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2.6. I reati che anticipano la tutela penale o a carattere preventivo nel sistema

2.6.2. Remote harms

Molta dell’attrattiva dello “Harm principle” deriva dall’essere stato applicato ai danni più immediati, dove il limite dello standard previsto dal principio è facilmente soddisfatto321. Invero, quando è applicato alle normali “victimising conduct”, lo “Harm

principle” asserve bene alla sua funzione di limitazione al potere punitivo dello Stato:

la normale libertà di azione dei cittadini non è eccessivamente ristretta dall’applicazione della sanzione penale, come nel caso, per esempio, di commissione di violenze o furti. Quanto detto può valere anche per ciò che concerne i più immediati rischi di danno.

Tuttavia, una volta che questo tipo di analisi è estesa ad includere anche i “remote harms”, la questione cambia, perché ogni tipo di azione apparentemente

318A. ASHWORTH, Defining Criminal Offences Without Harm, in P. SMITH (edited by), Criminal

Law: Essays in Honour of J. C. Smith, Butterworths, 1987, p. 8.

319 Così anche del diritto penale scozzese, cfr. G.H. GORDON, The Criminal Law of Scotland, W. Green – Thomson Reuters, 2017, Vol. I, p. 59.

320M. JEFFERSON, Criminal law, Pearson, 2015, pp. 40-41.

321 A.P. SIMESTER – A. VON HIRSCH, Crimes, Harms, and Wrongs. On the Principles of

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innocua può in ultima analisi avere delle conseguenze negative. Come risultato di ciò, lo “Harm principle” può perdere il suo ruolo di “Liberty-safeguarding”322.

Non è facile identificare condotte che a lungo termine non comportino rischi di danno. Quando il principio è applicato ai danni individuali perpetrati nei confronti di una vittima, l’attribuzione di responsabilità e colpevolezza è relativamente semplice, posto lo stretto legame tra la scelta colpevole del soggetto agente e l’evento dannoso. Quando sono implicati rischi più lontani nel tempo, invece, far rispondere il soggetto per i possibili danni diventa certamente più problematico. In tali circostanze, non è sempre giustificabile la punibilità del soggetto che con la sua condotta ha “causato” le eventuali conseguenze dannose.

La suddetta tematica ha ricevuto una grande attenzione da parte di alcuni studiosi anglosassoni, i quali hanno ritenuto che il modo comune di analisi si debba focalizzare semplicemente sulla probabilità e sull’ampiezza del rischio, nonché sui c.d. limiti compensativi323.

Questo approccio è denominato “Standard Harms Analysis”. Detto schematicamente tale analisi implica il passaggio fra diversi stadi al fine di poter decidere quando un determinato tipo di rischio soddisfi i requisiti dello “Harm

principle”.

Innanzitutto, si considera la gravità dell’eventuale rischio e la sua probabilità: maggiori sono la gravità e la probabilità, più forte sarà la necessità di criminalizzazione. In secondo luogo, si procede a confrontare il valore sociale della condotta e il grado di intrusione della sanzione penale nella libera scelta dell’agente: maggiore è il valore sociale della condotta o maggiore la limitazione della libertà, più forte sarebbe il bilanciamento. Infine, è necessario considerare alcuni controlimiti che precludono l’applicazione della sanzione penale. La pena, secondo tale approccio, non dovrebbe ledere, ad esempio il diritto alla privacy o la libertà di espressione.

L’Analisi presa ora in esame, nondimeno, funziona anche laddove si estenda ai “remote risks”? Si è detto in proposito quanto segue.

Feinberg, per esempio, raccomanda il suo utilizzo e non suggerisce una distinzione tra le più immeditate e le più remote forme di pericolo324. Per Simester e

322 B. E. HARCOURT, The Collapse of the Harm Principe, in Journal of Criminal Law and

Criminology, 1999, p. 109 e ss.

323 A.P. SIMESTER – A. Von HIRSCH, Crimes, Harms, and Wrongs. On the Principles of

Criminalisation, Hart Publishing, 2011, p. 53 -54.

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Von Hirsch, invece, l’Analisi non può funzionare da sola: vi è bisogno di un “Extended

Harms Analysis”, contenente più principi, designati per dialogare con gli specifici

problemi derivanti dai danni remoti325.

Ad ogni modo, è necessario comprendere che cosa si intenda per “Remote

Harms”. I “remote harms” sono una sottocategoria dei reati “non istituzionali” (non- constitutive crimes), in cui il danno potenziale- invocato per giustificare la sanzione -

non rientra nella definizione del reato. La definizione di “remote” non riguarda letteralmente una distanza spazio-temporale, ma denota i rischi, i quali sono considerati remoti se comportano una possibilità-eventualità di creazione del danno.

