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3. PIETRO GAMBACORTA: DALL’ESILIO ALLA SIGNORIA

3.1 I Gambacorta: dalla presa del potere all’esilio

Nel momento in cui cominciò a delinearsi la potenza della famiglia Gambacorta, i Raspanti, ormai al potere da alcuni anni, erano notevolmente indeboliti sia a causa della loro diminuita potenza economica, sia a causa degli sperperi e degli errori da loro commessi nella pubblica amministrazione. Lo stesso nome Raspanti derivava da “raspato”, in riferimento al fatto che avevano dilapidato e sperperato il denaro pubblico. Erano ormai un partito logoro e malfamato e in tutto l’ambiente cittadino, prima di tutto tra gli armatori e i mercanti, ma anche nella cittadinanza priva di un determinato schieramento politico, ma pronta, in casi come questo, a schierarsi da una parte o dall’altra determinando volta volta la vittoria di una pars o dell’altra, era forte il bisogno di rinnovamento e rafforzamento del governo tutto.

Non fu quindi difficile in un momento così critico per il partito raspante, l’ascesa di una forza nuova, quella dei Bergolini, capitanata dalla famiglia dei Gambacorta, e in primo luogo dai suoi membri Andrea e Francesco.

Tale famiglia, di origine contadina si inurbò probabilmente nel corso del Duecento, dedicandosi presto con molta energia al commercio e ai traffici specialmente con la Sardegna e con la zona di Napoli. Attraverso l’esercizio del commercio appunto i Gambacorta riuscirono ad arricchirsi, ponendo così le basi necessarie per il loro innalzamento tra le maggiori famiglie di Pisa ed arrivando presto ad esercitare un’azione politica importante. A partire dagli anni trenta del Trecento, i primi membri della famiglia Gambacorta fecero il loro ingresso nella magistratura degli Anziani e dei Consoli del mare. Il primo membro della famiglia a rivestire la dignità di Anziano fu Bonaccorso, nel

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Per il seguente capitolo sono stati utilizzati i lavori di P. SILVA, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa (1911) e M. TANGHERONI, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento (1973, 2002).

1297, seguito poi, alcuni mesi dopo nello stesso anno, da Gaddo e pochi anni dopo da Coscio.

Andrea Gambacorta fu però il primo membro veramente importante di questa famiglia e fermo rappresentante dell’andamento schiettamente filo- fiorentinizzante che la caratterizzava. A partire dal 1322 venne eletto Anziano per ben otto volte, poi nel 1333 fu insieme Anziano e Console del mare; nel 1343 venne incaricato di fissare i dazi che dovevano pagare le merci fiorentine alle porte di Pisa, nei casi controversi e nei casi in cui i gabellieri non fossero competenti.

Dopo che nel 1347 un tumulto popolare eliminò dal governo il partito Raspante, favorendo l’ascesa dell’opposto partito Bergolino, Andrea divenne uno dei maggiori rappresentanti di quest’ultimo e la sua posizione alla testa del governo giunse ad essere stabile e solida.

Nello stesso periodo era contemporaneamente iniziata la disputa tra Firenze e i Visconti e questi ultimi si preoccuparono subito di mandare a Pisa alcuni ambasciatori, chiedendo sostegno contro i nemici fiorentini. “Nel mille trecientocinquantaquatro25 l’arccivescho de’ Vechonti di Melano e signore, avendo avuto la signoria di Bologna e volendo esser in parte signore in Toschana, mandòe cierta quantità di cavalieri a la Scharparia per venire in ssullo contado di Firense. […] vedendo di non poter dannificare li fiorentini e avere sua intentione, mandò a Pisa suoi anbasciatori, li quali, giunti che ffunno a Pisa, funno ricievuti a grande onore e poi funno colli Ansiani e cogl’altri homini citadini che governnavano Pisa.”26 Dalla Cronaca anonima di Pisa emerge che il governo rifiutò nettamente la proposta viscontea, ma gli ambasciatori, insoddisfatti della risposta, chiesero che fosse convocato il Consiglio generale per decidere sulla questione. “Per la qual cosa li Ansiani e coloro che governavano a Pisa rispuosen loro che elli aveano pacie colli

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1353 secondo lo Stile Pisano.

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fiorentini e che lla voleano mantenere e di non voler fare contra le carte e promesse fatte per loro. E elli disseno che vvoleano lo populo a ditta risposta e lo Conssiglo a chiezza Maggiore, e a questo dimandonno per solicitudine e ‘npronttitudine e di cierti gentili homini e populani di Pisa, che disideravano volere novità.” 27 Il Consiglio Maggiore fu così convocato, ma anche in esso, i Gambacorta riuscirono a far rifiutare le proposte viscontee. “E insomma si vinse che lla guerra non ssi pigliasse. E così fue risposto a li ditti anbasciadori di non volere ronpere pacie a li fiorentini e di non volere far guerra contra loro, e colla ditta inbasciata si ritornonno li ambasciatori a Melano.” 28

I Visconti erano fermamente convinti di trovare in questo consiglio una posizione favorevole alle loro richieste, in quanto vi era una parte di cittadinanza ostile ai Fiorentini che avrebbe in questa occasione potuto far prevalere la propria volontà. In particolar modo le sette corporazioni regolarmente organizzate a Pisa: notai, fabbri, cuoiai, calzolai, pellicciai e vinai, ovvero la quasi totalità dell’artigianato cittadino che non traeva alcun vantaggio diretto dal passaggio delle merci fiorentine per Pisa e Porto Pisano. Era molto più probabile al contrario che ne ricevesse danno, dato che il libero transito favoriva lo sviluppo dell’industria fiorentina, con indebolimento conseguente per quella pisana. Inoltre i Visconti erano sicuri di trovare appoggio nei Raspanti che, dopo il rivolgimento del 1347, erano rimasti esclusi dalla vita politica e quindi desiderosi di ritrovare il perduto potere.

