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La scuola nel contesto plurilingue e le indicazioni politiche

Paesi di provenienza

2.3 La scuola nel contesto plurilingue e le indicazioni politiche

Nel 1981 De Mauro raccontava di un panorama linguistico italiano fondato su un plurilinguismo “tradizionale” composto da tre dimensioni quali l’italiano, i dialetti e le minoranze storiche; nel 2010 Vedovelli introduce l’espressione “neoplurilinguismo” inserendo nel quadro precedentemente delineato le lingue immigrate. La scuola è stata una dei primi attori della macchina dell’accoglienza a livello statale a dover affrontare le sfide che un tale cambiamento della società ha comportato, sfide che sono mutate più volte nel corso degli anni seguendo l’evolversi del processo di immigrazione. Col tempo, l’attenzione verso la sempre maggiore presenza di alunni immigrati nelle scuole è andata crescendo, sia gli organi deputati dell’Unione Europea che quelli del governo italiano hanno, progressivamente, elaborato misure e strategie atte a migliorare e facilitare la gestione dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’istruzione dei bambini immigrati.

Nei prossimi paragrafi presenteremo i principali documenti politici inerenti questa tematica, in primo luogo facendo riferimento a quelli prodotti dagli organi europei, secondariamente ci soffermeremo sulle indicazioni dei governi italiani e, in fine, illustreremo gli elaborati che hanno delineato i principali mutamenti nella scuola dell’infanzia e che fanno specifico riferimento all’acquisizione precoce delle lingue.

48 2.3.1. Le politiche linguistiche europee

I principali organi dell’apparato politico e amministrativo d’Europa si impegnano a incentivare il plurilinguismo in tutta l’Unione attraverso la promozione di politiche a favore della diversità linguistica sia in ambito educativo che sociale. Ne è un esempio la traduzione delle leggi, delle procedure e delle informazioni inerenti a tutti gli organismi dell’Unione, in tutte le lingue ufficiali dei Paesi che la compongono.

Sebbene nell’arco della storia dell’Unione Europea, che ha ufficialmente inizio nel 1992 con il Trattato di Maastricht, e anche in precedenza durante il periodo in cui l’organizzazione era denominata Comunità Economica Europea, sia costante l’incoraggiamento e il supporto nei confronti degli Stati membri a favore della preservazione e dell’ampliamento della pluralità linguistica, ogni particolare momento storico ha caratterizzato questa spinta di sfumature più o meno inclusive, più o meno patriottiche e più o meno economiche.

Dalla nascita della CEE fino agli anni Novanta l’obiettivo dei burocrati europei sembra essere quello di riconoscere la parità di tutte le lingue nazionali ufficiali e incoraggiarne la conoscenza e la diffusione all’interno della Comunità stessa. Già nel 1954, con la firma della “Convenzione culturale europea”, l’allora Consiglio d’Europa promuove lo sviluppo e la tutela del patrimonio culturale dell’Europa, incoraggiando lo studio della storia, della civiltà e delle lingue delle Parti della Convenzione. Bisogna aspettare, però, il 1971 per il primo documento interamente pensato e strutturato per la diffusione delle lingue all’interno della comunità, si tratta del “Progetto Lingue Moderne” (1971-1981) attraverso il quale, grazie alla collaborazione di un team di esperti, si delineano, per la prima volta , le modalità di insegnamento delle lingue straniere in larga scala e si individuano i cosiddetti livelli soglia, definiti sulla base delle esigenze comunicative e sui bisogni degli apprendenti.

Nella seconda metà degli anni Settanta gli organi dell’organizzazione iniziano a interessarsi ai fenomeni migratori all’interno del vecchio continente e a elaborare proposte per coadiuvare l’azione di accoglienza e di integrazione tra gli Stati membri favorendo l’insegnamento e l’apprendimento della lingua e della cultura di origine delle comunità migranti. E’, infatti, del 1977 la direttiva emanata dal Consiglio della CEE n. 486, che vara alcune disposizioni relative alla formazione scolastica dei figli dei lavoratori migranti, al fine di agevolarne l’inserimento nel sistema educativo dello Stato ospitante e apprendere la lingua ufficiale di quest’ultimo. Nella medesima direttiva si fa, però, riferimento anche alle lingue d’origine dei migranti e si invitano gli Stati membri a incentivare lo studio delle culture e delle lingue d’origine di questi alunni, in cooperazione con i Paesi di provenienza, con lo scopo di “facilitare il loro eventuale

