• Non ci sono risultati.

La glottodidattica per l’infanzia: metodologie e tecniche

4.1 La glottodidattica per l’infanzia

Insegnare le lingue ai bambini richiede un’attenzione particolare al protagonista del processo matetico, alle sue caratteristiche neurobiologiche, allo stadio di sviluppo cognitivo raggiunto, alle attitudini psicosociali acquisite, allo stile e alle modalità di apprendimento a lui più congeniali e agli aspetti emotivi e affettivi legati all’apprendimento e alla crescita personale. Sulla base di queste motivazioni l’approccio utilizzato nella glottodidattica per l’infanzia è quello umanistico-affettivo che ben si concilia con i bisogni, le motivazioni e le forme espressive dei bambini nella prima e nella seconda infanzia. Si tratta di un approccio che trae le sue fondamenta psicopedagogiche dalla branca della psicologia denominata umanistica, sviluppatasi intorno agli anni Sessanta negli Stati Uniti e di cui il maggior esponente è Carl Rogers come ampiamente esplicato nel capitolo 1 di questo lavoro.

La psicologia umanistica applicata all’ambito educativo promuove la ricerca di “un percorso

didattico capace di minimizzare le resistenze di carattere psicoaffettivo che i discenti oppongono in modo palese o occulto” (Diadori, 2011: 47).

Le peculiarità dei piccoli apprendenti sono anche alla base della scelta di adoperare e combinare diverse metodologie e tecniche glottodidattiche racchiuse sotto l’etichetta di approccio umanistico-affettivo: dal Total Phisical Response (Asher, 1977) che privilegia lo sviluppo della

96

comprensione orale e la coordinazione linguistico-motoria attraverso l’esecuzione di azioni non verbali, quali gesti e spostamenti, in risposta a un comando verbale; alla glottodidattica ludica che utilizza il gioco in maniera strategica per raggiungere obiettivi sia linguistici che formativi; al ricorso alla lettura di favole, all’ascolto di tracce musicali e alla visione di materiali visivi specifici per l’infanzia.

L’integrazione di diverse metodologie all’interno del processo glottodidattico è uno degli elementi che secondo Luise (2006) promuove l’approccio umanistico-affettivo anche per l’insegnamento in classi eterogenee per lingua e cultura. La commistione di molteplici metodologie e tecniche assicura infatti la possibilità di imparare e fare esperienza anche a coloro i quali sono già entrati in contratto con un sistema e delle modalità di insegnamento diverse e che, molto probabilmente, potrebbero incontrare maggiori difficoltà se “costretti” ad adattarsi a un’unica metodologia pedagogica e didattica.

Luise (2006:81) presenta ulteriori fattori per i quali “ E’ evidente che un approccio di tipo

umanistico-affettivo è fondamentale anche per la glottodidattica della seconda lingua per studenti stranieri in ambito scolastico”:

❖ l’attenzione allo studente come persona, alle sue peculiarità cognitive, emotive, psicologiche, esperienziali;

❖ l’importanza del rapporto con gli insegnanti, con i compagni, con le figure educative

della scuola, che hanno il compito di guidarlo nella conoscenza del mondo che lo sta

accogliendo;

❖ la centralità del processo di autorealizzazione del soggetto, in primis attraverso la possibilità di comunicare nella lingua del Paese in cui vive.

Relativamente a quest’ultimo punto aggiungiamo che stimolare e/o rafforzare la competenza lessicale in L2 è parte fondante del processo di accostamento alla nuova lingua e cultura e dovrebbe essere la strategia privilegiata per farlo in quanto la capacità di comprendere e produrre atti comunicativi consente al soggetto la possibilità di socializzare.

Nel contesto di accostamento alla L2, accanto all’impiego di metodologie e tecniche glottodidattiche di stampo umanistico-affettivo, è anche necessario integrare la pedagogia interculturale e la didattica interculturale, che ne è la diretta traduzione sul piano pratico.

