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3.h Dipartimento di prevenzione

Nel documento Piano sanitario regionale 2010-2012 Indice (pagine 120-126)

Problemi

A distanza ormai di alcuni anni dall’istituzione del Dipartimento di prevenzione è maturo il tempo di elaborare una valutazione complessiva di questa struttura, prevista dal D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 502, per garantire un contesto organizzativo unitario a tutte quelle attività che rientrano nel campo della prevenzione collettiva in ambienti di vita e di lavoro. Il Dipartimento di prevenzione, così come oggi si configura, deriva inoltre dalla volontà espressa dal referendum popolare del 1993, che ha affidato le competenze ambientali ad apposite agenzie istituite a livello regionale, creando una mai definitivamente conclusa contraddizione tra ambiente e salute e delle modalità di prevenzione che vedono intrecciarsi competenze di ministeri e assessorati diversi, province, comuni ed enti di nuova costituzione in un

frammentarsi e sovrapporsi di ruoli e funzioni a volte in competizione, che solo parzialmente il D.Lgs 19 giugno 1999, n.

229, tenterà di correggere, replicandosi quanto già avvenuto nel campo della sicurezza e igiene del lavoro.

Le stesse normative di derivazione Unione europea, e in particolare il D.Lgs 25 novembre 1996, n. 626, e la normativa HACCP, modificano l’approccio ispettivo-autorizzativo che aveva costituito, e tuttora impronta in misura prevalente, la maggior parte dell’attività dei Dipartimenti di prevenzione.

A ciò si aggiunga che occorre scardinare un equivoco possibile, derivato dall’apparente concentrazione della prevenzione in tale struttura. È ovvio che la prevenzione, così come sancita dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 1 e richiamata dal D.Lgs 19 giugno 1999, n. 229, non è tutta configurabile all’interno del Dipartimento. La parte che riguarda tale struttura è ben definita dai nuovi LEA in attesa di approvazione.

Risposte

L’evoluzione sociale e culturale nonché la transizione demografica ed epidemiologica in atto implica un cambiamento di prospettiva, con il passaggio da una prevenzione somministrata ai cittadini ad una prevenzione condivisa e partecipata con la comunità. Come detto nel cap. 2 della Parte III la prevenzione riguarda molte istituzioni esterne alla sanità, essa deve quindi entrare in tutte le politiche. In quest’ottica i Dipartimenti di prevenzione, titolari di una considerevole parte della referenza strategica, tecnica e scientifica, devono produrre il massimo sforzo di integrazione con le altre istituzioni e con gli altri settori del Servizio sanitario con cui coordinare interventi coordinati o complementari. In particolare il Dipartimento dovrà trovare nel Distretto il luogo principale di integrazione e condivisione dei programmi proprio perché il Distretto è l’ambito dell’assistenza primaria ed è titolare delle relazioni con gli Enti locali e la comunità di riferimento.

Inoltre è necessario sostenere, sviluppare e integrare le attività di promozione della salute con quelle di prevenzione, garantendo l’equità sociale degli interventi.

I soggetti della prevenzione e promozione della salute sono quindi molteplici: servizi sanitari territoriali, ospedale, soggetti non appartenenti al sistema sanitario. Si è già detto nel capitolo precedente in che forma il Servizio sanitario debba intervenire anche in ambiti che vanno oltre la sua capacità di azione diretta, individuando soprattutto una funzione di advocacy. Ma Distretto e Dipartimento possono attivarsi in modo diretto sviluppando un sistema di welfare locale e partecipato che consenta la stipula di alleanze tra i diversi settori della società, del mondo produttivo e delle istituzioni.

Permane, naturalmente, il ruolo tradizionale dei Dipartimenti di prevenzione, che si aggiorna rispetto ai nuovi assetti normativi dell’Unione europea e si concretizza nell’attività ispettivo-autorizzativa. È necessario però allargare il dibattito e giungere ad una revisione critica dei contenuti attuali delle attività dei Dipartimenti, con lo scopo di recuperare risorse da dedicare a interventi appropriati e alla prevenzione basata sull’evidenza (ad esempio eliminare pratiche “certificative” di chiara inutilità).

