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Il problema preliminare della definizione

3.6. Market Manipulation

3.6.1. Il problema preliminare della definizione

È stato ampiamente affermato che la manipolazione del mercato equivale ad una ingiustificata interferenza nelle operazioni finanziarie tra ordinarie forze di

476 http://www.fca.org.uk/firms/being-regulated/enforcement/how-we-enforce-the-law/courts.

477 B. RIDER – K. ALEXANDER – S. BAZLEY – J. BRYANT, Market Abuse and Insider Dealing, Bloomsbury Professional,

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domanda ed offerta che mina l’integrità e l’efficienza del mercato478. In termini

generali, la manipolazione del mercato riguarda transazioni e comunicazioni di false o ingannevoli informazioni che hanno l’effetto di alterare il prezzo delle azioni479.

Alcune tra le più importanti giurisdizioni, come quella statunitense, non definiscono i termini “manipolare” o “manipolazione” (“manipulate” or “manipulation”). La “Us Securities and Exchange Act 1934” (SEA) non prevede alcuna norma definitoria, mentre la “Us Securities and Exchange Commission” ha adottato regole che descrivono tali concetti relazionandoli a specifiche attività che sono quindi vietate per essere “manipulation” o “manipulative”. Tali concetti sono spesso descritti come azioni che implicano la volontà di punire un risultato che è socialmente indesiderabile.

La classica definizione di manipolazione del mercato fu data nei famosi casi statunitensi “General Foods Corporation v Brannon”480 del 1948 e “Cargil Inc. v.

Hardin” del 1971481. La manipolazione fu definita nella prima sentenza come la

creazione di un prezzo artificiale da parte di un’azione programmata (“the creation of

an artificial price by planned action”); mentre, nella seconda sentenza, fu definita

come un’attività, uno schema o un artificio che deliberatamente influenza il prezzo degli strumenti finanziari, il quale si fissa ad un altro prezzo rispetto a quello che sarebbe risultato in assenza di tale intervento (“an activity, scheme, or artifice that

deliberately influences the price of a financial asset, resulting in a price other than the one that would have resulted in the absence of such intervention”).

Differentemente, a partire dal 1986, il legislatore inglese ha definito la manipolazione del mercato: prima nel “Financial Services Act 1986”, alla s 47 (1) e (2), e dopo nel FSMA 2000, alla s 397482.

Ad ogni modo, tutti i tentativi di definizione della manipolazione del mercato nella teoria economica e nelle disposizioni legislative seguono quattro diversi approcci:

478 IOSCO, Investigating and Prosecuting Market Manipulation, 2000, p. 8. 479 S. HORAN, Corporate Crime, Bloomsbury Professional, 2011, p. 1099.

480 United States Court of Appeal, General Foods Corporation v Brannon, 170 F.2d 220 (19 October 1948).

481 United States Court of Appeal, Cargil Inc. v. Hardin, 452 F.2d 1154 (7 December 1971).

482 V. B. RIDER – K. ALEXANDER – S. BAZLEY – J. BRYANT, Market Abuse and Insider Dealing, Bloomsbury Professional, 2016, p. 112.

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1. il prezzo artificiale o “effects-based approach483”, il quale richiede la prova della

creazione di un prezzo artificiale (“price artificiality”) o di impressioni false o ingannevoli (“misleading impressions”). Una versione modificata di tale approccio è adottata dalla direttiva sui Market Abuse (MAD I) e fu, verosimilmente incorporata nella forma originale del “regulatory offence” di market abuse inglese (l’originale sezione 118 del FSMA 2000) ed, in particolare, nella condotta vietata di “creation of

false or misleading impressions” e “market distortion”;

2. la “intent-based approach”, vale a dire il presunto intento del manipolatore di indurre gli altri partecipanti del mercato ad operare sul mercato. È l’approccio adottato dalla sezione 397 (3) del FSMA 2000 e, per alcuni versi, dalla sezione 397 (2) dello stesso Act;

3. una combinazione dei due approcci, la quale richiede anche la prova dell’induzione. Questo è l’approccio adottato dalla sezione 10 del SEA 1934 e dalla Corti statunitensi484;

4. infine, la capacità di esercitare un potere di mercato in modo da “posizionare” il prezzo degli strumenti finanziari in caso di manipolazioni per il controllo del mercato (Market Power (Market Control) Manipulations).