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Se è vero che si fa riferimento alla necessità di andare incontro ai bisogni linguistici e culturali dei migranti, è anche vero il fatto che vengono presi in considerazione soltanto i migranti provenienti da Paesi facenti parte della Comunità, mentre tutte le questioni riguardanti gli immigrati provenienti da Stati non appartenenti alla CEE, incluse quelle linguistiche e culturali, vengono riconosciute e trattate nell’ambito delle politiche relative alle problematiche sociali. Gli anni Duemila fino a quelli più recenti sembrano essere contrassegnati dalla dimensione economica sia come spinta propulsiva che come finalità delle politiche linguistiche europee. L’aumento del numero dei Paesi all’interno dell’Unione e la conseguente semplificazione a livello burocratico degli spostamenti tra nazioni, ma anche di veri e propri flussi migratori dai Paesi più poveri verso quelli più ricchi, ha evidenziato la necessità per gli organi governativi europei di iniziare a pensare a una Unione multiculturale e multilingue. Allo stesso tempo, la creazione dello spazio Schengenha implicitamente ridefinito il termine migranti, che non sono più coloro i quali si spostano da un Paese all’altro dell’Unione, ma chi proviene da zone poste al di fuori di essa, i cosiddetti extra-comunitari. Questa differenziazione si ritrova anche nei documenti ufficiali: nel “Nuovo quadro strategico per il multilinguismo” del 2005, ad esempio, si distingue tra lingue ufficiali dell’Unione, altre lingue ma autoctone e quelle non autoctone parlate dalle comunità migranti.

Le lingue minoritarie dei migranti vengono prese in considerazione quasi esclusivamente quando si fa riferimento al dialogo interculturale tra l’Europa e altre regioni del mondo, al fine di tessere rapporti politico-culturali. In uno dei documenti del 2008 si evidenzia come “le

competenze linguistiche dei cittadini provenienti da contesti d’immigrazione” costituiscono un

utile “mezzo per rafforzare il dialogo interculturale e la competitività economica” (Consiglio dell’UE, 2008:2); il fatto che le uniche lingue non europee presenti nell’offerta formativa scolastica siano il cinese, l’arabo e il giapponese, conferma la dimensione economica come prioritaria nelle politiche europee di questi anni (Perini, 2016).

E’, invece, costante l’invito a insistere sull’inserimento scolastico dei nuovi arrivati al fine di facilitare il processo di integrazione attraverso l’apprendimento della lingua ufficiale del Paese ospitante.

Analizzeremo alcuni di questi documenti, anticipando che la maggior parte di essi affronta la tematica dell’apprendimento della lingua della scolarizzazione, non tenendo in considerazione il periodo prescolastico. Secondo R. Nepi (2015), esperta in glottodidattica per bambini e istruttrice didattica per il comune di Siena, il fenomeno è attribuibile a fattori di diversa natura: in primis lo scarso interesse per i primi cicli educativi in un sistema culturale abituato ad assegnare valore ai gradi scolastici in ordine gerarchico dall’alto verso il basso; allo stesso modo scarsa attenzione è stata riservata, se non in tempi recenti, alla specificità del periodo

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dell’infanzia e a ciò che comporta in ambito educativo e linguistico; per ultimo l’esperta contempla una motivazione di tipo economico per cui, nel nostro Paese, non si sarebbe ancora compresa la necessità di investire risorse nello sviluppo linguistico e plurilinguistico in età precoce per poi raccoglierne i vantaggi culturali ed economici in un secondo momento.

Il tema dell’importanza della lingua della scolarizzazione sembra essere invece tenuto in conto dagli organismi dell’Unione Europea già nei primi anni Duemila con due documenti che riflettono lo spirito del 3° vertice del Consiglio d’Europa del 2005, in cui si pone la coesione sociale nel XXI secolo tra le maggiori priorità da perseguire e, in ambito educativo, si suggerisce di adempiere a questo onere attraverso politiche mirate a garantire l’accesso all’educazione e all’istruzione a tutti i giovani in Europa e a migliorarne la qualità.

Il primo documento è la relazione della Commissione europea “Language teaching and learning in multilingual classrooms” del 2005 che fa riferimento a come gestire le classi multilingui e ad incentivare le abilità plurilingue dei bambini che nell’ambito domestico utilizzano una lingua diversa da quella scolastica.

