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3.n La tutela della salute in carcere e in ambito penitenziario

Nel documento Piano sanitario regionale 2010-2012 Indice (pagine 160-166)

PREMESSA

Le strutture penitenziarie nella regione Lazio sono 18, così ripartite per provincia: 11 a Roma, 3 a Frosinone, 2 a Viterbo, 1 a Latina e 1 a Rieti, a cui vanno aggiunte tre aree di attenzione per i processi di presa in carico terapeutica post-penitenziaria: l’U.E.P.E. (Ufficio per l’esecuzione penale esterna), l’U.S.S.M. (Ufficio del servizio sociale per minorenni) e le relative strutture di riferimento gerarchico del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria: il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e il Centro di giustizia minorile. La popolazione carceraria regionale al 31 dicembre 2008 (fonte: Ministero della Giustizia) è costituita da 5.379 soggetti di cui 4.984 uomini e 395 donne, minori inclusi; sul totale dei detenuti presenti 1.646 risultano tossicodipendenti, mentre 1.998 sono stranieri. Il numero delle presenze in un dato giorno non è indicativo del carico di lavoro globale annuo, in quanto è necessario calcolare che i

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transiti globali, cioè l’insieme delle persone che entra o esce dalle strutture penitenziarie, raddoppia in media il numero dei soggetti coinvolti nell’area.

Il D.P.C.M. 1/4/08 (pubblicato su G.U. 30 maggio 2008) ha definitivamente riformato l’intero sistema di assistenza sanitaria in ambito penitenziario, coinvolgendo detenuti, internati e sottoposti a misure restrittive della libertà personale, adulti e minori, precedentemente sotto la responsabilità del Ministero della Giustizia. Questa riforma, quindi, si rivolge a tutte le persone che siano in carcere o nell’area penale esterna e sottoposte a misure alternative alla carcerazione.

La Regione Lazio ha avviato i primi interventi sanitari per i tossicodipendenti nel Complesso polipenitenziario di Rebibbia, sin dalla fine degli anni ’80, anche se il processo di riordino inizia solo molto più tardi con il D.Lgs. 230/99 e riguarda soltanto l’area delle Patologie da dipendenza e quella della Prevenzione e igiene pubblica all’interno delle strutture penitenziarie. Oggi, con il supporto di una normativa di definitivo e completo trasferimento delle funzioni, delle risorse economiche e strumentali, nonché del personale e dei locali ad uso sanitario, è possibile tracciare linee programmatiche e di intervento per un inserimento di queste competenze nella più generale programmazione sanitaria regionale, alla stessa stregua di servizi di nuova istituzione.

Aree di intervento strategiche

I principi enunciati sia nel D.Lgs. n. 230/99 che nel D.P.C.M. 1/4/08 stabiliscono con chiarezza che, accanto all’equivalenza di trattamento tra cittadini liberi e non, devono essere poste in particolare attenzione alcune aree critiche, quali:

la medicina di base con particolare attenzione allo stato di salute dei nuovi ingressi;

le prestazioni di medicina specialistica;

gli interventi in emergenza-urgenza;

l’assistenza farmaceutica;

le patologie da dipendenza e le sue complicanze, specialmente infettive (epatopatie C-correlate, infezione da HIV, ecc.);

la tutela della salute delle donne e della loro prole;

la prevenzione, la cura e il sostegno del disagio psichico e sociale;

la tutela della salute delle persone immigrate.

Queste attività sanitarie dovranno essere rese sulla direttrice di un urgente e costante miglioramento della qualità dei servizi erogati, anche in considerazione del livello attuale insoddisfacente.

A tal fine la Regione Lazio intende:

attivarsi presso gli specifici tavoli tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella Conferenza permanente Stato-Regioni al fine di porre in essere gli adempimenti necessari alla concreta attuazione del D.P.C.M. 1 aprile 2008 e delle linee di indirizzo ad esso allegato;

disciplinare gli interventi da attuare attraverso le ASL comprese nel proprio territorio e nel cui ambito di competenza sono ubicati gli Istituti, i servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento;