97

La didattica interculturale si fa promotrice dell’uguaglianza e dell’inclusione culturale attraverso azioni educative mirate a stabilire l’incontro, il dialogo e la contaminazione tra culture diverse.

Dimostrare attenzione materialmente e simbolicamente verso la cultura di provenienza del soggetto apprendente significa dimostrare interesse verso di lui e trasmettergli che la sua diversità non è un problema ma, anzi, rappresenta un elemento di novità positiva per l’intero gruppo-classe. Questo atteggiamento produce nel bambino un senso di accettazione e protezione e allo stesso tempo favorisce l’apertura verso la cultura e la lingua del Paese ospitante, determinando effetti positivi anche sul piano educativo e istruttivo.

4.1.1 La didattica esperienziale

L’educazione all’esperienza in L2/LS è un concetto interdisciplinare che riflette il modello epistemologico della glottodidattica per l’infanzia proposto da Daloiso (2007) e basato su tre fattori fondamentali e interconnessi:

❖ la dimensione acquisizionale: riguarda il protagonista del processo matetico e si focalizza sugli aspetti neuropsicologici dell’acquisizione linguistica, quali motivazione, memoria ed emozioni;

❖ la dimensione linguistico-culturale: interessa l’oggetto dell’acquisizione infantile e cioè gli aspetti linguistici e comunicativi che caratterizzano il linguaggio infantile; nella seconda infanzia, per esempio, prevale la funzione comunicativa personale a causa dell’egocentrismo proprio di questa fase, analogamente, a livello culturale il bambino vive il delicato stadio della costruzione della propria identità e inizia ad approcciarsi all’alterità;

❖ la dimensione metodologica: è inerente alle modalità più adeguate per insegnare le lingue ai bambini e trae le sue fondamenta dalle altre due dimensioni; conoscere i processi di acquisizione del linguaggio e le fasi dello sviluppo linguistico e culturale propri dell’infanzia è indispensabile per elaborare specifiche teorie, metodologie e strategie didattiche che accompagnino e supportino il naturale sviluppo del bambino.

98

Le attività linguistiche devono, dunque, essere formative, connesse e parte integrante di altre attività che mirano allo sviluppo cognitivo e socio-relazionale e devono tener conto delle tappe di acquisizione linguistico-comunicative che attraversano i bambini senza forzarle, ma rafforzando le competenze di cui i soggetti sono già in possesso e stimolandoli a compiere il passo successivo, come suggerisce l’ipotesi denominata ‘fattore i +1’ della teoria naturalistica di Krashen (1983).

Uno dei punti di maggiore congiunzione tra gli obiettivi generali della didattica infantile, le potenziali competenze linguistiche dei bambini tra la prima e la seconda infanzia e i loro bisogni è quello esplicato dalla competenza pragmatico-funzionale. Tale aspetto del linguaggio è tra i primi a emergere anche nell’acquisizione della prima lingua, sembra quindi che l’espressione dei bisogni fisici e poi emotivi e, in seguito, la necessità dell’interazione con l’altro siano fondamentali per la scoperta, attraverso il linguaggio, del mondo e dell’identità propria e altrui. Lo sviluppo della competenza pragmatico-funzionale è, dunque, uno dei principali obiettivi che la didattica di L2 e LS per la scuola dell’infanzia deve porsi.

La cosiddetta didattica esperienziale è una delle strategie metodologiche più raccomandate a tale scopo e consiste nell’impiego della lingua target come veicolo e non come scopo dell’insegnamento, nel non spiegare ciò che si deve imparare ma farne fare diretta esperienza affidandosi all’innata capacità imitativa di cui i bambini della scuola dell’infanzia sono ancora copiosamente dotati e che permette loro di sviluppare fenomeni di adattamento all’interlocutore e la creazione di automatismi attraverso l’imitazione e la pratica (Diadori, 2011).

