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L’instaurazione della fase di impugnazione, come già visto, è retta dal principio della domanda, ragione per cui l’avvio dei segmenti processuali suc- cessivi al primo grado di giudizio richiede un’iniziativa della parte interessata, inequivocabilmente finalizzata a sottoporre a verifica l’esito dell’accertamento fino a quel momento compiuto.

«Nel concetto di impugnazione» – poneva in evidenza autorevolissima dottrina – «è implicita l’idea d’un atto volontario, con il quale l’interessato di- chiari d’insorgere contro un determinato provvedimento affermandolo erroneo per motivi di fatto e di diritto, e chieda un nuovo giudizio per rimediare agli asseriti errori»65.

Una volta escluso, dunque, qualsiasi automatismo nella movimentazione degli strumenti di controllo, elementari quanto intuibili esigenze di certezza circa la durata del processo e, soprattutto, la cristallizzazione dei suoi effet- ti rendono indispensabile «la fissazione di rigide scansioni temporali entro le quali attivare la procedura di gravame»66.

La disciplina generale delle impugnazioni, pertanto, compendia una strin- gente regolamentazione dei termini di impugnazione, stabiliti a pena di de- cadenza67 alla luce della connotazione di perentorietà conferita dall’art. 585,

co. 5 c.p.p. e l’inosservanza dei quali è, quindi, sanzionata mediante il ricorso all’inammissibilità (art. 591, co. 1 lett. c c.p.p.).

La normativa è, però, abbastanza articolata e secondo alcuni autori finan-

64 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 181. 65 Manzini, Trattato, cit., 597.

66 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 183. Lo ribadisce, inoltre, Tranchina, Impugnazio-

ne (diritto processuale penale), cit., 722.

67 «La decadenza» – osserva Tonini, Manuale, cit., 200 – «denota la perdita del potere di porre

che contorta68 dal momento che sia l’ampiezza, sia il momento di decorren-

za dei termini sono correlati a valutazioni di complessità effettuate sul piano astratto dal legislatore stesso e riferite al contenuto dell’atto da sottoporre a ve- rifica, a sua volta diversamente stimato in ragione dei tempi di predisposizione del compendio motivazionale di esso: «qualora si desideri che l’apertura della fase d’impugnazione non sia automatismo, indotto dalla logica del dum pendet,

rendet, ma mossa riflettuta e responsabile della parte, occorre anche fornirle

congrui tempi, appunto, di “riflessione”»69.

Inoltre, al fine di assicurare che la parte interessata abbia una conoscenza effettiva e preventiva del dies a quo, il legislatore affida il sistema di decorrenza del termine ad un duplice schema: «uno semplificato, basato su una sequenza di atti e dati produttivi di effetti immediati e ispirati a “automatismo”; l’altro, che riproduce il meccanismo del codice previgente, fondato su una sequenza for- male di atti, di impulso giudiziario, dal cui positivo esito vengono fatti derivare gli effetti utili per il decorso del termine di impugnazione»70.

Come è noto, l’art. 544 c.p.p. predispone diversi itinerari per la redazione della motivazione della sentenza, caratterizzati da scansioni cronologiche di- versificate ma fisse71.

La regola generale – per lo più rimasta inattuata e, quindi, ridotta dalla prassi al rango di “buon consiglio” o, come si è anche detto, di “pia speranza”72

– sancisce un principio di contestualità in virtù del quale, conclusa la delibe- razione, il giudice deve redigere e sottoscrivere il dispositivo e, subito dopo, provvedere alla redazione della motivazione (art. 544, co. 1 c.p.p.)73.

Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, soggiunge l’art. 544, co. 2 c.p.p. delineando una si- tuazione (più che) ricorrente nella pratica74, vi si deve provvedere non oltre il

68 Valentini, I profili generali, cit., 250, la quale ricollega il risultato ottenuto dal legislatore

al motto: “chi troppo vuole, nulla stringe”. Come chiosato, efficacemente, da Cordero, Procedura

penale, cit., 1111, i termini predisposti dal codice «[c]ausano al lettore qualche vertigine aritmetica».

69 Valentini, I profili generali, cit., 249.

70 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 185.

71 Esso, sottolinea Spangher, Impugnazioni penali, cit., 227, «è finalizzato ad evitare adempi-

menti onerosi alle cancellerie ed a ridurre i tempi morti della fase di passaggio del processo da un grado all’altro».

