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Metodologie e tecniche per l’apprendimento lessicale dei bambin

La glottodidattica per l’infanzia: metodologie e tecniche

4.2 Metodologie e tecniche per l’apprendimento lessicale dei bambin

Abbiamo visto nel precedente paragrafo qual è l’approccio più adeguato per l’accostamento dei bambini alla L2 o LS durante la prima e la seconda infanzia, abbiamo anche evidenziato come l’impego di metodologie e tecniche diverse sia necessario per venire incontro alle esigenze di questi piccoli alunni e per tenerne viva la loro motivazione e la concentrazione; la scelta delle

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metodologie e delle tecniche glottodidattiche riflette, però, anche un significato di carattere funzionale in quanto ad ognuna di esse è attribuibile il compito di incentivare e agevolare lo sviluppo di una o più specifiche dimensioni della lingua.

Nella scuola dell’infanzia si sceglie di dare priorità allo sviluppo delle abilità orali per due essenziali motivi: in primis perché l’oralità precede, sia a livello storico che individuale, la scrittura; in secondo luogo perché in questa fascia d’età i bambini non sono ancora pronti ad interfacciarsi con l’arbitrarietà del rapporto suono-segno grafico, diverso da lingua a lingua (Semplici, 2011).

Secondo Nation (2017), appropriatamente stimolato e guidato, un bambino può accrescere copiosamente il suo bagaglio lessicale in L2 tramite strategie di apprendimento esplicito. Il linguista aggiunge che, a differenza degli adulti, il lessico dei bambini è di norma limitato anche nella L1, ciò implica la necessità di un maggiore dispendio di tempo ed energie da parte degli insegnanti nel presentare i nuovi vocaboli e i loro significati. A tal proposito, l’accostamento di immagini alle nuove parole o la loro introduzione attraverso risorse audiovisive ne aiuta a tracciare un contesto d’uso e il collegamento con altre parole già conosciute, rendendone più semplice l’assimilazione, oltre ad accrescerne la motivazione all’apprendimento.

Un altro vantaggio che si evidenzia nell’acquisizione del lessico da parte dei bambini rispetto agli adulti è dato dalla possibilità di reiterare l’esposizione all’input, siano esse singole parole, strofe di canzoni, filmati o storie. I bambini non si annoiano, anzi amano riascoltare o rivedere un input se ciò gli provoca piacere, e, anche se non comprendono ogni singola parola, sono comunque soddisfatti di riuscire a coglierne il senso generale e divertirsi.

Secondo Nation (2017), per imparare una parola usando strategie acquisizionali esplicite occorrono all’incirca sette ripetizioni, agli insegnanti viene dunque raccomandato di riciclare i vocaboli e riproporli in molteplici attività.

Di sostegno alla memorizzazione del lessico è anche la presentazione delle unità lessicali all’interno di un cluster di vocaboli appartenenti a un medesimo campo semantico o l’accompagnamento del nuovo termine con immagini che ne richiamino il contesto d’uso o il referente. L’accostamento di immagini all’input lessicale orale è particolarmente utile ai fini dell’immagazzinamento nella memoria a lungo termine poiché, in questo caso, il processo di memorizzazione coinvolge anche la memoria visiva: secondo Pioggiosi (2014), infatti, ricordiamo solo il 10% del visto, il 20% dell’ascoltato e il 50% del visto e ascoltato.

Le tecniche di memorizzazione si rivelano utili anche per le strategie di recupero del lessico, per quanto riguarda invece la stimolazione dell’attenzione e della concentrazione Daloiso (2007) suggerisce di proporre ai bambini attività di breve durata e di variarle frequentemente, ogni 5/10 minuti secondo Romano (2012), premurandosi di interrompere rapidamente

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un’attività qualora non decollasse e di sostituirla con una di maggiore richiamo. Aggiungiamo che sarebbe preferibile alternare sempre attività nuove che apportino il fattore sorpresa e stimolino dunque la curiosità ad altre già note o, comunque, a tecniche in parte conosciute per preservare il senso di confort dei piccoli alunni.

Il senso di sicurezza e la dimensione emotiva nella sua totalità risultano rilevanti anche ai fini della memorizzazione lessicale come evidenziato dalle ricerche di Cardona (2001), egli, insieme a Caon, è un sostenitore dell’utilizzo di musica e canzoni nell’insegnamento delle lingue poiché la musica ricopre il ruolo di un agente emotivo molto particolare, capace, allo stesso tempo, di rilassare, di divertire e di convogliare l’attenzione sull’input.