Tra le attività a carattere esperienziale che fanno parte della pratica educativa nella scuola dell’infanzia vi sono quelle espressive, quelle manipolative, le psicomotorie e quelle linguistiche, specifiche per sviluppare ed esercitare per l’appunto le competenze linguistiche. Nella seguente tabella di sintesi (Daloiso, 2009:175) riportiamo alcune delle tecniche linguistiche più diffuse nelle pratiche della scuola dell’infanzia:

Tipi di gioco Caratteristiche Attività glottodidattiche

Funzionali Sono noti al bambino perché Catene, Composizioni e scomposizioni, attraverso di essi fin dai primi Denominazione, Incastri, Insiemistica, mesi di vita egli ha iniziato ad Numerazione, Ripetizioni

acquisire la lingua e a esplorare la realtà

99

di vita, sono legati all’intelligenza Drammatizzazione, Esercizi di rappresentativa (capacità di transcodificazione, Filastrocche, rappresentare un oggetto assente), Giochi di memoria, Role-Play, alla capacità imitativa e allo Simulazione

sviluppo semiotico

Di regole Potranno essere introdotti a Giochi da cortile (nascondino, mosca partire dai cinque anni, poiché cieca, fazzoletto) associati a esercizi richiedono collaborazione e di lingua, Giochi su schema (snakes rispetto di regole48 and ladders, bingo) associati a esercizi di lingua

Un’ulteriore tecnica prevede la creazione di routine situazionali in cui specifiche espressioni linguistiche vengono associate ad azioni e movimenti ricorrenti. Secondo Daloiso (2007) le routine rivestono un ruolo fondamentale nei processi di apprendimento dei bambini apportando benefici in ambito neurologico, psicologico e linguistico: nel primo caso agevolano l’acquisizione del linguaggio prefabbricato, dal punto di vista psicologico il carattere reiterativo delle routine garantisce una sensazione di sicurezza che permette al bambino di sperimentare e scoprire sentendosi protetto e, infine, a livello linguistico il fatto che le routine siano esplicate in un contesto familiare per i bambini fa sì che la loro attenzione possa focalizzarsi esclusivamente sul processamento dell’input linguistico, in quanto unico elemento di novità. Grazie al coinvolgimento in attività di routine, secondo Favaro (2011), anche coloro che conoscono poco l’italiano riescono a capire quello che succede intorno a loro e a inserirsi nel contesto classe attraverso l’osservazione e l’imitazione dei compagni. Grazie a un’organizzazione del tempo e delle attività prevedibile e ripetitiva, inoltre, i bambini con background migratorio riescono a sentirsi sicuri e meno disorientati nel nuovo ambiente. Secondo Daloiso (2008) le routine linguistiche si prestano a scopi strategici diversi all’interno dell’attività didattica, attraverso le teaching strategies, per esempio, l’insegnante può supportare il processo di apprendimento lessicale sia a livello di comprensione che di produzione: nel primo caso, tra le altre strategie, può riprendere e ripetere alcune parole, nel

48 “La difficoltà di proporre questo tipo di giochi a bambini di tre o quattro anni consiste nel fatto che essi

richiedono l’attivazione dell’intelligenza riflessiva, che matura solo verso il settimo anno di vita, e di competenze sociali e relazionali, che i bambini iniziano a padroneggiare verso i cinque anni.” (Daloiso, 2009:175)

100

secondo caso può lasciar scegliere il materiale ai bambini previa denominazione dello stesso oppure sospendere le frasi e chiedere ai bambini di completarle.

