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Le politiche linguistiche e la formazione scolastica dei “nuovi italiani”

Secondo il report annuale dell’Istat sugli indicatori demografici12 gli stranieri13 residenti in Italia al 1° gennaio 2019 sono 5 milioni 234 mila e rappresentano l’8,7% della popolazione totale, con un aumento dello 0,3% sull’anno precedentee al contempo il più consistente degli ultimi sei anni.

Parallelamente, nell’ultimo quinquennio, si è però registrato un altro fenomeno, ci riferiamo all’incremento del numero di persone che fanno richiesta di cittadinanza italiana; a tal proposito i dati riportati sul testo “Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia”14 redatto dall’Istat e pubblicato nel 2018, ci dicono che i cittadini stranieri che hanno fatto richiesta di cittadinanza sono passati da poco più di 56 mila nel 2011 a 178 mila nel 2015.

La nostra legislazione prevede infatti, previo possesso di determinati requisiti, la possibilità di richiedere e ottenere la cittadinanza per: a. gli stranieri residenti nel nostro Paese da più di 10 anni, (questi ultimi possono trasferirla direttamente ai figli tramite la pratica della Cittadinanza

Attributiva); b. i maggiorenni nati in Italia da genitori stranieri; c. i cittadini stranieri che

contraggono matrimonio con cittadini italiani.

L’analisi di questo fenomeno è rilevante per il computo dei cosiddetti stranieri di seconda generazione, molti dei quali potrebbero nascondersi tra le fila dei “nuovi” cittadini italiani. Secondo le stime infatti, l’insieme di coloro che hanno acquisito la cittadinanza attributiva e coloro che l’hanno scelta al compimento del diciottesimo anno di età, è passato da circa 10 mila a oltre 66 mila tra il 2011 e il 2015. E’, dunque, necessario rivedere la definizione di seconda generazione di immigrati affiancando alla seconda generazione di stranieri in senso stretto anche queste due categorie che di fatto non rientrano più nel computo dei bambini e dei ragazzi stranieri ma che, spesso, vivono in un contesto familiare e culturale solo parzialmente integrato nella società italiana.

La letteratura sul tema ci insegna, inoltre, che il background migratorio dei ragazzi di origine non italiana presenti sul nostro territorio può essere decisamente vasto e variegato; una

12 vd.https://www.istat.it/it/files//2019/02/Report-Stime-indicatori-demografici.pdf

13 In questo lavoro gli attributi “straniero”, “con background migratorio” o “con cittadinanza non italiana”, vengono

utilizzati nella loro accezione più estesa e generalizzata e, spesso, come equivalenti.

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classificazione possibile è quella proposta da R. G. Rumbaut (1997) che si basa sul momento in cui i soggetti emigrano ed è definita delle “generazioni frazionarie”: la generazione 1,25 è quella che emigra tra i 13 e i 17 anni; la generazione 1,5 ha iniziato il processo di socializzazione e la scuola primaria prima di emigrare; la generazione 1,75 arriva nel Paese di destinazione in età prescolare; la generazione 2.0 nasce nel nuovo Paese.

Uno dei problemi e degli ostacoli che maggiormente influisce nel processo di integrazione sociale e scolastico di questi giovani e giovanissimi è la lingua. Moltissimi di loro si trovano, infatti, catapultati in una realtà di cui non conoscono tradizioni né modi di vivere ma lo scoglio più grande da superare risiede nell’impossibilità di comunicare. Non fanno eccezione i bambini di seconda generazione in quanto nel periodo prescolastico15, salvo la presenza di fratelli maggiori già inseriti nel sistema scolastico italiano o dell’esposizione ai mezzi di comunicazione italiani nelle famiglie meno tradizionaliste, l’idioma preferenziale nel contesto familiare è solitamente quello del Paese di origine. Secondo Favaro (2010), questi bambini non sono propriamente definibili come non italofoni, come coloro i quali arrivano sul nostro territorio avendo già acquisito una lingua madre, ma sono piuttosto di madre lingua non italiana; se inseriti precocemente nei servizi educativi per l’infanzia, quindi, l’italiano diventa per loro una lingua adottiva, una seconda lingua madre da vivere e utilizzare durante le attività educative e ricreative quotidiane, o, addirittura, una lingua “filiale” attraverso la quale portare nell’ambiente domestico nuove modalità di comunicazione.