L’utilizzo di determinate tecniche rispetto ad altre o l’abbinamento di alcune di esse può implicare l’intenzione di promuovere preferenzialmente lo sviluppo della dimensione produttiva del lessico o di quella ricettiva, come nel caso dello storytelling.

Di norma però, come precedentemente indicato, sia le metodologie che le tecniche vengono combinate al fine di rendere maggiormente omogenea l’acquisizione linguistica e meno monotona la lezione.

Un classico esempio di intreccio di più metodi è rappresentato dalla ‘transcodificazione’ che indica il passaggio da un codice a un altro all’interno di attività didattiche: l’ascolto di una storia può, ad esempio, essere abbinato all’esecuzione di disegni relativi a informazioni provenienti dal testo. Anche il metodo TPR può essere adoperato in tal senso, sia affiancandolo allo storytelling che ai giochi: l’esecuzione di movimenti e spostamenti afferenti alla trama o ai dialoghi di un racconto o indispensabili per l’espletamento di un gioco si rivelano coinvolgenti a livello psico-emotivo e proficui dal punto di vista dell’acquisizione per l’alunno, facilitando l’insegnante nella verifica della comprensione (Balboni, 2014).

4.2.1 Il metodo ludico

L’importanza del gioco nello sviluppo cognitivo e linguistico dell’uomo così come in tutti gli aspetti della sua vita è nota da secoli, Erasmo da Rotterdam, teologo, umanista e filosofo olandese, nel 1497 scriveva: “Una costante nota di divertimento deve essere frammista ai nostri

studi, così che diventi possibile concepire l’istruzione come un gioco piuttosto che come una fatica.[….]. Nessuna attività può essere condotta a lungo se non porta un qualche piacere a chi ne partecipa (Mollica, 2010: XV).

Che l’attenzione e la motivazione passino per il divertimento e le attività ricreative lo dimostra anche Brumen (2011:729) che, al termine del suo studio con bambini dai 4 ai 6 anni sulla motivazione nell’apprendimento delle lingue nel periodo prescolastico, chiede ai piccoli alunni

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di indicare i motivi per cui non hanno gradito le lezioni di lingua. Se come maggiore indiziato compare il disturbo provocato dagli altri compagni rumorosi, le successive risposte sono legate da un unico filo conduttore rappresentato dalla mancanza di piacevolezza: “When we learn it

for too long”; “If I am bored”; “I don’t like it when we sing too quickly and if the songs are too long”; “I would like to play but I have to sing”.

L’esperienza ludica presenta evidenti potenzialità per l’apprendimento in generale poiché coinvolge il giocatore in un’esperienza olistica, ricreando le condizioni ideali per un apprendimento di tipo significativo (Caon, 2006).

Innanzitutto, il gioco viene sempre valutato come un’attività positiva, capace di divertire e in generale di suscitare emozioni piacevoli, dando così vita a quel contesto sereno che si è visto essere il terreno privilegiato per l’apprendimento. Le attività ludiche, inoltre, si contraddistinguono per il loro carattere disinteressato, per non aver bisogno né di particolari motivazioni né di perseguire determinati scopi estrinseci: in pratica, il gioco è fine a se stesso, si gioca per giocare e per il naturale piacere che se ne trae.

Freddi (1990), infatti, individua una delle caratteristiche fondamentali del gioco nel fatto di essere autotelico e cioè, fine a se stesso, creando le condizioni per ciò che Krashen definisce ‘rule of forgetting’, ovvero l’assunto per cui si acquisisce meglio quando si dimentica di star acquisendo.

Il gioco didattico dunque, anche se progettato e gestito dal docente con finalità istruttive, educative e non meramente ricreative, può rivelarsi un efficace “mediatore” nell’acquisizione di concetti e nuove conoscenze, affinché lo studente possa appropriarsi di strutture e di lessico attraverso un’esperienza globale e intrinsecamente motivata (il piacere del gioco, della sfida) che lo coinvolga dal punto di vista cognitivo, ma anche affettivo, sociale e creativo.

Balboni (2008:29) rifacendosi a Freddi (1990) afferma che attraverso il gioco si facilita lo sviluppo di cinque tipologie di componenti:

1. cognitive: l’elaborazione di strategie, la comprensione delle regole, la valorizzazione dei diversi tipi di intelligenza;

2. linguistiche: la negoziazione, la spiegazione delle regole, le routine culturali come le conte o le frasi rituali del tipo ‘colpito’, ‘affondato’;

3. sociali: l’interazione con la squadra, la necessità di mediare tra competitività e collaborazione;

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4. motorie e psicomotorie: nei giochi con una dimensione fisica;

5. emotive: la paura, la tensione, il piacere etc.