72 Valentini, I profili generali, cit., 250.

73 D’altra parte, evidenzia Marotta, Sentenza penale, in Dig. disc. pen., XIII, 162, «[i]l proble-

ma del rapporto tra la redazione del dispositivo e la redazione della motivazione è, invero, di quelli che hanno sempre afflitto i legislatori del processo penale, e l’esperienza codicistica anteriore ha fatto registrare, anche in Italia, vari tentativi di imporre una regola di contestualità».

quindicesimo giorno da quello della pronuncia.

La stesura di compendi motivazionali particolarmente complessi – la norma (ma non la prassi!) li vorrebbe così qualificabili in ragione del numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni oggetto del giudizio – e tali da ren- dere inesigibile l’osservanza del termine stabilito dalla legge consente al giudice, infine, di indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia (art. 544, co. 3 c.p.p.).

Con una disposizione introdotta dall’art. 4, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv. in l. 19 gennaio 2001, n. 4, e chiaramente finalizzata ad evitare la scar- cerazione di detenuti particolarmente pericolosi per effetto della decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’art. 533 c.p.p. è stato integrato mediante la previsione, contenuta nel nuovo co. 3-bis, secondo cui quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’art. 407, co. 2 lett. a) c.p.p., anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

In relazione a siffatta ipotesi, l’art. 544, co. 3-bis c.p.p., anche esso intro- dotto dal sopra menzionato decreto legge, prevede che il giudice provvede alla stesura della motivazione per ciascuno dei procedimenti separati, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare e il termine di cui al comma precedente è raddoppiato per la motiva- zione della sentenza cui non si è accordata precedenza.

L’art. 4, d.l. 24 novembre 2000, n. 341 ha modificato, inoltre, l’art. 154 disp. att. c.p.p., introducendo un co. 4-bis ai sensi del quale il presidente del tribunale in relazione ai giudizi di primo grado ed il presidente della corte d’ap- pello negli altri casi possono prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione e con provvedimento di cui è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, i termini previsti dall’art. 544, co. 3 c.p.p. per una sola volta e per un periodo massimo di no- vanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi.

Immediatamente dopo la pubblicazione ai sensi dell’art. 545, co. 1 c.p.p. – nel caso di redazione contestuale della motivazione, la cui lettura (ovvero esposizione sintetica) deve seguire a quella del dispositivo – ovvero entro i

circa il vantaggio che si avrebbe, per l’efficacia delle sentenze penali, se fosse possibile redigere e leggere poi in udienza non il solo dispositivo, ma anche la motivazione, tuttavia l’affermazione del principio teorico «veniva per lo più accompagnata dal riconoscimento delle gravi difficoltà pratiche ad esso connesse, in quanto le motivazioni, “anche quando sono concise, non sempre sono brevi”».

termini previsti dall’art. 544, co. 2, 3 e 3-bis c.p.p., la sentenza – già pubblicata, quindi, con la lettura del dispositivo in udienza e successivamente corredata della motivazione – deve essere depositata in cancelleria (art. 548 c.p.p.), di modo che divenga disponibile per ogni valutazione circa la proposizione di eventuali mezzi di gravame75.

Come può notarsi, l’articolazione cronologica appena descritta si basa su una valutazione di complessità della motivazione da redigere, la quale non può che essere rimessa al giudice – unico soggetto in grado di diagnosticare il grado di problematicità che l’esame degli atti processuali pone – e proietta i propri effetti in termini di relazione univoca sull’estensione del termine per proporre la correlata impugnazione e, prima ancora, sull’individuazione del dies a quo.

L’art. 585, co. 2 lett. b) c.p.p. stabilisce, difatti, che quando la motiva- zione è redatta contestualmente con il dispositivo (e, dunque, letta ai sensi dell’art. 545, co. 2 c.p.p.) il termine per proporre impugnazione decorre, per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio sebbene non siano state presenti alla lettura, dalla lettura del provvedimento in udienza, adempimento che, precisa infatti l’art. 545, co. 3 c.p.p., equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all’udienza.