L’aspetto di controllo e ispettivo non è tuttavia secondario anche se ciò appare poco coerente con l’approccio

“amichevole” con cui il Servizio sanitario dovrebbe operare e soprattutto porta a confondere il piano degli obblighi normativi, ineliminabili in alcuni casi, con quello degli interventi preventivi e di promozione della salute evidence based.

In questa direzione il Tavolo delle Regioni e lo stesso Ministero della Salute avevano avviato un processo di revisione normativa delle pratiche obsolete in prevenzione, ma il percorso appare lungo e comunque non risolutivo.

Tale cambiamento è inoltre ostacolato dal sostanziale regime di relega del Dipartimento in alcune funzioni

“specialistiche” in cui è sostanzialmente autosufficiente, che ha reso ancor più complicata l’integrazione con le attività distrettuali e di altri dipartimenti, con l’ospedale e con gli altri settori della società.

I mutamenti sociali determinano la necessità di orientare maggiormente alla prevenzione del rischio la società e le comunità locali. Occorre però trasformare l’attività preventiva dall’impostazione normativo-autorizzativo-ispettiva (che va lasciata ad altri enti e amministrazioni con una vocazione in tal senso) ad un approccio educativo, informativo e di promozione più armonico con la missione del Servizio sanitario nazionale.

In tale contesto va riproposto il ruolo del Sindaco, quale autorità sanitaria locale, il rapporto con l’autorità giudiziaria e in generale con tutti gli enti preposti alla prevenzione (scuola, Enti locali, forza pubblica ecc.), nonché il privato e il privato sociale, affinché la prevenzione possa diventare un obiettivo e una cultura su cui convergano e si responsabilizzino varie articolazioni della società.

A fianco di attività che comunque permangono, in attesa di modifiche normative che consentano di superare le pratiche obsolete, andranno sviluppate nuove linee di lavoro in relazione alle epidemie di patologie cronico-degenerative che l’OMS e il Ministero del Welfare-CCM pongono quali priorità. Tali linee andranno sviluppate con una forte integrazione con altri servizi ospedalieri e distrettuali.

Per quanto riguarda i fattori di rischio più tradizionali, occorre sviluppare un maggior numero di interventi e migliorarne la qualità, anche e soprattutto attraverso l’integrazione con altri servizi sanitari ed extrasanitari. Fra essi vanno privilegiati: il fumo di tabacco, gli infortuni stradali, gli infortuni sul lavoro, gli incidenti domestici.

Le attività consuete vanno potenziate e ne va curata al massimo la qualità, fra queste va posto maggiore impegno su:

malattie professionali, controllo dei pesticidi in agricoltura e nell’ambiente, controllo di sostanze chimiche nell’ambiente (REACH), vaccinazioni.

Si sottolinea l’importanza strategica per le ASL dei servizi di igiene e sanità pubblica che dovranno sviluppare competenze sempre maggiori per supportare le Direzioni aziendali nell’interpretazione dei bisogni della popolazione di riferimento e nella valutazione delle risposte dei servizi sanitari locali.

In particolare dovrà essere implementata l’attività epidemiologica, di intreccio tra matrici ambientali, fattori di rischio per la salute e patologie prevalenti, di proposta di soluzioni, informazione, formazione e educazione alla salute nei seguenti campi in stretto rapporto con Laziosanità-ASP, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, il Dipartimento di Epidemiologia del SSR e gli Enti locali nei seguenti settori prioritari:

acqua destinata al consumo umano;

acque di balneazione;

inquinamento atmosferico nelle aree urbane o a particolare concentrazione industriale;

utilizzo di antiparassitari in agricoltura e organismi geneticamente modificati;

campi elettromagnetici;

piani regolatori dei Comuni;

tecnologie industriali con impatto sulla salute dei cittadini;

tecnologie industriali con impatto sulla salute degli addetti.

In generale appare necessario rilanciare una riflessione culturale di ampio respiro sulla prevenzione, aggiornando metodi e strategie in rapporto ai problemi e superando la genericità dell’approccio preventivo.