Secondo Titone (1987) la possibilità di integrare una vasta pluralità di componenti attraverso il gioco permette il cosiddetto ‘principio dell’azione totale’, per il quale il bambino riesce ad acquisire meglio una lingua proprio in virtù del coinvolgimento di tutte le capacità percettivo- sensoriali, la sollecitazione delle risorse senso-motorie, lo sviluppo delle abilità linguistiche verbali e non verbali e il potenziamento delle competenze emotive e socioculturali.

Nell’intento di coinvolgere il soggetto a 360°, l’utilizzo di stimolazioni neurosensoriali facilita la creazione e la stabilizzazione di specifici canali nervosi e il consolidamento della traccia mnestica nella memoria implicita (Daloiso, 2006 in Nepi, 2015).

Nelle classi ad abilità differenziate, come nel caso della presenza di bambini di madrelingua non italiana, l’insegnante può utilizzare il gioco per veicolare i valori dell’educazione interculturale, oltre che, ovviamente, per far esercitare la lingua in un contesto ludico e comunicativo in cui il dialogo e la collaborazione risultano spontanei e la comprensione linguistico-culturale è necessaria affinché venga soddisfatta la motivazione al successo e il piacere della sfida insite nel gioco.

Perseguendo gli obiettivi dell’educazione interculturale, si può ritrovare nella ludicità un contesto significativo giacché essa comporta il riconoscimento di alcuni valori e norme transculturali impliciti quali, ad esempio, il rispetto delle regole e del turno di parola e, al contempo, promuove in modo assolutamente naturale l’interazione tra i soggetti, coinvolgendoli nello stesso compito.

Nepi sostiene che “Al nido e a alla scuola dell’infanzia la ludicità, più che un metodo didattico,

costituisce la modalità di conoscenza del bambino che, attraverso il gioco fa esperienza dell’ambiente, esplora e comprende il mondo in un atteggiamento caratterizzato da libertà, gratuità, piacere, creatività, manipolazione e sperimentazione” (Nepi, 2015:6).

Tutto ciò permette anche ai bambini di madrelingua non italiana di abbattere la paura per l’ignoto e il senso di insicurezza che talvolta può sorgere in un ambiente non ancora familiare e intriso di novità, e gli consente di lasciarsi guidare dalla curiosità e dal divertimento nell’esperienza con la nuova lingua e la nuova cultura.

Tra i suggerimenti per gli insegnanti, Daloiso (2007:46) consiglia di somministrare un input che sia:

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❖ costante, in modo tale da consentire la reiterazione di determinati stimoli e il conseguente consolidamento nella memoria esplicita;

❖ graduale, proporzionato al livello di maturazione delle strutture neurali e cognitive del soggetto, nonché al suo sviluppo psico-emotivo;

❖ ordinato e coerente, poiché il disordine crea confusione, la quale, a sua volta, può compromettere il processo di apprendimento.

Se è vero che nell’accostamento alle lingue dei bambini durante la prima e la seconda infanzia è molto diffuso l’impiego di strategie d’insegnamento implicite, soprattutto al fine di sfruttare le caratteristiche neurobiologiche dei bambini, l’utilizzo della metodologia ludica consente, soprattutto a livello lessicale, di avvalersi anche dei vantaggi che apportano strategie di tipo esplicito.

Un tipo di approccio esplicito finalizzato all’acquisizione del lessico permette, infatti, di operare una precisa selezione del vocabolario da proporre ai piccoli alunni, al fine di somministrare attività ludiche di rinforzo atte a colmare specifiche carenze lessicali.

L’attenzione per l’alunno nella sua totalità e l’interesse per i suoi bisogni linguistici richiama fortemente i principi fondamentali della filosofia didattica propria dell’approccio umanistico- affettivo che situa l’allievo al centro del processo di apprendimento, promuovendo scelte didattiche su misura.

L’utilizzo di una strategia glottodidattica come quella descritta, da una parte, tiene conto dei bisogni comunicativi effettivi dei bambini e, dall’altra, guarda al loro futuro cercando di rendere meno difficoltoso il passaggio al livello scolastico successivo.

Nelle classi con alta percentuale di bambini di madrelingua non italiana, quindi, la programmazione di un percorso di rinforzo lessicale sotto forma di attività ludiche si rivela necessario innanzitutto per facilitare l’integrazione sociale tra pari attraverso l’ampliamento e il consolidamento delle Bics e, in secondo luogo, anche per accrescere le abilità linguistico- cognitive che serviranno per acquisire le competenze nella fase detta Calp.