Nelle ipotesi ulteriori prese in esame dall’art. 544 c.p.p. – le quali, per quanto detto, implicano una scissione cronologica tra il momento della pubbli- cazione e quello del deposito – il termine per impugnare, statuisce l’art. 585, co. 2 lett. c) c.p.p., decorre dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, di talché è del tutto irri- levante la data di effettivo ed anticipato deposito del provvedimento76.

Il carattere ordinatorio dei termini compendiati dall’art. 544 c.p.p. per il deposito della sentenza77 ne rende processualmente ininfluente l’inutile decor-

renza, di talché la prassi ha (ancora una volta) finito per conoscere frequenti casi di inosservanza di essi.

75 Con il deposito, sottolinea Marotta, Sentenza penale, cit., 162, si realizza l’importante ma

residuale effetto della obiettivizzazione del decisum rispetto allo stesso giudice che ha emesso la sentenza.

76 Cass. pen., Sez. III, 15 aprile 2002, n. 24841.

77 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 186. Merita di essere evidenziato che, secondo

la giurisprudenza, il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 c.p.p. non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale prevista dall’art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742, con la conseguenza che, ove venga a cadere in detto periodo, l’ulteriore termine per proporre impugnazione comincia a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. V., in questi termini e per tutte, Cass. pen., Sez. un., 19 giugno 1996, Giacomini.

Al fine di evitare il prodursi di situazioni di incertezza suscettibili di inci- dere sulla tutela di diritti fondamentali78, il legislatore, attraverso la norma con-

tenuta nell’art. 548, co. 2 c.p.p., ha predisposto rispetto a siffatte ipotesi79 un

meccanismo comunicativo incentrato sull’istituto dell’avviso, il quale afferisce al deposito della sentenza ed ha come destinatari il pubblico ministero, le parti private cui spetta il diritto di impugnazione e chi risulta difensore dell’imputa- to al momento del deposito della sentenza.

Un difetto di coordinamento tra l’art. 544, co. 2 c.p.p. – il quale, nella versione antecedente alla modifica operata dall’art. 6, d.l. 1° marzo 1991, n. 60 conv. in l. 23 aprile 1991, n. 133, prevedeva quale termine per il deposito della sentenza quello di trenta giorni – e l’art. 548, co. 2 c.p.p. – norma che, non mo- dificata dall’atto normativo citato, continua ad indicare in trenta giorni il termi- ne decorso il quale diviene obbligatoria la notificazione dell’avviso di deposito – aveva determinato una evidente incongruenza formale e, conseguentemente, notevoli incertezze soprattutto in ordine alla necessità dell’avviso di deposito alle parti per le sentenze depositate oltre il quindicesimo, ma non oltre il tren- tesimo giorno dalla pronuncia.

Esse, però, sono state superate dall’univoco indirizzo interpretativo adot- tato dalla Corte di Cassazione, la quale, analizzando la vicenda legislativa da cui sono derivati sia la nuova formulazione dell’art. 544, co. 2 c.p.p. che il mancato coordinamento di tale disposizione con l’art. 548 c.p.p. ed operando una ricostruzione sistematica della normativa in questione, è giunta alla con- clusione che anche la seconda disposizione deve ritenersi modificata in con- formità, nel senso che l’avviso di deposito deve essere effettuato quando la sentenza non è depositata entro il quindicesimo giorno, invece dell’originario trentesimo giorno80.

A prescindere dall’osservanza dei termini e dalla contestualità della mo- tivazione (“in ogni caso”, specifica infatti l’art. 548, co. 3 c.p.p.) in ragione dell’estraneità all’ufficio giudiziario da cui promana il provvedimento, l’avvi- so di deposito con l’estratto della sentenza deve essere comunicato al procu- ratore generale presso la corte di appello, mentre l’eliminazione del processo

78 Evidenzia molto bene Marotta, Sentenza penale, cit., 162, che la casistica analiticamente

prevista dall’art. 544 c.p.p. può non essere rispettata, ma ciò non deve poter comportare nocumento alcuno nei confronti dell’iniziativa del pubblico ministero e delle parti private cui spetta il diritto di impugnazione.

79 Si sarebbe dovuto trattare, rileva Spangher, Impugnazioni penali, cit., 226, di situazioni del

tutto eccezionali.