4.1.2 Indicazioni per gli insegnanti

Un altro principio della teoria di Krashen (1983), la cosiddetta ipotesi del filtro affettivo, si dimostra di centrale importanza nell’accostamento dei bambini alla L2 o LS: si tratta di una barriera emozionale che si eleva o si riduce in base alla reazione emotiva, che può essere di ansia o disagio oppure di tranquillità e confort, che percepiamo nel contesto di apprendimento. Un filtro affettivo ridotto o assente garantisce una maggiore possibilità di acquisizione dell’input, consentendo al processo di apprendimento di seguire la sua naturale evoluzione. La maggior parte dei bambini, almeno fino alla seconda infanzia, presenta un filtro affettivo ridotto rispetto a quello degli adulti poiché è scarsamente consapevole di star apprendendo e di conseguenza non percepisce la cosiddetta ansia da prestazione. Tale vantaggio, va però sostenuto e incentivato attraverso specifiche modalità di gestione dell’ambiente scolastico, dalla scelta delle attività didattiche alle condizioni di esecuzione delle stesse, dall’assetto comportamentale degli insegnati all’allestimento del setting educativo.

Secondo Garotti e Stoppini (2010:84) i bambini comprendono globalmente, con tutti i cinque sensi, inoltre “considerano la comunicazione come un tutto unico e percepiscono, ad esempio,

l’atmosfera di una determinata situazione”.

Un ambiente accogliente e familiare, ricco di quelli che Krashen, Dulay e Burt (1982) definiscono concrete referents cioè fattori extralinguistici come canzoni, video, immagini, giocattoli, atti a rendere la comprensione degli input linguistici più agevole e immediata, rientra, quindi, tra i requisiti essenziali per la didattica per l’infanzia.

Maugeri (2017) afferma che la stessa disposizione dell’aula e, all’interno di essa, dei banchi e di tutto l’arredo scolastico può contribuire a rendervene piacevole la permanenza, esercitando un impatto positivo sulla riduzione del filtro affettivo degli alunni e facilitando i processi di acquisizione linguistica.

Il layout dell’aula si rivela però fondamentale solo se fatto in relazione alla scelta del metodo adoperato e in questo caso servirà anche da supporto per le tecniche didattiche utilizzate. La distribuzione e il posizionamento delle infrastrutture e dell’arredamento scolastico all’interno della classe può essere utile per favorire l’interazione e di conseguenza l’instaurarsi di relazioni sociali tra pari ma anche tra insegnante e alunno.

La progettazione dell’ambiente in funzione dei bisogni degli alunni prevede azioni concrete come la tematizzazione dell’aula, la presenza di elementi tattili e la disposizione dell’arredo

101

didattico ravvicinato in modo da favorire il contatto visivo tra i partecipanti e promuovere gruppi di lavoro flessibili. Nel caso dei bambini nel periodo tra la prima e la seconda infanzia, essi preferiscono le attività da svolgere a coppie piuttosto che quelle in gruppi più ampi poiché si trovano nel momento del passaggio dalla fase dell’egocentrismo a quella della familiarizzazione con l’alterità.

Il modello spaziale circolare che prevede banchi mobili favorisce la fluenza degli scambi comunicativi, la circolazione delle informazioni e una modalità di svolgimento delle attività molto coinvolgente. Secondo Balboni e Caon (2015) una condizione didattica di questo tipo è preferibile laddove si abbia come obiettivo lo sviluppo della competenza comunicativa e interculturale degli studenti, proprio come nel caso degli alunni di L2.

Oltre ad accorgimenti di carattere logistico allo scopo di rendere accogliente l’ambiente didattico, nella scuola dell’infanzia il rapporto tra alunno e insegnante è fortemente caratterizzato da una relazione di affettività, che in alcuni casi spinge l’educatore ad adottare particolari strategie linguistiche per comunicare con i bambini e per stimolarne lo sviluppo linguistico.

Nepi (2015) afferma che la modalità comunicativa dell’insegnante si rivela di fondamentale importanza poiché l’oralità, insieme alle immagini, rappresenta il mezzo preferenziale per veicolare l’input linguistico a bambini di quest’età, giacché essi non hanno ancora sviluppato le abilità di lettura e/o quelle metalinguistiche.