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avviare le procedure di concertazione per l’attuazione del trasferimento del rapporto di lavoro del personale di cui all’art. 3 del D.P.C.M. con particolare riguardo ai necessari incrementi ex D.M. 444/90 e L. 45/99 per ciò che attiene ai SerT;

adottare le iniziative necessarie per la convalida, con apposito atto formale, dell’inventario di attrezzature, arredi e beni strumentali afferenti alle attività sanitarie di proprietà del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia minorile, da trasferire alle singole ASL;

adottare le iniziative necessarie per la convalida, con apposito atto formale, dell’inventario dei locali adibiti all’esercizio delle funzioni sanitarie, redatto dal Ministero della Giustizia alla data del 31 dicembre 2007, che vengono concessi in uso a titolo gratuito per l’utilizzo da parte delle ASL nel cui territorio sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari di riferimento, sulla base di apposite convenzioni stipulate secondo schemi tipo approvati in sede di Conferenza Stato-Regioni;

identificare le procedure amministrative di gestione delle risorse finanziarie che saranno trasferite nella disponibilità del Servizio sanitario regionale in seguito a riparto effettuato secondo criteri definiti in sede di Conferenza Stato-Regioni;

definire gli schemi di protocollo interistituzionali, sulla base delle indicazioni fornite dalla Conferenza permanente Stato-Regioni che regolano i rapporti tra le ASL e il Ministero di Giustizia;

razionalizzare la rete ospedaliera di ricovero e cura presso le strutture ospedaliere regionali;

i punti precedenti dovranno essere curati anche attraverso la definizione di un’apposita commissione regionale che garantisca la tempestività e la correttezza delle azioni da intraprendere.

Di conseguenza le ASL dovranno porre in essere le azioni di natura giuridica, amministrativa e contabile al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza in attuazione delle direttive regionali in materia di organizzazione, adottando le iniziative necessarie per l’attuazione dell’art. 3 comma 1 del D.P.C.M. suddetto per il trasferimento del personale dipendente di ruolo e non, sulla base delle tabelle allegate al D.P.C.M. stesso.

Dovranno essere inoltre adottate le iniziative necessarie al fine di dare piena attuazione all’art. 4 comma 1 del D.P.C.M.

suddetto per il trasferimento delle attrezzature, degli arredi, dei beni strumentali afferenti alle attività sanitarie di proprietà del Ministero della giustizia e stipulate apposite convenzioni con gli istituti e i servizi penitenziari incidenti sul territorio aziendale, secondo schema tipo trasmesso dalla Regione.

Un settore dell’intera operazione di trasferimento delle competenze sanitarie, che deve essere considerato critico, è rappresentato dal passaggio di gestione delle risorse economiche. Esse dovranno essere attribuite ad ogni singola Azienda secondo criteri di riparto che tengano in considerazione la numerosità della popolazione detenuta e la presenza di strutture particolari (per tossicodipendenti, HIV, donne, minori ecc.). Per la strumentazione e i locali in cessione dovrà essere valutata la rispondenza agli attuali requisiti di legge. Il personale dovrà ricevere un contratto ai sensi della normativa vigente in tema di CCNL.

Modello organizzativo

Al fine di soddisfare l’esigenza di creare e avviare l’operatività di modelli organizzativi aziendali efficaci che possano rapidamente prendere in carico la globalità del sistema di assistenza sanitaria penitenziaria, sono previste opportune

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strutture di governo regionale (Coordinamento regionale interaziendale per la tutela della salute in ambito penitenziario) che forniscano linee di indirizzo e controllo alle ASL responsabili dell’erogazione delle singole prestazioni sanitarie. Un sistema di questo tipo supera l’eventuale difformità di modelli organizzativi tra ASL e garantisce uniformemente la salvaguardia del diritto a equivalenti prestazioni tra cittadini liberi e non. Pertanto i modelli organizzativi locali devono prevedere la creazione di opportune forme organizzative o l’inserimento di tali attività in strutture operative preesistenti.

Gli interventi sinora attuati in merito alle patologie da dipendenza e che rappresentano un modello di riferimento organizzativo (custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti, day hospital per le sindromi da astinenza ecc.) saranno rivisti alla luce dei percorsi di qualità delle prestazioni sanitarie con il supporto di specifici manuali.

Per garantire un opportuno monitoraggio sia dei percorsi di salute che delle difficoltà emergenti è necessario disporre di un Osservatorio della sanità in ambito penitenziario, in seno al Coordinamento regionale.