80 La predetta chiave interpretativa, prefigurata da C. cost., 30 luglio 1993, n. 364, è stata riba-

contumaciale ad opera della l. 28 aprile 2014, n. 67 ha determinato l’abroga- zione della previsione della notificazione all’imputato contumace e, correlati- vamente, il collegamento a siffatto adempimento della decorrenza del termine per impugnare (art. 585, co. 2 c.p.p.)81.

La medesima esigenza di garanzia sorregge la previsione di cui all’art. 128 c.p.p., secondo la quale, salvo quanto disposto dall’art. 424 c.p.p. per i prov- vedimenti emessi nell’udienza preliminare82 e dalle disposizioni concernenti

il dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione e, essendo provvedimenti impugnabili, l’avviso di deposito con l’indicazione del dispositivo è comuni- cato al pubblico ministero e notificato a coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione.

In tutte le ipotesi prese in considerazione dalle disposizioni appena ri- chiamate ed in linea con la funzione del meccanismo comunicativo escogitato dal legislatore, il termine per impugnare decorre dalla comunicazione ovvero notificazione degli avvisi.

Soffermandosi sull’ipotesi di proroga ex art. 154, co. 4-bis disp. att. c.p.p., la Corte di cassazione ha statuito che essa non comporta il prolungamento del periodo fissato per il deposito della sentenza, ragione per cui il dies a quo dei termini di impugnazione coincide non già con la scadenza del termine stabilito per il deposito aumentato del periodo prorogato, ma con la data di notificazione alle parti dell’avviso di deposito83.

A differente conclusione dovrebbe pervenirsi, invece, rispetto al caso pre- visto dall’art. 544, co. 3-bis c.p.p., costituendo il termine pari al doppio di quello indicato nel dispositivo un parametro legale di riferimento legato ad ac- cadimenti processuali conosciuti dalle parti e non il prodotto di itinerari interni all’ufficio giudiziario.

81 V., rispetto a siffatte correzioni normative, Santalucia, Il processo in absentia e il giudizio di ap-

pello, in Le nuove norme sulla giustizia penale, a cura di Conti, Marandola, Varraso, Milano, 2014, 295.

82 Come chiarito da Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2002, Alterio, alle parti presenti nell’u-

dienza preliminare non deve essere dato avviso del deposito della sentenza di non luogo a procedere emessa a norma dell’art. 424 c.p.p., nel caso in cui la stessa, anziché contestualmente, sia motivata entro trenta giorni dalla pronuncia, di talché il termine di quindici giorni stabilito dall’art. 585, co. 1 lett. a) c.p.p. per l’impugnazione di tale sentenza decorre dalla scadenza del termine di trenta giorni stabilito dall’art. 424, co. 4 c.p.p., quando la motivazione sia depositata nello stesso termine. Rispetto alla sentenza emessa a conclusione del giudizio abbreviato v., invece, Cass. pen., Sez. un., 15 dicem- bre 1992, Cicero, la quale valorizza il richiamo contenuto nell’art. 422, co. 1 c.p.p. agli artt. 529 ss. c.p.p. per ritenere applicabili le decorrenze ed i termini stabiliti per l’impugnazione delle sentenze dibattimentali.

Come si diceva, la complessità dell’attività valutativa preordinata al depo- sito della sentenza – e, dunque, l’ampiezza del termine che all’esplicazione di essa si correla – si proietta sugli ipotizzabili tempi della corrispondente attività preordinata alla predisposizione di un atto di impugnazione completo di moti- vi84, assimilandone le geometrie, anche se, è stato autorevolmente specificato,

le scelte del legislatore relativamente ai termini per proporre l’impugnazione nascono da ragioni composite e non soltanto dalla maggiore o minore comples- sità della decisione, dato che vengono in rilievo, altresì, l’ambito di efficacia della pronuncia e la necessaria celerità della procedura in relazione agli inte- ressi coinvolti dalla statuizione85.

Infatti, l’art. 585, co. 1 c.p.p. coordina l’estensione del termine per pro- porre impugnazione al grado di complessità della motivazione desumibile dai tempi richiesti per il deposito della sentenza, di talché esso è, per ciascuna delle parti, di quindici giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e nel caso previsto dall’art. 544, co. 1 c.p.p., di trenta giorni nel caso previsto dall’art. 544, co. 2 c.p.p.86 e di quarantacinque giorni

nell’ipotesi considerata dall’art. 544, co. 3 c.p.p.

