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I fattori neuropsicologici dell’acquisizione linguistica nel bambino

Le caratteristiche, gli aspetti e i fattori psico- e neurolinguistici sinora delineati descrivono il processo di apprendimento delle lingue per tutti gli esseri umani, sebbene per ciascun soggetto l’intreccio tra le molteplici variabili crea uno stile di apprendimento unico e personale.

Per i bambini, inoltre, le modalità di acquisizione del linguaggio acquistano connotazioni specifiche che le differenziano da quelle proprie degli adulti.

Innanzitutto, i bambini sembrano essere predisposti all’acquisizione linguistica sia da un punto di vista neurologico e quindi anatomo-fisiologico che da un punto di vista psicologico e sociale.

1.6.1 L’acquisizione linguistica su base sensoriale

Già nello stadio prenatale il feto riesce a discriminare i suoni linguistici dai rumori e, ascoltando un enunciato, è capace di discernere la lingua materna dalle altre, basandosi sulla componente prosodica dell’enunciato.

I bambini sembrano, quindi, essere avvantaggiati dalla capacità di apprendere attraverso i sensi, mentre per gli adulti questa abilità man mano si riduce sia a livello qualitativo che quantitativo poiché, dopo una certa età, la realtà viene filtrata principalmente attraverso la vista e l’udito mentre gli altri sensi tendono ad essere scarsamente adoperati.

Nei primi anni di vita, invece, i bambini imparano esplorando l’ambiente circostante attraverso tutti i sensi, che fungono da canale di accesso per le informazioni. Ad ogni nuovo input viene associata una sensazione e una risposta: se il riscontro ambientale è positivo e reiterato si creano connessioni sinaptiche stabili che in caso di mancanza dell’input non vengono perdute ma solo defunzionalizzate in attesa di essere riattivate in futuro, Tasca (2005) come citato in Daloiso (2009).

Dal punto di vista linguistico l’uso della recettività sensoriale è molto rilevante, a tal proposito Daloiso (2009:102) afferma: “la comprensione linguistica sembra passare attraverso il

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schemi sensoriali dai quali astrae categorie semantiche a loro volta associate a parole ed espressioni linguistiche secondo un processo detto “concettualizzazione percettiva”, Mukerjee, Guha, (2007) sempre in Daloiso (2009). A livello neurologico, ad una stessa espressione linguistica vengono associate più informazioni neurosensoriali, integrate in una rete di connessioni sinaptiche.

1.6.2 Il linguaggio come introduzione alla socialità

Anche sul piano psicologico si riscontra una considerevole predisposizione del bambino allo sviluppo linguistico, sviluppo mediante il quale muove i suoi primi passi verso l’interazione con l’ambiente che lo circonda.

Agliotti e Fabbro (2004) propongono due fenomeni che descrivono tale spinta verso l’interazione con il mondo adulto e, parimenti, una forte motivazione verso una maggiore intellegibilità propria del bambino che si approccia al linguaggio:

1. il contagio, che consiste nell’imitazione da parte del bambino di comportamenti motori, gestuali o linguistici degli adulti in maniera, dapprima quasi del tutto inconscia e dai 12 mesi in poi sempre più volontaria;

2. l’accomodazione vocalica, per cui il soggetto tende a emulare l’espressione verbale dell’interlocutore.

Responsabili di entrambi i fenomeni sono i neuroni a specchio (Rizzolatti et al.,1996) che, situati nelle aree corticali premotorie, inducono il soggetto a simulare internamente i processi motori coinvolti nella produzione dei suoni. Gli stessi neuroni a specchio sono coinvolti anche nelle situazioni in cui il soggetto mostra, attraverso l’empatia, capacità di comprendere e anticipare le azioni degli altri, rivelandosi così fondamentali per l’acquisizione del linguaggio in età infantile.

Inizialmente, in linea con i dettami della teoria piagentiana e quindi su spinta egocentrica, il soggetto si avvia alla comunicazione indotto dai propri bisogni, in seguito il piacere di rapportarsi con gli altri diventa la motivazione maggioritaria. Questo passaggio, secondo Daloiso (2009:), è divenuto più rapido nel contesto socioeducativo contemporaneo grazie alla maggiore importanza data alla relazione bambino-adulto e alla possibilità di inserire i piccoli in strutture educative prescolari quali l’asilo nido e la scuola dell’infanzia.

