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Lo Harm principle inteso come prevenzione dei danni (harm prevention)

1.3. Il problema del rispetto del generale principio di offensività

1.3.2. The Harm Principle nel diritto anglosassone

1.3.2.3. La concezione liberale di Mill e Feinberg

1.3.2.3.1. Lo Harm principle inteso come prevenzione dei danni (harm prevention)

principio che giustifica la punizione di condotte, al fine di prevenire un danno ad altri. Il modo ovvio in cui la criminalizzazione previene il danno è nel prevenire condotte offensive: ma ciò lascia aperta la possibilità di punire condotte che non sono in se stesse offensive.

Nel tempo, ad esempio, si è assistito ad una proliferazione di reati che anticipano la tutela penale. Tali reati includono i reati preparatori (“inchoate offences”) come il tentativo o il reato di incoraggiamento e di assistenza e un numero di condotte senza offesa punite per fini preventivi come i reati pre-preparatori (“pre-inchoate

crimes”), i reati di possesso, i reati associativi, i reati di pericolo133, alcuni dei quali si ritiene creino o aumentino il rischio di un danno in relazione alla possibilità di future condotte o in relazione a terzi soggetti.

Dalla prospettiva dell’Harm Principle, la condotta deve sicuramente essere in se stessa offensiva. Anche se si tratta solo di condotte pericolose, si è detto che l’Harm

Principle deve permettere la criminalizzazione anche di condotte che creano un rischio

di offesa: la condotta è illecita, e punibile, in virtù della sua pericolosità anche quando non causa esplicitamente un danno materiale. Si potrebbe argomentare che la condotta

132 A. ASHWORTH -J. HORDER, Principles of Criminal Law, Oxford University Press, 2013, p 28 e ss.

133 Tale categorizzazione è presa da A. ASHWORTH -L. ZEDNER, Preventive Justice, Oxford University Press, 2014.

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pericolosa sempre causa un’offesa: l’offesa di essere esposto al rischio di un danno effettivo134.

Viceversa, si è affermato che, in primo luogo, si tratterebbe soltanto di un’offesa “secondaria”, il cui carattere offensivo deriva dall’offesa “primaria” che è stata messa in pericolo. In secondo luogo, non ogni condotta pericolosa, per la quale sussiste una buona ragione di punizione, effettivamente espone altri ad un rischio di offesa. Piuttosto che portare le condotte pericolose all’interno del perimetro dell’Harm

Principle, raffigurando il rischio come un’offesa, si dovrebbe più semplicemente

affermare che l’Harm Principle permette la punibilità di condotte che causano un danno o creano il rischio di un danno135. Ma una volta che si inizia per tale crinale, non è chiaro dove si possono fissare i limiti del diritto penale. È facile portare all’interno della ratio dell’Harm Principle condotte che sono intenzionalmente dirette alla causazione di un’offesa o che la minacciano solamente. Si potrebbe infatti dissentire su quanto ampia possa essere la disciplina sul tentativo; sul fatto che il diritto anglosassone dovrebbe contenere un reato generale di pericolo (“reckless

endangerment”) o su quando e quanto la mera condotta negligente debba essere punita

e così via. Ad ogni modo, se il generale interesse è quello di prevenire offese o di punire condotte offensive, è chiaramente ragionevole punire anche le condotte pericolose136.

Si è detto, tuttavia, che l’attuale legislazione va molto più lontano di così. Si puniscono condotte che sono solamente preparatorie alla commissione di un danno o che semplicemente rendono maggiormente possibile che un delitto venga commesso, come succede nei numerosi reati di possesso (si veda ad esempio nelle leggi in materia di stupefacenti e di possesso di armi: Misuse of Drugs Act 1971; Firearms Act 1968). Vi sono condotte la cui connessione con un’offesa è ancora più remota, come il rifiuto di mostrare i documenti di guida quando sono richiesti da un ufficiale di polizia (v. Road Traffic Act 1988). Si potrebbe sostenere per la maggior parte di questi reati che essi contribuiscono indirettamente ed in ultima analisi alla prevenzione di un’offesa, ma questo è il problema: se l’Harm Principle estende la copertura a condotte

134 C.O. FINKELSTEIN, Is Risk a Harm?, in University of Pennsylvania Law Review, 2003, p. 963. 135 R.A. DUFF, Answering for Crime. Responsibility and Liability in the Criminal Law, Hart publishing, 2007, pp. 125-126.