SICUREZZA ALIMENTARE

Nell’ambito del Dipartimento di prevenzione, occorre conferire una multidisciplinarietà d’approccio alle attività relative alla sicurezza alimentare. Tali attività riguardano sia gli alimenti di origine animale che quelli di origine vegetale, oltre ai nuovi ambiti derivanti dall’aumentato utilizzo degli OGM, integratori alimentari e altre problematiche emergenti.

Il Servizio Igiene degli alimenti e della nutrizione deve coniugare il controllo igienico degli alimenti e delle bevande e il controllo delle qualità nutrizionali degli stessi; ciò non solo per la prevenzione delle patologie di tipo infettivo-tossicologico, ma anche delle patologie dismetaboliche legate ad una non corretta alimentazione.

Per un corretto approccio alla sicurezza alimentare le attività di tipo medico devono essere integrate con quelle di tipo veterinario nell’ambito del Dipartimento di prevenzione. Per le specificità relative alle attività veterinarie di questo campo, si veda il successivo paragrafo 3.h.1.

3.h.1 Veterinaria

Alla Sanità pubblica veterinaria spettano compiti complessi e articolati; sinteticamente essi possono essere riassunti nella gestione complessiva della salute animale, del delicato equilibrio uomo-animale-ambiente e della tutela igienico-sanitaria degli alimenti di origine animale.

Nella realtà della regione Lazio la sicurezza alimentare e il comparto agro-zootecnico rivestono caratteristiche di notevole importanza economica e sociale.

La regione Lazio con i suoi 300.000 capi bovini distribuiti in più di 14.000 allevamenti, 900.000 capi ovicaprini distribuiti in quasi 7.000 aziende rappresenta sicuramente una delle realtà zootecniche della Italia centro-meridionale più rilevanti;

a ciò si aggiunga il vasto bacino di consumo di alimenti rappresentato da una regione con più di 5.000.000 di abitanti e, peraltro, meta turistica indubbiamente rilevante.

L’industria alimentare, naturale terminale delle produzioni agrozootecniche è presente con impianti di notevole rilevanza (nel Lazio sono attivi 857 impianti a riconoscimento comunitario per la trasformazione dei prodotti di origine animale: 508 per le carni, 163 per i prodotti della pesca e molluschi, 186 per latte, prodotti lattiero-caseari, uova e ovoprodotti); la regione inoltre si distingue anche per nicchie di produzione agro-zootecnica di pregio e qualità quali per esempio l’allevamento bufalino (la regione Lazio è seconda solo alla Campania per numero di capi di tale specie allevati) e l’allevamento del bovino maremmano, razza autoctona da carne allevata da sempre con sistemi eco-compatibili.

Problemi

Le recenti emergenze che hanno investito il sistema agro-zootecnico-alimentare: blue tongue, influenza aviaria, diossina, encefalopatia spongiforme bovina testimoniano l’importanza che assume la medicina veterinaria pubblica nella prevenzione collettiva per assicurare la salute degli animali e la salubrità degli alimenti di origine animale.

Un’inchiesta realizzata per conto della Commissione Europea in tutti gli Stati membri dell’Unione ha rivelato che oggi il problema più sentito dai consumatori è quello della sicurezza dei prodotti alimentari da essi consumati. Che si tratti di ormoni, di antibiotici, di crisi di mucca pazza, dell’influenza aviaria, la sensibilità del pubblico sulle questioni relative alla sicurezza alimentare non è mai stata così attenta e richiede una risposta adeguata da parte della Sanità pubblica. Tali eventi hanno messo in evidenza l’importanza dei problemi della salubrità e della sicurezza sanitaria veterinaria nonché come essi si propagano all’interno della catena alimentare e del mercato ormai globale. Hanno pure confermato che nel corso delle emergenze alimentari i consumatori, così come i produttori, considerano la presenza di servizi pubblici di controllo efficienti ed efficaci un fattore di tutela e garanzia.