Secondo l’esperta le modalità comunicative utilizzate vengono alternate e adattate in base agli specifici contesti comunicativi e ai bisogni degli interlocutori: il baby talk, tipicamente adoperato al nido, contraddistingue alcuni particolari momenti di maggiore intimità e complicità tra adulto e bambino anche nella scuola dell’infanzia; il teacher talk è invece la modalità preferenziale nel rapporto docente-alunno, quella maggiormente impiegata soprattutto durante le attività didattiche; infine, in alcune situazioni può essere usato anche il foreign talk, caratteristico del parlato tra soggetti madrelingua e madrelingua stranieri e di norma impiegato in contesti comunicativi extrascolastici ma, talvolta, presente anche in ambiente istituzionale laddove vi sia una ingente presenza di alunni non italofoni.

Sempre nelle classi con un notevole numero di soggetti di madrelingua non italiana, l’insegnante può elaborare e proporre ulteriori strategie di facilitazione comunicativa su base pluridimensionale, atte ad agevolare la comprensione dell’input e lo sviluppo delle competenze linguistiche come suggerisce Daloiso (2009):

❖ dimensione linguistica: ripetizioni e riformulazioni degli enunciati, richieste di conferme della comprensione dell’input;

102

❖ dimensione paralinguistica: rallentamento dell’eloquio, pausa tra gli enunciati, accentuazione delle keyword o scansione delle sillabe;

❖ dimensione extralinguistica: accostamento del linguaggio verbale al codice iconico, oggettemico o gestuale.

Altre caratteristiche dello stile glottodidattico degli insegnanti della scuola dell’infanzia, mirate soprattutto a sollecitare il processo produttivo degli alunni, prevedono strategie come il

decision-making, la già citata routine linguistica, la ripetizione collettiva, l’errore intenzionale

e la produzione di frasi sospese.

Anche la scelta del lessico da utilizzare con questi alunni assume dei caratteri ben precisi, secondo Daloiso (2007), infatti, la selezione del vocabolario da proporre ai soggetti in età infantile dovrebbe basarsi su due criteri principali quali la concretezza e la significatività, e cioè il livello di utilità e la familiarità che il bambino ha con alcuni campi semantici.

Indipendentemente dal livello di competenza lessicale di ogni singolo bambino (anche in L1), è, dunque, consigliabile attingere il lessico utilizzato in classe da determinate aree lessicali tra cui quelle relative alla natura, agli animali, al cibo, all’ambiente scolastico, al contesto familiare, ai giochi, alla descrizione personale e all’immaginazione.

La presentazione del lessico è altrettanto importante, a tal proposito Daloiso (2009:95) suggerisce di modificare l’input seguendo alcune accortezze sia a livello linguistico che paralinguistico:

Aspetti dell’input Caratteristiche

Linguistici Lessico

- Usare vezzeggiativi e diminutivi - Usare onomatopee

- Privilegiare ad alta frequenza e concreto

- Sostituire pronomi di prima persona con il nome proprio - Sostituire gli aggettivi possessivi con il nome proprio o un nominale

103

- Rallentare la velocità dell’eloquio - Inserire pause discorsive

- Marcare i confini di parole

- Porre l’accento sugli obiettivi semantici più importanti

L’obiettivo dell’insegnante non è solamente soddisfare i bisogni comunicativi primari degli alunni ma stimolarli alla creazione di nuovi bisogni e nuove competenze attraverso l’esposizione a un input diversificato e a plurime dinamiche interazionali.

Una didattica che si pone tali obiettivi rispecchia il modello proposto da Cummins, secondo il quale il bambino di origine straniera affronta due fasi linguistiche e cognitive: durante la prima fase detta BICS (Basic Interpersonal Communicative Skills) il soggetto apprende a soddisfare in L2 i bisogni comunicativi quotidiani e contestualizzati, nella seconda fase chiamata Calp (Cognitive Academic Language Proficiency), egli sviluppa un set di competenze, principalmente di carattere logico-cognitivo e linguistico-comunicativo, in grado di consentirgli la comprensione e l’utilizzo di un linguaggio e di concetti più formali e astratti, tipici delle lezioni scolastiche e dei libri di testo.