L’impiego di tecniche glottodidattiche che veicolano un apprendimento di tipo esplicito consentono, inoltre, di perseguire almeno due delle condizioni suggerite da Daloiso per la somministrazione dell’input: per quanto riguarda la costanza, la reiterazione di giochi che adoperino vocaboli appartenenti a specifici campi semantici garantisce una sistematica ripetizione degli stessi vocaboli, assicurandone l’apprendimento; la gradualità viene invece

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tutelata attraverso un’attenta pianificazione didattica e la scelta accurata del lessico che i bambini necessitano e sono pronti a integrare.

4.2.1.1 Le flashcard

Passando alle tecniche, tra le più diffuse vi sono quelle che prevedono l’utilizzo di flashcard, questo strumento viene introdotto per la prima volta da Glenn Damon, un fisioterapista, nelle pratiche per la cura di bambini con lesioni cerebrali49. La scoperta che l’utilizzo di flashcard fosse particolarmente proficuo nei processi di memorizzazione ha successivamente aperto la strada al suo impiego anche in altri ambiti come la pedagogia e la didattica.

Una delle tecniche che sfrutta i vantaggi delle carte è l’abbinamento, definito da La Grassa (2016:373) “la macrocategoria maggiormente rappresentata e la più varia, contando 8 attività

diverse”, come specifica l’autore, citando Nation (2001), le immagini, però, sono caratterizzate

da un’intrinseca indefinitezza e la loro interpretazione può rivelarsi soggettiva, a seconda dei particolari presenti nella figura e della base culturale del soggetto che le osserva. E’, dunque, necessario che l’insegnante accompagni le immagini con un’adeguata spiegazione, contestualizzando e indicando un referente concreto corrispondente alla figura.

Secondo Webb e Nation (2017) il principale obiettivo lessicale perseguito dalle attività ludiche che prevedono l’utilizzo di flashcard è quello di rafforzare la consapevolezza del legame tra forma e significato. La ripetizione gioca un ruolo fondamentale in questo processo e, come precedentemente affermato, fortunatamente i bambini sembrano gradire tale pratica; è indispensabile, però, non concentrare l’esposizione all’input in tempi ristretti ma fare degli intervalli sia tra la presentazione di una carta e la successiva che tra la prima e le seguenti tranche di gioco.

Se in passato si era affermato il pensiero per cui le pause avrebbero dovuto avere un andamento incrementale all’interno della sessione di apprendimento, lo studio di Nakata (2015) dimostra, invece, che è sufficiente una spaziatura temporale uniformemente distribuita. Scheutze (2015) aggiunge, inoltre, che, quando le sessioni di apprendimento sono distribuite in più giorni, la pianificazione di intervalli della stessa distanza si rivela maggiormente proficua ai fini dell’attivazione di processi di fissazione dell’informazione che coinvolgano la memoria a lungo termine (Webb e Nation, 2017).

49 Le basi delle teorie di Damon si fondano su teorie biologiche ormai desuete e i suoi stessi metodi vengono

considerati privi di basi scientifiche attendibili, indi per cui mancanti di validazione da parte della Comunità Scientifica Internazionale.

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Le flashcard sono uno degli strumenti più utilizzati nella didattica a bambini giacché la versatilità che le caratterizza consente di impiegarle in molteplici attività di stampo ludico. Uno dei giochi che utilizzano le carte più diffusi è il ‘Memory’, si tratta di un’attività che va a sollecitare in particolar modo il recupero della traccia lessicale: dopo la distribuzione delle carte, ogni giocatore, a turno, ne scopre due, l’obiettivo del gioco è ricordare la posizione delle carte e formare coppie di carte uguali. Prima di iniziare il gioco, l’insegnante può fare un ripasso delle flashcard che adopererà mostrando le carte agli alunni mentre ne pronuncia il nome e chiedendone in seguito la riproduzione, tale richiesta può essere ripetuta più volte anche durante il gioco man mano che i bambini scoprono le carte.

La metodologia ludica e in particolar modo l’uso di flashcard, considerato il sempre maggiore impiego nelle attività didattiche, negli ultimi anni sono stati oggetto di numerose ricerche. Lo studio di Kusuma et al. (2017), per esempio, sulle modalità didattiche utilizzate nell’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria in Indonesia, propone dieci nuovi giochi da alternare a quelli più tradizionali e “monotoni” come sottolineato dallo stesso titolo dell’articolo “Developing 10 Interesting Games as Alternatives to the Monotonous Use of

Flashcards for Vocabulary Learning and Assessments”.