Riportiamo i temi principali del documento (European Commission, 2015 in Perini 2016):

❖ la ricezione e l’integrazione: viene incoraggiato l’inserimento dell’allievo nella classe ‘normale’, con uno specifico supporto linguistico, anziché la creazione di classi preparatorie separate;

❖ l’accesso al curriculum: viene garantito attraverso attività aggiuntive, supporto linguistico, coinvolgimento dei genitori e soprattutto un adeguato approccio da parte dell’insegnante;

❖ sviluppo delle competenze nella lingua materna: viene suggerito in quanto lo studio parallelo della lingua madre ha diversi benefici sull’allievo, sia dal punto di vista psicologico che da quello delle competenze scolastiche;

❖ la formazione degli insegnanti: i ricercatori ritengono che tutti gli insegnanti dovrebbero ricevere una formazione sull’insegnamento a bambini che non parlano la lingua della scuola e sull’educazione interculturale.

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Il secondo documento è stato elaborato nel 2006 dalla Divisione delle politiche linguistiche con il lancio del progetto sulle lingue di scolarizzazione, poiché la conoscenza della principale lingua utilizzata nella classe è indispensabile per il successo scolastico e, dunque, per la coesione sociale.

Per assicurare un’adeguata istruzione è fondamentale che tutti gli alunni siano messi nella condizione di capire e utilizzare al meglio la lingua della scolarizzazione che, tranne in rare situazioni, è di norma equivalente alla lingua ufficiale di ogni Stato.

Con la Raccomandazione CM/Rec(2014)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sull’importanza delle competenze nella(e) lingua(e) di scolarizzazione per l’equità e la qualità nell’istruzione e per il successo scolastico si raccomanda agli Stati membri di garantire a tutti gli studenti, in particolare ai più vulnerabili per ragioni socio-economiche o culturali, a tutti coloro che utilizzano un’altra lingua per la comunicazione ordinaria, l’acquisizione delle competenze linguistiche nella lingua di scolarizzazione. Vengono quindi invitati i governi ad accogliere le indicazioni elaborate dagli organismi dell’Unione e a impegnarsi affinché tali raccomandazioni possano concretizzarsi attraverso misure pratiche come la formazione degli insegnanti, ma anche dei dirigenti scolastici e di tutte le figure educative che ruotano intorno al mondo della scuola.

E’ importante che tutte le figure operanti nel settore scolastico siano pienamente consapevoli della dimensione linguistica dei processi di insegnamento e di apprendimento e che i programmi e i curricoli scolastici elaborati ne siano il riflesso. E’ altrettanto essenziale che le competenze dei bambini vengano verificate a inizio di ogni ciclo scolastico e periodicamente durante tutto il percorso scolastico attraverso l’uso di appositi questionari, “in modo da adattare la

progressione degli insegnamenti e predisporre le forme di sostegno adeguate che tengano conto dei bisogni e delle capacità specifiche degli apprendenti” (Raccomandazione

CM/Rec(2014)5: 8).

Le proposte, i documenti e i progetti riguardanti le politiche linguistiche europee, vengono elaborati dagli organismi dell’UE tra cui la Commissione Europea e il Consiglio dell’Unione Europea per poi essere emanati dal Consiglio d’Europa (che ha al suo interno una Divisione delle Politiche Linguistiche), ma il potere degli organi dell’organizzazione è prettamente propositivo e di sostegno alle politiche interne dei Paesi dell’Unione, che sono gli unici a poter decidere quale politica di educazione e di istruzione attuare e con quali modalità farlo, di fatto allontanandosi, in taluni casi, dalle indicazioni ricevute.

52 2.3.2. Le politiche linguistiche italiane

L’Italia è uno degli Stati maggiormente coinvolti dagli ingenti flussi migratori che si sono verificati nell’ultimo ventennio ed è stato uno dei primi Paesi ad accogliere le raccomandazioni dell’UE trasformandole in misure politiche e sociali per affrontare le conseguenze dell’immigrazione sul proprio territorio. La decisione di agire in maniera celere, dovuta anche e soprattutto all’entità del fenomeno nel nostro Paese, ha prodotto una notevole quantità di ricerche e studi che nel tempo si sono rivelati indispensabili per l’elaborazione di documenti e politiche con il fine di risolvere criticità sul piano culturale, sociale e linguistico. Anche negli anni più recenti, in cui si assiste a un cambiamento del tipo di immigrazione di cui è protagonista il nostro Paese, (spesso di tratta di un’immigrazione “di passaggio”, scelta da parte di chi sbarca sulle nostre coste in attesa di un ricongiungimento familiare in un altro Stato europeo o, semplicemente, preferisce spostarsi per cercare un’occupazione in Stati che offrono maggiori possibilità in ambito lavorativo), l’Italia si conferma una delle Nazioni maggiormente impegnata nell’elaborazione di protocolli, documenti e progetti per favorire un’integrazione linguistica e sociale tra vecchi e nuovi cittadini.