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che non sono per se stesse direttamente offensive o pericolose, è difficile vedere come esso possa porre confini stretti o determinare limiti all’utilizzo del diritto penale137.

Comprendere la reale ampiezza del diritto penale può essere importante per due ragioni. In primo luogo, al fine di determinare quando una certa condotta è sufficientemente dannosa tanto da essere criminalizzata; in secondo luogo, per decidere la gerarchia dei reati. Generalmente più è dannosa la condotta, più è grave il reato e più alta la pena che ci si aspetta. Ma come graduare il danno è difficile e controverso138. Si è detto che uno dei vantaggi del Principio è proprio questo: vincolando a considerare le condotte che devono essere criminalizzate, fornisce anche gli strumenti con cui classificare la gravità dei reati e decidere quindi quale livello di pena, se vi dev’essere, risulta appropriato139.

La questione più generale è che per molto tempo l’Harm Principle è stato più o meno dato per scontato come il centrale criterio per la punibilità: è stato accettato sia dai teorici sia nel pubblico dibattito, che per giustificare la criminalizzazione di ogni tipo di condotta, tale condotta dovesse generalmente essere considerata almeno una fonte potenziale di offesa/danno.

L’avverbio “generalmente” è necessario perché esiste anche un’ampia accettazione del supplementare principio, lo “Offence principle”, che legittima la criminalizzazione di condotte che causano gravi molestie (offense) agli altri, anche se queste non possono essere considerate un danno140.

Il termine “offence” delimita una serie di fatti che producono molestie di tipo pubblico o che aggrediscono diritti comuni a tutti i cittadini (“public” o “common

nuisance”) ed, in particolare, arrecano disturbo, fastidio, imbarazzo, dispiacere,

umiliazione, spavento, irritazione, allarme, inquietudine, ansia, ostruzione fisica temporanea, disagio, disgusto, vergogna, nausea, ribrezzo141.

Più recentemente l’Harm Principle ha perso la sua posizione dominante nei dibattiti, almeno nella dottrina. Una delle ragioni di ciò è il ritorno del “legal 137 B.E. HARTCOURT, The Collapse of the Harm Principle, in Journal of Criminal Law and

Criminology, 1999, p. 109 e ss.; Per Duff l’Harm Principle, quale principio di efficace prevenzione di

offese di un certo tipo di condotte può fare poco nel limitare l’espansione del diritto penale, cfr. R.A. DUFF, Answering for Crime. Responsibility and Liability in the Criminal Law, Hart publishing, 2007, pp. 136-138.

138 J. HERRING, Criminal Law, Palgrave, 2017, pp. 4-5.

139 A.P. SIMESTER- G.R. SULLIVAN, Criminal Law Theory and Doctrine, Hart publishing, 2007, p. 585.

140 J. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law: Offence to Others, Oxford University Press, 1985; H.L.A. HART, Law, Liberty and Morality, Stanford University Press, 1963, p. 45.

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moralism”. Per alcuni moralisti l’illeceità della condotta fornisce da sola una ragione

positiva, o una ragione significativa, per la sua punibilità. Per altri moralisti esiste una buona ragione per punire ogni tipo di illecito morale, tuttavia altri principi e considerazioni dovrebbero dissuadere dall’effettiva punizione di molte condotte ingiuste142. Per altri, ancora, solo alcuni tipi di illecito sono dei candidati appropriati alla criminalizzazione143. Inoltre, all’interno della discussione sull’harm si è posto il problema sul c.d. Moral luck144: questa si verifica quando ad un soggetto viene attribuito il biasimo morale o il giudizio negativo per una sua azione anche se egli non aveva il pieno controllo né sulla azione né sulle sue conseguenze145.