribuisce alla persona offesa, non costituita parte civile, la facoltà, in ogni stato

e grado del procedimento, di presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, di indicare elementi di prova.

più intense»129.

In bilico tra l’affermazione del principio di immanenza dell’azione civile nel processo penale e la (comunque necessaria, per una scelta di matrice politi- ca) garanzia di una piena autonomia dell’azione civile130, la combinazione delle

previsioni legislative e degli orientamenti giurisprudenziali ha dato vita ad una costruzione particolarmente attenta a salvaguardare, per quanto sistematica- mente possibile ed in linea con la (comunque) necessaria ricorrenza di un in- teresse, la tutela delle pretese civilistiche nell’ambito del giudizio d’appello.

E così, volendo sottolineare la comunanza di posizioni tra gli antagonisti dell’imputato, l’art. 576, co. 1 c.p.p., nella versione antecedente alla riforma attuata con la l. 20 febbraio 2000, n. 46131, prevedeva che la parte civile potesse

proporre impugnazione, con il mezzo previsto per il pubblico ministero, contro i capi della sentenza di condanna riguardanti l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio132.

La parte civile era, dunque, legittimata a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento ed a chiedere la condanna dell’imputato alle restituzioni ed al risarcimento del danno, senza che potesse essere di ostacolo l’inammissibilità o la mancanza dell’impugnazione del pubblico ministero, po- sto che l’art. 576 c.p.p. prevede una deroga rispetto a quanto stabilito dall’art. 538 c.p.p. per il giudizio di primo grado ed in tale modo legittima la parte civile non solo a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento o di assoluzione pronunciata nel giudizio, ma anche a chiedere l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato ai soli effetti dell’accoglimento della do- manda di restituzione o di risarcimento del danno133.

Mediante siffatta impugnazione la parte civile, pur in assenza di impugna- zione del pubblico ministero, può chiedere l’accertamento della responsabilità penale dell’imputato quale presupposto della sua condanna alle restituzioni e al

129 Di Chiara, Parte civile, cit., 245.

130 V., sul punto, Algeri, L’impugnazione della parte civile, cit., 11. Gaeta, Macchia, L’appello,

cit., 464, parlano, a tale proposito di “cromatismo variabile”.

131 Come rileva Algeri, L’impugnazione della parte civile, cit., 14, dal punto di vista storico

l’evoluzione della disciplina dell’impugnazione della parte civile nell’ordinamento italiano ha attra- versato varie fasi.

132 Ovviamente, la parte civile conserva lo stesso diritto allorquando l’impugnazione riguarda

una sentenza pronunciata a norma dell’art. 442 c.p.p., se ha consentito alla abbreviazione del rito. Ai sensi dell’art. 576, co. 2 c.p.p., il medesimo diritto compete al querelante che sia stato condannato a norma dell’art. 542 c.p.p.

risarcimento ma ciò non può ovviamente condurre ad una modifica della deci- sione penale, di talché l’eventuale affermazione della responsabilità dell’impu- tato ha la sola funzione di giustificare logicamente le statuizioni civili134.

La conseguenza logica di un siffatto meccanismo – fermamente orientato verso il conseguimento di risultati rilevanti esclusivamente sul piano civilistico – è che non sarebbe ammissibile un atto di impugnazione in cui la parte civile si limitasse alla sola richiesta penale diretta all’affermazione della responsabilità per il fatto-reato, giacché il petitum risulterebbe diverso da quello che concede la legge.

La domanda civile deve, invece, necessariamente concorrere e le richieste della parte civile, a pena di inammissibilità del gravame, devono fare riferi- mento specifico e diretto agli effetti di carattere civile che si intendono perse- guire135.

In ambito giurisprudenziale, invece, si è fatta notare la tendenza – non pri- va di voci dissonanti, a dire il vero136 – a conservare comunque una prospettiva

di successo delle pretese civilistiche in grado di appello, purché correttamente declinate in primo grado ed a prescindere dall’abbandono di esse nel prosieguo di una vicenda processuale caratterizzata dal proscioglimento in primo grado avversato soltanto dal pubblico ministero.

In una prima occasione, invero, le Sezioni unite della Corte di cassazione avevano stabilito che alla parte civile costituita non può riconoscersi il diritto al risarcimento del danno se, una volta assolto l’imputato nel giudizio di primo grado, vi sia condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero, in ragione del fatto che la parte lesa, una volta costituitasi parte civile, può libe- ramente decidere di insistere, nei gradi successivi del processo penale, nell’at- tivata azione per le restituzioni o il risarcimento del danno, oppure scegliere di non coltivare l’azione stessa, anche quando il pubblico ministero attivi l’impu- gnazione nell’interesse dello Stato, con la conseguenza di fare formare il giudi-

134 Cass. pen., Sez. un., 11 luglio 2006, n. 25083.

135 Cass. pen., Sez. II, 24 ottobre 2003, n. 897. Da tale disciplina, ammette la Corte di cassazione,

consegue la possibilità – perfettamente compatibile con la scelta nel senso dell’autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità (civile e penale) – che il giudice dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul reato, e dunque sulla re- sponsabilità dell’autore dell’illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto. In tal caso, la

res indicanda si sdoppia dando luogo a differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro.