Un elemento di forza di questa fiducia dei consumatori è rappresentato dal modello italiano dei servizi di sanità pubblica veterinaria, incardinati nel Servizio sanitario nazionale e rappresentati ai diversi livelli di governo: Ministero del Welfare, Regione, ASL e Istituto zooprofilattico sperimentale, in un’efficace sinergia per il controllo di tutta la filiera produttiva.

La funzione di tutela sanitaria svolta dalla sanità pubblica veterinaria può essere assicurata solo da servizi che operano secondo livelli organizzativi omogenei e con standard di elevata qualità, in cui non siano presenti anelli deboli della catena che inficino l’attività complessiva.

Nel 2004, con l’approvazione del cosiddetto “pacchetto igiene”, l’UE ha avviato un importante processo di revisione della normativa comunitaria relativa alla sicurezza alimentare e alla tutela dei consumatori che, tenuto conto di alcune deroghe temporanee e norme transitorie previste dai regolamenti 2074 e 2076/05, dovrebbe concludersi entro il 2009.

La Comunità identifica la sicurezza degli alimenti come il risultato di diversi fattori:

rispetto dei requisiti minimi d’igiene

elaborazione e realizzazione da parte dell’operatore alimentare di programmi e procedure per la sicurezza degli alimenti basati sui principi del sistema HACCP

controlli ufficiali per verificare l’efficacia dei suddetti programmi e procedure.

La nuova normativa comunitaria ha rivisto fra l’altro la disciplina del controllo ufficiale attraverso il regolamento (CE) n.

882/2004 del Parlamento europeo e del consiglio del 29 aprile 2004 relativo ai “Controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali” e il regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle norme specifiche per l’organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale, destinati al consumo umano.

Tali regolamenti, sulla scorta delle carenze riscontrate a livello comunitario, centrano l’attenzione sui criteri di funzionamento e organizzazione del controllo ufficiale, mediante la puntuale definizione dell’“Autorità Competente”, come titolare della funzione stessa in un unico sistema a rete a livello di ogni singolo Stato membro.

Il governo ha recepito l’indicazione comunitaria attraverso il D.lgs. 193/2007 prevedendo, quali autorità competenti per la sicurezza alimentare, tre livelli territoriali: Ministero, Regione e ASL.

Il sistema di controllo della Sanità pubblica veterinaria e della Sicurezza alimentare è ben delineato nella sua articolazione territoriale ma soffre a livello regionale e delle Aziende sanitarie di una non completa integrazione tra i Servizi Veterinari (Sanità animale, Igiene degli alimenti e Igiene degli allevamenti) e il Servizio medico di Igiene degli alimenti e della nutrizione; tale integrazione è peraltro già stata sperimentata con successo a livello governativo laddove è stato istituito, presso il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, il Dipartimento della Sanità pubblica veterinaria della nutrizione e della sicurezza degli alimenti.

Una risposta plausibile a tale esigenza di integrazione dovrebbe prevedere in prima istanza la riunificazione di tutte le competenze che afferiscono alla Sanità pubblica veterinaria ed alla Sicurezza alimentare in unica struttura regionale cui far seguire a livello territoriale un’organizzazione speculare, senza che ciò comporti alcuna destrutturazione dell’unitarietà delle attività di prevenzione.

Risposte

L’attuale quadro di riferimento – normativo e tecnico – definito dall’UE offre numerosi spunti per una revisione critica e un’innovazione del sistema regionale di gestione e garanzia della Sanità pubblica veterinaria e della Sicurezza alimentare.

Attualmente a livello regionale le competenze della Sicurezza alimentare sono distribuite tra due aree, quella di Sanità pubblica, sicurezza alimentare, che si occupa degli alimenti di origine vegetale, e quella di Sanità veterinaria che invece vigila su quelli di origine animale, all’interno della Direzione Politiche della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Un modello organizzativo più consono e integrato, in linea con l’attuale organizzazione della materia a livello del Ministero e della maggioranza delle Regioni, dovrebbe prevedere l’integrazione delle funzioni di Sicurezza alimentare all’interno della stessa area.