Secondo il report di Eurydice del 2017, la formazione degli insegnanti, che sempre più spesso devono confrontarsi con classi multilingue e multiculturali, non è oggetto di specifiche politiche educative e linguistiche da parte di tutti i Paesi europei; solo nei documenti di sette Stati (tra cui l’Italia), vengono, per esempio, menzionate qualifiche specifiche per l’insegnamento della lingua d’istruzione come lingua straniera e soltanto a Cipro e in Italia la dimensione interculturale dell’insegnamento è presa esplicitamente in considerazione dalle raccomandazioni dei rispettivi governi.

Un altro studio del 2017, incaricato dalla Commissione Europea al PPMI (Public Policy and Management Institute), nell’ambito della formazione iniziale degli insegnanti in Europa e su come e quanto essa includa la tematica della “diversità” all’interno dei suoi programmi, sia a livello linguistico ma anche a livello socioculturale, ci rivela che alcuni Paesi hanno concretamente promosso più di altri la formazione riguardante questi temi. La seguente immagine tratta dal documento rappresenta chiaramente la situazione europea a riguardo (nell’immagine: “ITE”, Initial Teacher Education):

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Figura 2.1

Riferimenti nelle politiche educative dei vari Stati europei in merito alla formazione iniziale degli insegnanti in materia di ‘diversità’ (PPMI, 2017: 37).

Ciò nonostante, come illustreremo più avanti in questo capitolo, la formazione degli insegnati in Italia in materia di educazione linguistica e culturale rappresenta un tema controverso: alle molteplici raccomandazioni ministeriali, non sono finora seguite azioni concrete e sistematiche

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sul piano reale, così che la formazione in questo ambito viene spesso lasciata all’iniziativa individuale o in alcuni casi dell’istituto scolastico d’appartenenza del docente.

Nel 2014 viene ricostituito l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni, la cui prima versione risale al 2006, con l’obiettivo di promuovere politiche scolastiche per l’integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana e verificarne la loro attuazione tramite monitoraggi. L’organismo si propone, al contempo, di incentivare gli accordi istituzionali per incrementare la sperimentazione e l’innovazione metodologica e didattica e, in seguito, elaborare raccomandazioni e proposte operative per le scuole. A questo proposito vengono istituiti tre gruppi di lavoro denominati rispettivamente “Insegnamento dell’italiano come lingua seconda (L2) e plurilinguismo”, “Formazione del personale scolastico e istruzione degli adulti” e “Cittadinanza e nuove generazioni italiane”. Nel 2015 l’Osservatorio redige un documento intitolato “Diversi da chi? Raccomandazioni per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura”, in cui vengono individuate dieci questioni fondamentali da affrontare per facilitare l’integrazione degli alunni con background migratorio.

Il sesto punto, denominato “Sostenere l’apprendimento dell’italiano L2, lingua di scolarità”, identifica nella ridotta competenza in italiano, anche da parte degli alunni di seconda generazione, la causa dei rallentamenti nel percorso scolastico e auspica l’istituzione di ‘laboratori linguistici permanenti’ condotti da docenti specializzati nell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda a scuola e interventi extrascolastici nell’ambito dell’associazionismo e del volontariato sotto forma di aiuto allo studio.

Un altro progetto di significativa rilevanza risale al 2015, si tratta del progetto di ricerca-azione “Lingue di scolarizzazione e curricolo plurilingue e interculturale- LSCPI” finalizzato alla ricerca di nuove metodologie didattiche, in primis per l’insegnamento della lingua italiana di scolarizzazione, ma anche delle lingue straniere (l’inglese più una seconda lingua comunitaria) e finanche delle lingue minoritarie comprese nella legge n.482 del 1999, che però, più che rappresentare le minoranze etnico-linguistiche sopraggiunte nel nostro Paese nell’ultimo ventennio, rappresentano le lingue utilizzate dalle minoranze “storiche” presenti sul territorio nazionale.