Secondo Favaro (2011), alla fine del triennio della scuola dell’infanzia, un bambino è generalmente in grado di spiegare un fenomeno e di riferire un fatto o raccontare una storia producendo enunciati complessi, descrivendo oggetti o persone che ne fanno parte. Lo sviluppo di tali capacità è, in parte, frutto di un processo naturale di potenziamento delle competenze cognitive e di apprendimento e, in parte, dovuto agli interventi educativi e al contatto con i bambini più grandi che svolgono un’azione stimolante per il nuovo apprendente.

Ritornando alla cura dell’ambiente scolastico e alla diversificazione delle modalità didattiche dei docenti, è necessario evidenziare che esse si rivelano determinanti anche per alimentare e sostenere altri fattori i quali, se opportunamente sfruttati, contribuiscono all’acquisizione lessicale: ci riferiamo in particolar modo alla valorizzazione dei bisogni e della motivazione nei bambini.

Brumen (2011: 730) asserisce che i bambini durante l’infanzia sono intrinsecamente motivati all’apprendimento di una L2 o LS, aggiungendo che “They want to learn because they enjoy

the process of learning a foreign language for its own sake”. Secondo la ricercatrice i piccoli

alunni provano, inoltre, realizzazione e soddisfazione nel mostrare la competenza linguistica acquisita ma, allo stesso tempo, hanno difficoltà a mantenere viva la loro motivazione.

A tal proposito Semplici (2011) afferma che la motivazione dei bambini sembra non essere delle più solide poiché essi non possono trarre stimolo da obiettivi futuri che implichino

104

specifici bisogni linguistici. Ma come suggerisce Diadori (2011:22), in realtà, “Non è la

motivazione in sé che determina il successo dell’apprendimento: questo è dovuto piuttosto al livello di attenzione che la motivazione suscita nell’apprendente”.

I bambini, però, possiedono scarse capacità attentive ed è dunque imprescindibile fare ricorso ad apposite strategie didattiche che tengano conto di tali carenze e che mirino perciò a stimolare la curiosità e l’attenzione.

Relativamente a questo argomento, le principali indicazioni riguardano due punti principali: a) la scelta di metodologie che comprendano l’utilizzo di tecniche glottodidattiche basate su input visivi e sonori e sul gioco, per rendere l’accostamento alle lingue un’esperienza coinvolgente e divertente; b) la creazione di un’atmosfera sicura e accogliente in cui il bambino possa sentirsi sereno e incoraggiato a sperimentare con la lingua senza paura di sbagliare.

Tra le attività più valide per insegnare nuove parole si annovera il gioco, particolarmente adatto poiché comporta una certa dose di competitività che, tipicamente, diverte i bambini e, nello stesso tempo, li anima a imparare.

Nel caso specifico della L2 o lingua di contatto, alla curiosità e alla motivazione intrinseca dei bambini nei confronti della “nuova” lingua si aggiunge anche il bisogno di integrarsi in un nuovo contesto, il rischio è però che per questi soggetti la motivazione rimanga alta solo fino al raggiungimento della fase Bics, mentre il compito dell’insegnante è quello di mantenerla costante fino al conseguimento di un livello di competenza maggiore (Calp).

La motivazione può essere anche soggetta all’influenza di ragioni personali o sociali, tra queste l’atteggiamento di valorizzazione e di apertura della famiglia di provenienza nei confronti della cultura e della lingua del Paese ospitante. Uno dei casi più emblematici è quello rappresentato dai bambini nomadi, di nazionalità sia italiana che straniera: l’obbligo scolastico non sempre suscita reazioni positive da parte delle famiglie di questi alunni, giacché esse hanno timore che l’avvicinamento a una lingua e cultura diversa dalla propria possa provocare l’acquisizione di una visione del mondo in opposizione a quella rom (Desideri, 2007 citato in Diadori et al., 2015).