Rispetto alla prima ipotesi, la Corte di cassazione ha adottato un approccio opportunamente rigido alla lettura della norma87, precisando in primo luogo

che nel caso in cui la motivazione sia depositata lo stesso giorno della lettura del dispositivo, non opera in relazione ai termini per impugnare la previsione della lettura contestuale di dispositivo e motivazione88.

Inoltre, ha chiarito che una semplice “comunicazione” della contestualità della motivazione, non seguita dalla lettura della stessa, non consente la decor- renza del termine previsto dall’art. 585 c.p.p. per l’impugnazione, occorrendo a tal fine almeno una esposizione riassuntiva della motivazione stessa, così da porre l’imputato nella condizione di fare una prima sommaria valutazione sulle

84 Marandola, Le disposizioni generali, cit., 186.

85 C. cost., 27 giugno 1997, n. 206, con la quale è stata ritenuta infondata la questione di legit-

timità costituzionale relativa all’art. 585, co. 1 lett. a) c.p.p., sollevata in riferimento agli art. 3 e 112 cost., nella parte in cui prevede quale termine per proporre appello avverso le sentenze di non luogo a procedere quello di quindici giorni.

86 Cass. pen., Sez. un., 30 aprile 1997, Bianco, ha chiarito che qualora il giudice ritardi il de-

posito della motivazione della sentenza, senza aver preventivamente indicato un termine nel dispo- sitivo, ai sensi dell’art. 544, co. 3 c.p.p. il termine di impugnazione è quello di trenta giorni previsto dall’art. 585, co. 1 lett. b) c.p.p., decorrente dalla data di notificazione o di comunicazione dell’avvi- so di deposito della sentenza.

87 Evidenzia la correttezza e le ragioni di opportunità di un siffatto approccio, in dottrina, Ma-

randola, Le disposizioni generali, cit., 187.

proprie convenienze89.

In ordine al profilo afferente alla prova del requisito della contestualità, la giurisprudenza ha statuito che, derivando da tale evento il decorso del termine utile per proporre impugnazione, la lettura del dispositivo e della motivazione deve risultare con certezza dagli atti e, a tal fine, può ritenersi provata con cer- tezza solo nel caso in cui il dato processuale risulti dal dispositivo e dal verbale di udienza, non essendo sufficiente la mera indicazione della contestualità della motivazione riportata nel frontespizio della sentenza90.

Relativamente alle ipotesi in cui vengano osservati i termini per il deposi- to della sentenza previsti dall’art. 544 c.p.p. si è correttamente stabilito che non spetta al difensore l’avviso di deposito della sentenza e questo a prescindere dalla personale presenza o meno del difensore di fiducia all’udienza di decisio- ne del giudizio in quanto costui, conoscendo o potendo conoscere rapidamente il giorno ed il tenore del dispositivo della decisione, può determinare con cer- tezza la decorrenza ed il termine per la proposizione dell’impugnazione91.

Il riferimento del sistema informativo tipico ai soli casi di inosservanza dei termini, con esclusione, quindi, delle ipotesi in cui il deposito della senten- za non sia contestuale alla lettura del dispositivo ma comunque tempestivo, ha dato luogo a dubbi sul versante della legittimità costituzionale che, però, sono stati ritenuti infondati dalla Corte di cassazione.

Secondo il Giudice di legittimità, infatti, la norma, fissando la decorrenza del termine per la proposizione del gravame alla scadenza di quello fissato dal- la legge o indicato dal giudice per il deposito della sentenza, assegna alle parti uno spazio temporale sicuro ed agevolmente calcolabile nel dies a quo e nella durata e non ostacola, pertanto, l’esercizio del diritto di impugnazione.

Né può ravvisarsi un’irragionevole disparità di trattamento fra le predet- te ipotesi e quelle in cui è invece previsto l’avviso di deposito, trattandosi di situazioni diverse che comportano necessariamente una differente disciplina alla luce della considerazione che il mancato deposito della sentenza nel tempo stabilito rende incerto il dies a quo per la proposizione dell’impugnazione e ben più gravoso l’esercizio del diritto di difesa rispetto al caso opposto, in cui la parte ha la piena conoscenza dell’inizio della decorrenza di detto termine92.

Le disposizioni concernenti i termini per l’impugnazione operano anche rispetto ai provvedimenti abnormi, ma il termine per proporre ricorso per cas-