Nonostante la ricerca fosse incentrata su soggetti alfabetizzati, abbiamo selezionato uno dei giochi tra quelli proposti che può essere adoperato anche con i bambini della scuola dell’infanzia in quanto non prevede il possesso di abilità di lettura o scrittura.

Il gioco, denominato ‘Whispered Words’, favorisce lo sviluppo della competenza lessicale produttiva e prevede le seguenti istruzioni: l’insegnante divide gli alunni in due gruppi e li dispone in file facendo rivolgere i partecipanti verso il lato opposto della cattedra sulla quale egli dispone le carte, dopodiché chiede ai due studenti più vicini alla cattedra di girarsi e guardare le immagini e poi sussurrarne il nome ai compagni davanti e così via fino ad arrivare ai due alunni in cima alle file che devono correre verso la cattedra e riconoscere la flashcard corrispondente, guadagnando dei punti.

La possibilità di creare giochi sempre diversi con l’ausilio delle carte che possano stimolare l’attenzione e l’interesse del bambino unite alle alte potenzialità dimostrate dall’uso delle immagini nell’acquisizione linguistica e in particolar modo lessicale, candidano le flashcard a essere lo strumento preferenziale per l’educazione linguistica anche negli anni a venire.

4.2.2 Lo storytelling

La letteratura per l’infanzia accoglie tra le sue fila diversi generi testuali sia a carattere poetico che narrativo tra cui i racconti della tradizione orale, spesso tramandati di generazione in

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generazione e non sempre pensati originariamente per i bambini, i racconti della tradizione scritta, come le fiabe d’autore create esplicitamente per l’infanzia e i racconti per immagini, destinati a un pubblico non ancora alfabetizzato e la cui trama si snoda prevalentemente in forma iconica (Daloiso, 2009).

La fiaba è uno dei testi narrativi maggiormente utilizzati con i bambini della scuola dell’infanzia poiché caratterizzata da una progressione lineare a dalla forte presenza di dialoghi, qualità che ne rende agevole la comprensione. I temi trattati in questo tipo di componimento sono, inoltre, facilmente contestualizzabili e assimilabili alle dinamiche di vita quotidiana dei piccoli alunni o, in alternativa, vicini al loro immaginario fantastico. Romano (2012) sostiene che l’impiego di storie che stimolino la fantasia degli alunni spingendoli a immedesimarsi nei personaggi e a vestirne i panni, talvolta anche letteralmente, rappresenti una valida alternativa glottodidattica ai fini dell’acquisizione di L2/LS durante l’infanzia, perché conforme alla naturale predisposizione dei bambini verso l’immersione nel mondo della fantasia.

La lettura di brani destinati a bambini risulta appropriata all’educazione linguistica anche in virtù del fatto che i bambini, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, sono solitamente già abituati all’ascolto di ninna nanne e filastrocche lette o cantate dai familiari.

Secondo Daloiso, che ha dedicato un intero volume allo storytelling50, definendone le caratteristiche e le funzionalità e suggerendone le modalità applicative all’interno della glottodidattica per l’infanzia rivolta a bambini di origine straniera, la narrazione di fiabe incide positivamente su molteplici ambiti dello sviluppo infantile.

A livello emotivo, la familiarità dei bambini con i personaggi, le trame e gli eventi narrati nelle fiabe consente loro di identificarsi con essi, ciò genera una risposta emotiva positiva. I bambini stranieri e i loro coetanei italiani attraverso i racconti hanno l’occasione di imparare a fronteggiare le loro paure e a confrontarsi con altri sentimenti e stati d’animo più complessi quali il senso di colpa, la vergogna o l’imbarazzo. L’ascolto di fiabe fin dalla prima infanzia rappresenta, inoltre, uno stimolo per incentivare la propensione alla lettura e per instillare la passione per la letteratura.

Dal punto di vista cognitivo, il testo somministrato dovrebbe stimolare le competenze già possedute dal bambino e offrire nuovi spunti di apprendimento; per i soggetti che iniziano la scuola dell’infanzia i testi narrativi ideali sono quelli incentrati su dialoghi e azioni, con l’obiettivo di promuovere la comprensione della relazione di causa/effetto, delle sequenze temporali e lo sviluppo delle abilità inferenziali. I componimenti in versi sollecitano, invece, i processi mnemonici di stabilizzazione della traccia e di recupero delle informazioni.

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La dimensione relazionale viene espressa attraverso i legami tra i personaggi della storia, le cui azioni e sentimenti fungono da strumento per riflettere su analoghe relazioni affettive e