Il Coordinamento regionale interaziendale viene gestito dall’Area della rete dei servizi dei soggetti deboli (Dipendenze, salute mentale e carcere) della Direzione regionale della Programmazione sanitaria e dall’Area Risorse umane e formazione della Direzione regionale Risorse umane e Finanziamento del SSR. Esso è costituito da: rappresentanti delle ASL e del Ministero della Giustizia, rappresentanze sindacali, referente in Conferenza unificata, Garante dei diritti dei detenuti e associazioni di volontariato.

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4. Ospedale

4.a Umanizzazione

Il contesto

La dignità della persona figura tra i principi guida del SSN, come enunciato nell’art. 1 del D.Lgs 19 giugno 1999, n. 229.

L’umanizzazione dei luoghi di cura, intesa come capacità di renderli “aperti, sicuri e senza dolore”, conciliando politiche di accoglienza, informazione e comfort con percorsi assistenziali condivisi con il cittadino, è una delle parole chiave del New Deal della Salute – Linee del programma del Governo per la promozione ed equità della salute dei cittadini.

Ridurre la sofferenza dei malati e umanizzare l’assistenza valorizzando l’importanza del rapporto relazionale a ogni contatto tra cittadino e sistema sanitario rappresenta uno dei principi su cui è imperniato il presente documento di programmazione regionale.

È la persona nel suo complesso a rappresentare il punto di riferimento per gli operatori sanitari e non solo gli aspetti tecnico-operativi. La medicina moderna tende infatti a scomporre la persona in organi e a delegare a macchine sempre più sofisticate l’iter diagnostico e la relazione col paziente, con un aumentato rischio di malattie iatrogene legate alla frammentazione dei processi clinico-assistenziali.

Il punto di vista dei cittadini è un elemento fondamentale nel processo di miglioramento della qualità dei servizi assistenziali. Proprio la rilevanza che le persone assistite attribuiscono alla dimensione delle relazioni umane spiega l’alto apprezzamento dato a tutti quei segni di attenzione, premura, empatia, rispetto, solidarietà che gli assistiti ricevono troppo spesso avaramente nelle occasioni di contatto con i servizi sanitari.

L’ambito della comunicazione è quello in cui appare con maggior evidenza la distanza tra la prospettiva del pubblico e quella del personale sanitario. La differenza dei rispettivi linguaggi e codici comunicativi determina un frequente senso di spaesamento e disagio negli utenti, che lamentano spesso di “non capirci niente” e di sentirsi abbandonati e all’oscuro di fatti e decisioni per loro vitali. Si osserva spesso la tendenza del personale sanitario a ridurre la comunicazione a semplice strumento, veicolo di nude informazioni che alimenta l’insoddisfazione degli utenti.

A volte la stessa dignità dei cittadini/pazienti sembra dimenticata dai comportamenti degli operatori sanitari, a loro volta costretti da ritmi di lavoro faticosi, da richieste più urgenti, da un “clima organizzativo” che spesso non facilita una disposizione d’animo empatica.

Numerosi sono i problemi da affrontare: dalle lunghe attese all’apparente arbitrarietà degli accessi, dalla carenza di informazioni alla ricorrente (anche se del tutto involontaria e talora inevitabile) violazione del pudore e della privacy e al disagio derivante dalla promiscuità, dalla separazione coatta tra pazienti e accompagnatori (specie se parenti) alla perdita di identità (derivante dall’anonimato) e dignità (causata dalla nudità, dalle manipolazioni cui si è sottoposti).

Gli ospedali e i servizi sanitari di buona qualità devono essere improntati alla tutela della piena individualità sociale della persona assistita (e in parte di chi lo accompagna) e non devono agire come istituzioni senza volto che relegano, esercitano potere e puniscono. Un buon rapporto umano tra operatore e assistito rappresenta una componente determinante del buon esito del trattamento, nonché un elemento essenziale del processo clinico-assistenziale, della presa in carico.

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Le iniziative

Le iniziative tese a umanizzare gli ospedali saranno orientate al rispetto dei valori soggettivi della persona, alla promozione della sua autonomia, alla tutela della diversità culturale.