Considerando l’equilibrio piuttosto instabile che caratterizzava il momento, i Gambacorta dovettero lottare molto affinché la maggioranza della popolazione non acconsentisse all’alleanza coi Visconti e ad impedire quindi una lotta aperta con Firenze. Il loro impegno si concretizzò nell’assunzione della figura di mediatori nella pace tra Visconti e Firenze firmata nel 1353. Ma

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Cronica di Pisa, a cura di C. IANNELLA, p. 150, c. 84r.

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il loro successo fu di breve durata: appena due anni dopo, nel 1355, un altro fatto aggravò la già compromessa situazione del governo gambacortiano.

In questo anno giunse a Pisa l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, il quale fece rientrare in città gli esuli Raspanti e in tal modo i precedentemente citati artigiani fecero causa comune col gruppo raspante desideroso di vendetta. Il partito gambacortiano vide formarsi un agglomerato di forze contrarie e, sentendo che il potere stava ormai sfuggendogli di mano, ricorse all’azione violenta, sia contro i Raspanti sia contro l’imperatore stesso che ne aveva consentito il rientro a Pisa. Cercò di giustificare tali azioni facendo divulgare la voce che l’imperatore voleva ridare la libertà alla città di Lucca, recentemente conquistata dai pisani nel 1342.29

Nulla valse però l’inganno poiché gli artigiani rimasero indifferenti a tale voce e si schierarono quasi completamente coi Raspanti, che, con il sostegno di quest’ultimi, videro realizzato il loro sogno di rivincita e vendetta e il 28 maggio 1355 fecero decapitare sette dei capi del partito Bergolino, tra cui tre Gambacorta: Francesco, Lotto e Bartolomeo, con il sostegno dell’Imperatore. “..lo ‘nperadore a dì vinti otto di maggio preditto fecie dicapare in sulla piassa del Popolo di Pisa, rinpetto giù a ppiè de la schala de lo Palagio delli Ansiani del Popolo di Pisa, e funno sette homini citadini di Pisa delli maggiori | della loro setta, cioè de’ Berghulini, Francescho e Lotto e Bartalomeo Ganbacorta. Questi tre funno dicapati e funno seppelliti tutti e tre in della chieza de li frati minori di Santo Francescho rinpetto a lo altare loro Maggiore in della loro sepoltura in Pisa”.30 I superstiti di tale famiglia, tra cui

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Negli anni 1341 e 1342, una guerra vide opposte Pisa e Firenze in relazione al dominio su Lucca. Per il massiccio coinvolgimento di forze non toscane provenienti dall’Italia centro-settentrionale, che questa guerra vide, può essa essere collocata in una “prospettiva interregionale”: essa coinvolge infatti diverse forze e, rompendo gli equilibri del passato, finisce per costituire la base di quella che sarà una svolta definitiva negli anni successivi. Il trattato di pace con Pisa verrà firmato il 4 luglio 1342, un accordo durevole per quindici anni che prevedeva il rilascio dei prigionieri senza il pagamento di alcun riscatto, il presidio pisano della città con il controllo delle fortificazioni e dei castelli dell’Augusta, di Pontetetto e di Montuolo, il rispetto almeno formale dell’autonomia politica e amministrativa all’interno della cittò, l’abrogazione dei bandi emanati da entrambe le parti, la libertà di commercio tra i due Comuni. A riguardo cfr. Cronica di Pisa, a cura di C. IANNELLA, pp. 107 nota (191) e pp. 122 nota (209).

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Pietro, furono colpiti da un decreto di bando e dovettero prendere la triste via dell’esilio. “E Piero e Nicholao Ganbacorta e li altri Ganbacorta andonno a confine, a ssìe dimolti altri citadini di Pisa.”31

Ritornati al potere, i Raspanti, sia per i loro personali interessi, ma anche in reazione alla politica favorevole ai buoni rapporti con Firenze propugnata dall’opposto partito Bergolino, accentuarono la loro ostilità nei confronti di tale città. Ciò parrebbe dimostrare che tra i due partiti si fosse andato ormai a creare un vero e proprio odio, maturato e inasprito nella passate feroci contese. In tale occasione sembra proprio che i Raspanti godessero della sconfitta del proprio nemico, il quale era umiliato e impotente, i cui capi erano morti o in esilio, ed era impossibilitato a far qualsiasi cosa se non ordire congiure che però, una volta scoperte, venivano soffocate nel sangue.

A tal punto entusiasti per la loro riuscita vendetta e per il riacquistato potere, i Raspanti indirizzarono una vera e propria guerra contro Firenze, la quale però ebbe esito sfavorevole per gli stessi pisani, sia in mare, dove le galere pisane non solo non riuscirono a catturare le navi fiorentine cariche di merci dirette a Talamone, ma furono esse stesse catturate dalle galere avversarie; sia via terra dove risultò del tutto disastrosa per Pisa la sconfitta ricevuta a Cascina nel 1364.

A questo punto la cittadinanza, fortemente indebolita dalle sconfitte subite e dai costi della guerra, chiedeva a gran voce la pace cominciando ad allontanarsi da quello spirito antifiorentino che l’aveva fino a quel momento animata. La politica dei Raspanti aveva ormai subito una grossa sconfitta e per evitare una ormai quasi sicura rovina, essi ricorsero al rimedio tipicamente usato da tutti i partiti nei momenti critici: la figura del “dittatore”.

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