Per quel che qui ci interessa, partendo dal c.d. “effect-based approach”, è necessario definire i concetti dei due requisiti ivi richiesti. Invero, l’elemento di “price

artificiality” è, in un modo o nell’altro, una parte inestricabile di gran parte delle

definizioni di manipolazione del prezzo. È irrilevante se l’artificialità del prezzo è stata creata attraverso la disseminazione di false informazioni o mediante il compimento di transazioni artificiali ovvero attraverso specifiche strutture di scambio per raggiungere tale risultato. Ciò che conta è l’effetto di queste strategie nei prezzi del mercato e l’offesa che causano per l’efficienza delle informazioni nello stesso. Si potrebbe obiettare che il risultato di ogni manipolazione del prezzo ben riuscita è sempre la creazione di un prezzo artificiale, an “artificial price”485.

483 J.D. COX – R.W. HILLMAN- D.C. LANGEVOORT, Securities Regulation: Cases and Materials, Wolters Kluwer, 2017, p. 771. La “market manipulation” è descritta come “behaviour that has the effect

of artificially distorting the market price of the stock in question, typically by appeals to the speculative impulses of other investors”.

484 E. AVGOULEAS, The Mechanics and Regulation of Market Abuse, Oxford University Press, 2005, p. 107.

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La creazione di un’impressione ingannevole (“creation of a misleading

impression”) potrebbe essere provata attraverso l’uso dei c.d. “regular user” o test

dell’uomo ragionevole senza richiedere alcuna prova dell’artificialità del prezzo. Oggigiorno alle azioni finanziarie è attribuito un valore che si riferisce al loro prezzo di mercato, pertanto, l’artificialità del prezzo costituisce prova che il meccanismo della formazione del prezzo è stata distorta. Tuttavia, tale approccio diventa molto problematico nel momento in cui è necessario incorporare tale elemento in una disposizione legislativa, non essendo facilmente identificabili le differenze tra il prezzo delle azioni, quale risultato di una operazione tra forze competitive nel mercato, e il prezzo artificiale486. Pertanto, utilizzare il test dell’artificialità del prezzo è un esercizio molto rischioso.

La “International Organization of Securities Commissions” (IOSCO) ha tentato di risolvere questo problema fornendo una definizione internazionalmente accettata di “price artificiality”, la quale è stata definita come la divergenza del prezzo rispetto alle forze legittime di domanda e offerta (“the divergence of price from the

legitimate forces of supply and demand”). La prova deve essere raccolta mostrando

che il prezzo non ha seguito le forze economiche lecite (“prices did not follow

legitimate economic forces”)487. In un certo senso, tale formulazione segue la classica definizione del concetto di artificialità del prezzo offerta dal caso statunitense “Great

Western Distributors, Inc v Brannan488” dove “artificial price” fu definito come “un

prezzo che sarebbe diverso se i tentativi di influenzarlo fossero assenti” (“a price

which would be different if the price influencing efforts were absent”).

Questo approccio, tuttavia, presenta diverse difficoltà. In primo luogo, tutti i prezzi del mercato sono necessariamente in equilibrio rispetto alle forze che operano nel mercato; secondariamente, non è facile misurare accuratamente quale sarebbe stato il presso delle azioni deciso dalla domanda e dall’offerta, in assenza dello scambio “sospetto”; infine, è molto difficile circoscrivere l’effetto dell’informazione di tali scambi, in modo da valutare quale sarebbe stato il corretto livello di prezzo in assenza dell’attività manipolativa489.

486 J.W. MARKHAM, Commodities Regulation: Fraud, Manipulation and Other Claims, Clark Boardman Ltd, 1987, §15.01.

487 Technical Committee of the International Organization of Securities Commissions, “Investing and

Prosecuting Market Manipulation”, 13 May 2000.

488 Great Western Distributors, Inc v Brannan 201 F 2d 476 (7th Cir. 1953). 489 E. AVGOULEAS, The Mechanics and Regulation of Market Abuse, cit., p. 109.