Tali reati sono molti e vari. La gamma comprende la maggior parte degli “inchoate offences”, che vietano agli individui di indurre, cospirare, o tentare di commettere un reato consumato.

Rientrano, inoltre, in tale categoria i reati di pericolo astratto (abstract

endangerment), i reati indiretti (mediating interventions) e le offese seriali

(conjunctive harms).

Per quanto riguarda i primi, gli “abstract endangerment”, la legislazione penale tradizionale, quando si tratta di “rischio”, si riferisce al pericolo attuale: la fattispecie è definita in termini di creazione di un’ingiustificata probabilità di danneggiare qualcuno. Potrebbero essere incluse condotte il cui rischio dipende dall’eventualità della verificazione del danno, ma non è conosciuto o conoscibile ex

ante al soggetto agente se tale eventualità si verificherà in una data situazione.

Ad ogni modo, le moderne legislazioni criminali affrontano le più remote forme di rischio spesso determinando la loro punizione mediante reati di pericolo astratto; nel senso che coprono i casi di condotte che non provocano un vero e proprio danno. Talvolta viene preferito tale modello perché, nella maggior parte dei casi, il comportamento è pericoloso326. Si consideri ad esempio il reato di guida in stato di ebbrezza, il quale si riferisce anche a chi è capace di guidare diligentemente dopo avere ingerito il livello di alcol vietato.

Quanto al secondo tipo (i “mediating interventions”) la legislazione che ha che fare con i rischi remoti potrebbe anche vietare condotte che non hanno conseguenze negative in se per sé ma che si ritiene inducano ad ulteriori azioni (da parte del soggetto

325 A.P. SIMESTER – A. Von HIRSCH, op. cit., p. 56.

326 A. Von HIRCH, Extending the Harm Principle: “Remote Harms” and Fair Imputation, in A.P. SIMESTER – A.T.H. SMITH, Harm and Culpability, Oxford University Press, 1996, p. 263.

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agente o di una terza persona), le quali creano un rischio di danno (per esempio, il possesso di armi).

Infine, nei “conjunctive harms” rientrano quelle condotte che producono il danno temuto solo quando si combinano con altre azioni simili. Gettare rifiuti in un corso d’acqua è considerato pericoloso per la salute, ma la condotta mette effettivamente in pericolo la salute solo quando si aggiunge ad altre condotte della stessa specie.

Sono questi i c.d. reati cumulativi (o di accumulazione): la condotta di per sé non lede il bene giuridico tutelato, ma, se realizzata anche da altri soggetti, comporta la lesione del bene giuridico327. La loro rilevanza penale si basa su di una prospettiva apparentemente lontana dalla logica penalistica continentale: cosa accadrebbe se tutti facessero la stessa cosa? What if everybody did it328? Si tratta dei casi in cui la condotta

è “harmless”, ma se posta in essere da una pluralità di persone, porterebbe alla creazione di un rischio, il quale non è semplice congettura ma consiste in una realtà attuale o imminente.

Dunque, la funzione preventiva del diritto penale può essere interpretata come una concessione dello Stato alla punizione di condotte che creano un rischio di un determinato danno. La condotta può non essere ingiusta/illecita o dannosa in se stessa ma è punita per le conseguenze che potrebbero derivarvi.

Possono essere avanzate due obiezioni alla punizione dei “remote harms”. In primo luogo, essi generano un'eccessiva criminalizzazione (over-criminalisation), in quanto vietano comportamenti che non sono in sé per sé dannosi329.

In secondo luogo, il normale nesso di causalità sembra del tutto scollegato dalla responsabilità personale: nei “mediating interventions”, ad esempio, se la condotta è punita in vista di ciò che potrebbe portare a compiere altri, l’intervento volontario altrui dovrebbe allievare il soggetto principale dalla colpevolezza penale, e così dovrebbe essere il soggetto che ha posto in essere l’atto volontario ad essere punito.

L’altra obiezione è che la condotta non dannosa in sé per sé non dovrebbe essere punita penalmente, a meno che non sia accompagnata dall’intento di incoraggiare, assistere o commettere un reato. Ad ogni modo, si è optato per la

327 Si veda, a tal proposito J. SILVA SÁNCHEZ, L’espansione del diritto penale. Aspetti della politica

criminale nelle società postindustriali, Giuffrè, 2004, p. 94 ss.

328 J. FEINDBERG, Harm to others, cit., p. 225 ss. 329 A.P. SIMESTER – A. VON HIRSCH, op. cit., p. 70 ss.

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criminalizzazione di tali condotte perché necessaria laddove è in causa il benessere delle persone, nei casi in cui potrebbero essere causati enormi danni, se non esistesse alcuna previsione330.