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Alcune condizioni esterne al soggetto acquisente, come la possibilità e la quantità di esposizione all’input, le opportunità d’uso della lingua e la presenza di un ambiente di sostegno allo sviluppo si rivelano di particolare importanza nell’apprendimento linguistico.

Secondo Bruner, l’adulto deputato all’introduzione del bambino a una lingua, sia egli un insegnante nelle situazioni di apprendimento formale o un membro della famiglia in un contesto di apprendimento spontaneo, ha il compito di rendere l’ambiente favorevole al processo di acquisizione linguistica, creando quello che lo psicologo definisce “sistema di supporto

dell’acquisizione linguistica” (Bruner, 1983). Così un adulto in grado di rendere l’input

facilmente accessibile, di creare momenti comunicativi stimolanti, sollecitare il bambino all’interazione e rispondere a quest’ultima con un rinforzo positivo può facilitare notevolmente il naturale percorso di acquisizione linguistica in età infantile.

1.6.3 I benefici dell’educazione multilingue

L’innata curiosità dei bambini verso il mondo e verso lo sviluppo del linguaggio come modalità comunicativa preferenziale non si limita solo alla lingua materna ma interessa anche altri codici verbali.

Ciò nonostante, fino a circa metà del secolo scorso molte ricerche rilevarono nei bambini bilingui la presenza di deficit cognitivi e intellettivi apparentemente causati da un “conflitto” tra le lingue acquisite. Grazie all’utilizzo di tecniche di indagine più precise e sofisticate e a una selezione del campione di analisi più adeguata alle finalità della ricerca, gli studi successivi hanno rivelato che non solo l’apprendimento plurilingue non attenta in alcun modo a un sano e regolare sviluppo cerebrale del bambino, ma che in alcuni casi rappresenta un vantaggio. E’ ciò che J. Cummins (1983, 1992) definisce “Principio di interdipendenza linguistica”, secondo il quale l’acquisizione di una seconda o di una terza lingua influisce positivamente sull’intero repertorio linguistico dell’apprendente. Per spiegare tale principio lo studioso utilizza la metafora dell’iceberg: così come un iceberg ha una grande base sommersa da cui possono emergere uno o più picchi, allo stesso modo, tutto ciò che compare in superficie nella comunicazione linguistica è solamente una parte del processo di acquisizione, elaborazione e verbalizzazione del linguaggio. Studiando una seconda lingua è come se aggiungessimo del ghiaccio andando ad irrobustire l’intera struttura dell’iceberg o, nel nostro caso, l’intera competenza comunicativa del parlante, inclusa quella della lingua materna.

Ne è un esempio lo sviluppo della dimensione metalinguistica: i bambini bilingui o plurilingui attraverso il confronto tra input di più idiomi sono notevolmente facilitati nell’acquisizione di una forte consapevolezza metalinguistica. Di conseguenza, fin dai primi anni di età mostreranno

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considerevoli capacità semiotiche, in particolare nel processo di discriminazione tra significato e significante che, com’è noto, è del tutto convenzionale e proprio di ciascuna lingua. A tal proposito Balboni et al. (2006:9) scrivono: “La parola “mela” non è solo un insieme di fonemi

organizzati in un lessema (“mel”) e un morfema (“-a”, che indica femminile singolare) che insieme formano una parola della lingua italiana: è anche un profumo, un sapore, una sensazione tattile, […] un simbolo religioso (la mela di Eva) e così via”. I bambini monolingui

ignorano l’arbitrarietà del legame semiotico tra il concetto di mela in quanto frutto con le sue caratteristiche annesse (profumo, forma, consistenza etc.) e il significante assegnatogli per identificarlo. Vari esperimenti, tra cui uno riportato nel seminario introduttivo del Progetto L.E.S.I.11, rivelano, invece, che i bambini bilingui sono in grado di comprendere l’arbitrarietà e la convenzionalità del rapporto tra significato e significante.

11 Il progetto L.E.S.I. (Lingue Europee nella Scuola dell’Infanzia) è un progetto sperimentale che ha promosso

l’insegnamento della lingua inglese e di quella tedesca a bambini dai 3 ai 6 anni frequentanti alcune scuole dell’infanzia del Trentino-Alto Adige. L’esperimento consisteva nel domandare ai bambini se il sole potesse chiamarsi luna, mentre tutti i bambini monolingui risposero negativamente quelli bilingui non mostrarono alcuna perplessità (Balboni et alii, 2006).

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Capitolo 2

Le politiche linguistiche e la formazione scolastica dei “nuovi