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Al fine di superare tali difficoltà si è sperimentato il diverso “intent-based

approach”. Certamente, è molto complicato per i tribunali penali (o addirittura per le

agenzie di regolazione) punire un soggetto per la manipolazione del mercato senza prove sufficienti che egli abbia intenzionalmente voluto manipolare il mercato. Pertanto, molte definizioni legali di manipolazione del mercato richiedono la prova che i manipolatori avessero lo scopo (intent) di causare un rilevante “price effect” ovvero inducessero i partecipanti del mercato, grazie al prezzo distorto, a scambiare in strumenti affetti dallo schema manipolativo. Inoltre, per superare il requisito della prova della creazione di un prezzo artificiale, sono stati fatti diversi tentativi in dottrina al fine di fornire una definizione delle manipolazioni del mercato che non si incentrasse tantp sull’impatto sul prezzo (“price impact”), ma piuttosto sulla condotta o sulla volontà dei trader490.

A questo punto appare opportuno descrivere brevemente il concetto di mens

rea, per meglio comprendere quali criteri di imputazione soggettiva ha utilizzato il

legislatore inglese nella materia degli abusi di mercato. Nel sistema penale anglosassone esistono tre diverse forme di elemento soggettivo (mens rea): intention,

recklessness e negligence. Possono essere poste lungo una scala di intensità, in cui la

“intention” è la forma più grave, la “recklessness” la seguente forma più seria, ed infine, la “negligence” quale forma meno grave.

Nella forma di “intention” il soggetto tende ad un risultato che vuole si verifichi. Lo scopo del soggetto è la commissione di un’azione. Nel caso Moloney491

Lord Bridge suggerì quale regola (“golden rule”) l’interpretazione letterale, in modo che i giudici non necessitassero di fornire alla giuria un’indicazione in merito al significato di “intention”. Nel caso Mohan492, “intention” fu definita come la decisione

di agire, nella misura in cui rientra nel potere dell'imputato, (una conseguenza particolare), indipendentemente dal fatto che l'imputato desiderasse o meno tale conseguenza del suo atto”. Brevemente, può essere descritto come scopo, obiettivo, essendo irrilevante che lo stesso probabilmente si verifichi o meno.

In relazione alla seconda forma di “mens rea” è bene sottolineare come in passato esistevano due tipologie di “recklessness”: “the Cunningham493 recklessness”

490 E. AVGOULEAS, The Mechanics and Regulation of Market Abuse, cit., pp. 111-112. 491 Moloney [1985] AC 905.

492 Mohan [1976] QB 1, CA. 493 Cunningham [1957] 2 QB 396.

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(concezione soggettiva) e “the Caldwell494 recklessness” (concezione oggettiva)495.

Tuttavia, nel caso R v G496 la House of Lords abolì la concezione oggettiva di tale forma e per tale ragione oggi è necessario considerare solo la prima tipologia di “recklessness”.

Lord Bingham nella sua decisione approvò la seguente definizione: “a person acts

recklessly …. With respect to –

1. a circumstance when is aware of a risk that it exists or will exists; 2. a result when he is aware of a risk that it will occur;

and it is, in the circumstances known to him, unreasonable to take the risk”.

La “recklessness” richiede che il soggettoabbia previsto che il determinato tipo di danno sarebbe potuto essere causato e tuttavia ha continuato a correre il rischio di causarlo (“has foreseen that the particular kind of harm might be done and yet has

gone on to take the risk of it” (Cunningham)).

Per provarlo, è necessario dimostrare che l'imputato era cosciente del rischio che il suo atto potesse arrecare un danno. Inoltre, non importa se una persona ragionevole avrebbe previsto il danno, ma solo ciò che l'imputato stesso abbia effettivamente previsto.

Infine, nella terza forma di “mens rea”, la “negligence”, si confronta la condotta del reo con quella di una modello agente ragionevole e prudente. Lo stato d'animo dell'imputato, quello che intendeva o aveva previsto, è irrilevante. La giuria valuta semplicemente se l'imputato ha agito in un modo in cui una persona ragionevole non avrebbe fatto.