Ancora, tra i documenti più importanti elaborati dalle autorità italiane, negli ultimi anni citiamo “Le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” del 2014, una versione aggiornata del medesimo documento datato 2006 in cui si affronta il tema dell’accoglienza e della gestione di bambini e adolescenti di origine straniera da parte delle istituzioni scolastiche. Il testo, che propone modelli di integrazione e sostegno didattico già sperimentati da alcune scuole italiane, presenta numerose indicazioni operative destinate a tutti gli attori del comparto

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scuola, dall’Ufficio scolastico regionale (ex Provveditorato agli studi), alle segreterie didattiche, ai docenti. Di seguito alcuni dei punti principali del documento:

❖ distribuzione nelle scuole degli alunni stranieri: viene incoraggiata una suddivisione eterogena degli alunni sia per cittadinanza che per religione; il tetto massimo di alunni con cittadinanza non italiana per classe era già stato definito su un valore massimo del 30%20, salvo diversa delibera da parte del Direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, il quale ha la possibilità di aumentare o diminuire la soglia di alunni stranieri per classe in funzione delle competenze linguistiche dei suddetti alunni21;

❖ tempistiche e gestione delle iscrizioni: l’iscrizione scolastica è garantita a tutti i minori con cittadinanza non italiana e anche a coloro i quali, essendo in una posizione di irregolarità, sono sprovvisti del codice fiscale. Sono parimenti consentite le iscrizioni per i soggetti che ne fanno richiesta in corso d’anno con l’invito a inserirli nella classe corrispondente alla loro età anagrafica, salvo diversa decisione del Collegio dei docenti;

❖ coinvolgimento e partecipazione delle famiglie: per facilitare l’integrazione degli alunni e delle loro famiglie nel contesto scolastico ma anche in quello sociale e culturale italiano, viene consigliato di renderli partecipi delle attività e delle iniziative della scuola, di informarli sul funzionamento e l’organizzazione del sistema scolastico e di farlo utilizzando diverse lingue;

❖ formazione del personale docente: si consigliano corsi di formazioni riferiti al tema dell’intercultura sia per il personale scolastico neoassunto che per quello in servizio che desideri accrescere le proprie competenze.

20Il numero massimo di alunni stranieri per classe è stato fissato al 30% con la Circolare ministeriale n. 2 dell’8

Gennaio2010

vd.http://1.flcgil.stgy.it/files/pdf/20100108/circolare-ministeriale-2-dell-8-gennaio-2010-integrazione-alunni- con-cittadinanza-non-italiana-4591861.pdf

21 Non è comunque concesso superare la soglia del 50% come stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica

n. 394 del 31 Agosto 1999

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Il documento presenta anche alcune indicazioni relative all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, sottolineandone la natura non del tutto definita in quanto “si discosta sia

dall’insegnamento di una lingua materna ‘semplificata’, sia da quello di una lingua straniera”.

Si sottolinea, inoltre, la differenza tra l’italiano per la ‘comunicazione’, di più semplice e rapido apprendimento, anche grazie agli scambi quotidiani con i pari dentro e fuori dalla classe, e l’italiano come ‘lingua veicolare per lo studio’ che richiede delle tempistiche di acquisizione notevolmente maggiori e l’impegno collaborativo di tutti i docenti.

Per i primi 4 mesi dall’ingresso nella scuola, gli alunni stranieri non italofoni dovrebbero essere seguiti per un numero di ore settimanali pari a 8-10 per corsi intensivi di lingua italiana organizzati dagli enti locali. A questa fase detta uno, ne seguono altre due durante le quali il monte ore dedicate alle attività intensive diminuisce e si conduce l’alunno a un livello sempre maggiore di competenza, al fine di agevolarlo nell’apprendimento di tutte le materie scolastiche.

Quest’ultimo punto delle linee guida è divenuto oggetto di legge l’anno seguente con la promulgazione della legge 107/2015 che, nell’articolo 1, co. 7, lett.r , ha inserito tra gli obiettivi del potenziamento dell’offerta formativa “l’alfabetizzazione e il perfezionamento dell’italiano

come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali”.

Se fin qui l’onere dell’organizzazione dei corsi di lingua italiana, la programmazione e lo svolgimento delle lezioni spettavano prevalentemente ad enti terzi con la collaborazione di figure come il mediatore/facilitatore linguistico, dal 2016 con il DPR 19/2016 si istituisce la nuova classe di concorso A-23, Lingua italiana per discenti di lingua straniera, per la quale, già a partire dal concorso per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente per i posti comuni dell’organico dell’autonomia delle scuola secondaria di primo e secondo grado bandito con D.D.G. 106/2016, sono stati previsti 506 posti22.