Una siffatta organizzazione supererebbe l’obsoleta differenziazione di competenze sull’igiene degli alimenti e una completa integrazione delle funzioni per rispondere al meglio alle richieste più volte rappresentate dal FVO (Food Veterinary Office – Ufficio veterinario alimentare della Commissione Europea) nel corso delle numerose ispezioni già svolte nel nostro paese.

La nuova filosofia dei controlli implica un’attenzione spostata dal prodotto verso il controllo di filiera integrato, con lo slogan ormai ben conosciuto e riuscito “dai campi alla tavola”.

La nuova organizzazione regionale si tradurrebbe automaticamente a livello aziendale con notevoli benefici in termini razionalizzazione delle risorse, univocità delle prestazioni, multidisciplinarietà.

Oltre agli aspetti di carattere organizzativo, di cui si già è detto, si ritiene di evidenziare alcune azioni che la Regione dovrà intraprendere in questo delicato settore per perseguire una strategia di miglioramento della qualità dei Servizi e delle produzioni agro-alimentari:

delineare il percorso per giungere all’accreditamento dei Servizi competenti in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare. In particolare è necessario definire preliminarmente i livelli di competenza e gli standard di funzionamento degli stessi, per poi introdurre un sistema di audit (interni ed esterni), proprio al fine di garantire un livello accettabile e omogeneo di qualità di tutte le componenti del SSR a livello centrale e

periferico, ivi inclusa la rete dei laboratori dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana;

garantire la compatibilità applicativa dei diversi sistemi informativi nazionali e regionali, alla luce delle nuove esigenze dettate dal controllo lungo tutta la filiera produttiva, per disporre di un sistema rapido di consultazione e programmazione sanitaria in materia di sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria; tale compatibilità dovrà essere assicurata, attraverso l’integrazione dei sistemi informativi esistenti, ivi compresi il SIEV (Sistema informativo epidemiologico veterinario) e il SIL (Sistema informativo laboratori) utilizzato dall’Istituto zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana, nonché l’attivazione delle strutture di raccordo previste dalla D.G.R. 877/2006 e un’adeguata organizzazione dei Servizi a livello di Aziende sanitarie locali;

elaborare progetti specifici in materia di sicurezza alimentare finalizzati all’individuazione di procedure e flussi utili alla definizione di piani per i controlli ufficiali e per le emergenze epidemiche veterinarie ed alimentari;

sviluppare le attività di epidemiologia in ambito di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, favorendo le integrazioni con l’Osservatorio epidemiologico veterinario regionale nonché con le restanti attività epidemiologiche nell’ambito della prevenzione;

elaborare il Piano regionale per la formazione degli operatori della Sanità pubblica veterinaria e Sicurezza alimentare finalizzato all’innalzamento della qualità delle prestazioni e al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla programmazione regionale, che tenga conto concretamente dei fabbisogni formativi percepiti dagli operatori. Per la specificità della materia le strutture formative delle Aziende sanitarie locali, nell’ambito degli obiettivi formativi stabiliti dal Piano Regionale, dovranno avvalersi della collaborazione dell’Istituto zooprofilattico e di Società scientifiche di Sanità pubblica veterinaria e Sicurezza alimentare accreditate;

valorizzare la funzione della tutela del benessere animale collocandola nell’alveo naturale della Sanità pubblica veterinaria, (Area di Sanità veterinaria regionale) strettamente integrata, per le questioni attinenti al controllo del randagismo e all’igiene urbana veterinaria, con le attività dei Comuni. Per tale specifica funzione si rende necessaria anche un’adeguata articolazione territoriale delle ASL che preveda la presenza di strutture organizzative dedicate a tale funzione;

raggiungimento delle qualifica sanitaria di territori indenni per Brucellosi bovina ed ovicaprina, Tubercolosi, Leucosi bovina per tutte le cinque province del territorio regionale, anche attraverso specifici programmi regionali e/o provinciali e/o aziendali;

proseguire l’attività di controllo, prevenzione ed eradicazione delle altre malattie infettive degli animali, già presenti o che dovessero verificarsi sul territorio regionale.

Nel documento Piano sanitario regionale 2010-2012 Indice (pagine 120-126)