Si annoverano interventi di natura diversa:

− interventi di ristrutturazione ospedaliera con architetture che possano “demedicalizzare” gli ambienti rendendoli più rilassanti, prevedendo comode sale di accoglienza e cura degli arredi;

− l’organizzazione dei reparti per intensità assistenziale in grado di attutire l’impatto dell’altrui sofferenza;

− la riorganizzazione degli orari di visita tali da consentire una più agevole continuità di presenza dei familiari nei reparti di degenza, in particolare dopo le procedure invasive e gli interventi chirurgici, sino all’entrata senza limitazioni durante le ore diurne;

− la comunicazione tra gli operatori sanitari e gli assistiti per patologie oncologiche e i loro familiari, anche tramite l’adozione di linee guida in grado di suggerire l’approccio di volta in volta preferibile per trasmettere le informazioni relative allo stato della malattia e alla prognosi;

− l’accoglienza degli assistiti e dei familiari nei luoghi di pronto soccorso;

− l’attenzione alla riabilitazione cognitiva e non solo fisica nelle strutture residenziali e semiresidenziali;

− la lotta allo stigma e alla discriminazione per i pazienti affetti da infezione HIV/AIDS.

Un posto a parte merita il problema del trattamento del dolore nelle patologie gravi. La promozione di “ospedali senza dolore”, in cui l’approccio all’analgesia divenga pratica preventiva degli operatori sanitari e non avvenga solo dopo pressanti richieste dei pazienti o dei familiari, è una priorità. Questo tema assume rilevanza critica per quanto riguarda le persone con patologie oncologiche e i giovani. Si prevede al riguardo all’adozione di specifiche linee guida e la formazione del personale.

In ospedale, sebbene siano stati compiuti progressi nella conoscenza dei meccanismi fisiopatologici e del trattamento, la valutazione del dolore, il trattamento e la continuità assistenziale sono ancora lontani nella realizzazione. Il problema è ancora sottovalutato e insufficientemente trattato. Le iniziative regionali per la presa in carico del dolore sono numerose ma esiste una mancanza di visibilità di comunicazione, di condivisione di esperienze e di concertazione tra i diversi attori (curanti, utilizzatori, istituzioni).

La definizione di un modello strutturale, clinico e organizzativo, ripetibile e adattabile alle diverse realtà ospedaliere pubbliche o private, rappresenta un passo definitivo verso la soluzione del grande problema del dolore in tutte le forme in cui si presenta, da solo come malattia, associato come sintomo acuto alle patologie e alla chirurgia, compartecipe, insieme ad altri sintomi, della tragica condizione dei pazienti affetti da patologie croniche e da neoplasia.

L’offerta di modelli organizzativi e assistenziali, che garantiscano la continuità assistenziale dall’Ospedale per acuti ad altre forme di assistenza e riabilitazione territoriali e domiciliari, può contribuire a evitare ricoveri inappropriati presso strutture per acuti e dispersioni di risorse.

Gli interventi di assistenza palliativa tesi al miglioramento delle sofferenze dei pazienti dovranno anche occuparsi dell’integrazione dell’offerta negli ambiti assistenziali domiciliari, ospedalieri e residenziali e alla copertura di una adeguata offerta su tutto il territorio regionale, nonché dell’integrazione con l’opera del Medico di medicina generale.

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Obiettivo della Regione Lazio è di migliorare la presa in carico del dolore nelle strutture sanitarie regionali, mettendo in atto le informazioni necessarie affinché il malato non subisca la sua sofferenza come una fatalità. La necessità di offrire livelli assistenziali a complessità differenziata rende necessario programmare un sistema che renda possibile l’integrazione di differenti modelli e livelli di intervento. È altresì essenziale formare i professionisti al migliore ascolto della persona assistita e alla presa in carico terapeutica e psicologica del dolore.

Il piano di azione per la presa in carico del dolore si fonda su quattro assi:

• definizione degli ambiti di intervento per il dolore acuto, il dolore cronico, il dolore oncologico;

• strutturazione di Centri di medicina del dolore;

• strutturazione di una rete di cure;

• formazione dei professionisti.

Gli strumenti più utili per la messa in opera di queste iniziative includono la formazione degli operatori, l’adozione di linee guida, la partecipazione delle associazioni degli assistiti, la diffusione delle Medical Humanities e il contributo dei comitati etici.

È diretta responsabilità dei Direttori sanitari, dei dirigenti responsabili dei Distretti, dei reparti e degli ambulatori e della farmacia non solo assicurare l’accesso alla prestazione e l’erogazione di servizi efficaci e sicuri, ma anche garantire che i luoghi di cura siano luoghi improntati al rispetto irrinunciabile dei diritti umani e della dignità della persona.

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