136 Per un efficacissimo quadro sintetico del contrasto giurisprudenziale sul tema v., in parti-

colare, Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 472. V., volendo, anche Suraci, Alla parte civile non giova

cato in ordine al relativo rapporto, con effetti sia sostanziali, sia processuali137.

La permanenza di una situazione di contrasto giurisprudenziale su un tema così importante138 ha determinato un nuovo intervento delle Sezioni uni-

te, le quali, modificando l’opinione espressa in precedenza, hanno statuito che il giudice di appello il quale, su gravame del solo pubblico ministero, condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria139.

La l. 20 febbraio 2000, n. 46, come è noto, ha rimodulato il contenuto dell’art. 576 c.p.p., soprattutto – per la parte che in questa sede interessa – eli- minando dal co. 1 il riferimento al “mezzo previsto per il pubblico ministero”, di talché l’inquadramento sistematico della correzione ha posto il problema della conservazione del mezzo di gravame rispetto alle sentenze di condan- na, sebbene meriti di essere evidenziato come l’itinerario parlamentare faccia emergere che lo scopo dell’intervento di riforma fu proprio quello di ampliare le ipotesi in cui la parte civile poteva proporre appello, ai fini civili, contro la sentenza di proscioglimento: un disegno che, è stato detto, «fu tuttavia realiz- zato con una sciatteria senza precedenti»140.

«Spezzata» – si è rilevato – «la liason con lo strumento impugnatorio della pubblica accusa e in assenza di altri indici normativi de relato, per ossequio al principio di tipicità/tassatività delle impugnazioni, alla parte civile spetterebbe solo il potere di proporre ricorso per cassazione, secondo i principi generali»141.

137 Cass. pen., Sez. un., 25 novembre 1998, n. 5. In senso conforme v., in precedenza, Cass.

pen., Sez. IV, 21 giugno 1993, Baccilieri, la quale, cristallinamente, aveva statuito che la mancata impugnazione della parte civile avverso la decisione di merito che comprometta i suoi interessi deve essere valutata quale acquiescenza alla decisione a sé pregiudizievole.

138 V., infatti, Cass. pen., Sez. V, 1° marzo 1999, n. 12018, secondo la quale per il principio di

immanenza della costituzione di parte civile, la stessa ha diritto a partecipare alle fasi successive alla prima e di vedersi riconosciuto – senza che ciò rappresenti violazione del principio del divieto della

reformatio in peius – il diritto al risarcimento del danno, anche se essa non ha impugnato la sentenza

di proscioglimento in primo grado, appellata dal pubblico ministero. Invero, l’autonoma facoltà di impugnazione, concessa alla parte civile, è prevista in aggiunta a quella del pubblico ministero ed a tutela degli interessi civili, anche quando il rapporto processuale penale si sia esaurito per la mancata impugnazione della sentenza da parte dell’organo dell’accusa o dell’imputato. V., inoltre, Cass. pen., Sez. III, 1° giugno 2000, n. 9254.

139 Cass. pen., Sez. un., 10 luglio 2002, n. 30327. Il percorso logico seguito dalla Corte di cas-

sazione è esaminato, con la consueta efficacia, da Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 474.

140 Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 479.

141 Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 479. Censura il cattivo uso della tecnica legislativa, altresì,

Aimonetto, Disfunzioni ed incongruenze in tema di impugnazione della parte civile, in Impugna-

zioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di Bargis, Caprioli, Torino, 2007, 156. Nel senso dell’esclusione di un potere di

La delicatissima questione, ovviamente, non poteva che essere definita in ambito giurisprudenziale, tuttavia nel contesto di un panorama di canoni ermeneutici – storico, letterale e sistematico – nell’insieme capaci di rendere particolarmente difficoltosa qualsiasi ricostruzione142.

Ma la Corte di cassazione non ha avuto tentennamenti nello statuire che la modifica dell’art. 593 c.p.p. ad opera della l. 20 febbraio 2006, n. 46 non ha fatto venire meno in capo alla parte civile il potere di appello, ai soli effetti della responsabilità civile, delle sentenze di proscioglimento, secondo quanto previsto dall’art. 576 c.p.p.143.

Aiutate da una pronuncia costituzionale la quale, in motivazione, ha regi- strato l’assenza di un “diritto vivente” conforme alla premessa interpretativa posta a base dei dubbi di legittimità costituzionale e costituita dall’eliminazio- ne del potere di appello della parte civile avverso la sentenza di proscioglimen- to dell’imputato144, le Sezioni unite hanno avuto maggiori spazi per affermare

che anche dopo le modificazioni introdotte dall’art. 6, l. 20 febbraio 2006 n. 46, la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado145.