Il panorama linguistico italiano si è sempre caratterizzato per una natura fortemente eterogenea, ma a dialetti e lingue minoritarie storiche si è aggiunto, a partire dagli anni Settanta, un nutrito e composito gruppo di lingue di origine parlate dagli immigrati. La situazione si prospetta ulteriormente articolata se si abbandona l’errata associazione per cui una nazionalità equivale a una lingua, così come avviene per gli italiani, infatti, anche gli immigrati possono conoscere e utilizzare una o più varietà linguistiche proprie del Paese di origine accanto a quella standard, laddove presenti, o dominare una lingua straniera qualora provengano da uno Stato con assetto plurilingue.

Vedovelli (2010:43), asserisce al riguardo: “L’effetto dell’immigrazione dal Nord-Africa, dalla

Romania, dall’Albania, da alcuni paesi del Sudamerica, dalla Cina, dall’Est Europa e dalla Penisola Balcanica, a seguito di eventi di diversa natura, come avviene nella mobilità internazionale, ha configurato lo spazio linguistico italiano”. In un contesto plurilinguistico

tale, ciò che potrebbe venirsi a creare è una sorta di Babele in cui il timore maggiore è quello

15 In letteratura con l’espressione “periodo prescolastico” viene definito talvolta il periodo antecedente

all’inserimento nei servizi educativi (quindi anche asilo nido e scuola dell’infanzia) e in altri casi l’intero periodo prima dell’accesso alla scuola primaria. In questo lavoro abbiamo adottato la prima variante di significato.

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del non capire e del non farsi capire, di non poter dialogare e conseguentemente cadere nel conflitto (Vedovelli, 2011).

E’ proprio per questo che, accanto all’elaborazione di politiche che promuovano il plurilinguismo e a un approccio didattico interculturale, è necessario incentivare l’insegnamento dell’italiano L2 o lingua di contatto sin dalla primissima infanzia.

La scuola è chiamata a raccogliere le dinamiche che si sviluppano nella società, a rielaborarle e a forgiare i futuri cittadini, che saranno il frutto della sintesi tra diverse lingue, culture e tradizioni, tale sintesi non sarebbe però possibile se ci fossero ostacoli di tipo linguistico. Tutti i documenti a riguardo, sia quelli di matrice europea che quelli emanati dalle istituzioni italiane convergono nell’attribuzione di un ruolo fondamentale alla scuola e insistono sulla necessità di offrire l’insegnamento della lingua nazionale, allo scopo di colmare le lacune linguistiche degli alunni migranti e favorirli nell’inserimento nella società che li ospita. Sebbene non ci siano atti legislativi finalizzati a regolamentare l’inserimento dell’italiano come L2 nella scuola dell’infanzia, nel corso dell’ultima decade i progetti promossi dalle scuole volti a facilitare il processo integrativo dei bambini attraverso un adeguato sviluppo linguistico sia nella lingua d’origine sia nell’italiano L2 o lingua di contatto, si sono moltiplicati e in alcune zone del Paese sono diventanti una consuetudine.

2.1 I bambini stranieri nella scuola italiana

2.1.1 I Numeri

Nel luglio 2019 il sito ufficiale del Miur ha pubblicato un documento16 relativo al numero e alle caratteristiche degli alunni con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole di ogni ordine e grado. Secondo i dati, che si riferiscono all’anno scolastico 2017/2018, il 9,7% della popolazione studentesca nel nostro Paese (842.000 unità) ha cittadinanza non italiana, di questi ben il 63,1% è nato in Italia mentre il restante 36,9% è rappresentato da alunni originari da Paesi di quasi tutto il mondo.

A livello di distribuzione territoriale il maggior numero di studenti con background migratorio è residente nelle regioni del nord: il primato spetta alla Lombardia con 213.153 alunni, circa il 25,3% del totale, a seguire Emilia-Romagna, Veneto, Lazio, Piemonte e Toscana.

16 vd. https://miur.gov.it/documents/20182/250189/Notiziario+Stranieri+1718.pdf/78ab53c4-dd30-0c0f-7f40-

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Se però misuriamo il fenomeno in base all’incidenza che la presenza di alunni con cittadinanza straniera ha sulle dinamiche di crescita e/o diminuzione della popolazione scolastica totale, allora i dati cambiano: l’Emilia-Romagna risulta al primo posto con il 16% degli studenti aventi cittadinanza non italiana, segue la Lombardia con il 15,1% e la Toscana con il 13,8%. La seguente tabella presenta i dati relativi alla Regione Toscana suddivisi per grado scolastico: