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La riforma del 1370 L’abolizione del Consiglio generale e la creazione dei Consigli dei Savi: i Quaranta ed i Settanta

4. IL COMUNE SIGNORILE DI PIETRO GAMBACORTA E LA

4.1 La situazione interna al nuovo governo e il rapporto con le istituzion

4.1.1 La riforma del 1370 L’abolizione del Consiglio generale e la creazione dei Consigli dei Savi: i Quaranta ed i Settanta

È stato utile delineare, seppure a grandi linee, la situazione generale nella quale versavano in quel periodo le istituzioni pisane per comprendere in maniera migliore quella che fu la riforma effettuata in questo campo da Pietro Gambacorta. Il 27 ottobre 1370, appena un mese dopo al sua nomina a signore, egli mostrò già la sua intraprendenza proponendo alcuni cambiamenti che andavano a tutti gli effetti a modificare la situazione precedente. Per prima cosa propose e fece approvare la virtuale abolizione del Consiglio maggiore e generale, motivando tale mozione col desiderio e la necessità di rendere più celeri gli affari, evitando così tutti gli oneri che derivavano dalla convocazione di tale Consiglio. È da notare, a dimostrazione ancora una volta della sua abilità di governare senza risultare una minaccia per le istituzioni comunali, che la proposta fu varata dal Consiglio degli Anziani: furono infatti essi a far approvare che tale Consiglio da allora in avanti fosse convocato solo in casi eccezionali, per esempio in caso di dichiarazioni di guerra o spedizioni armate. Per tutti gli altri casi, i poteri che erano stati in precedenza del Consiglio maggiore e generale, passavano adesso ai Consigli del Senato e della Credenza e degli Anziani.

Il secondo punto di questa riforma prevedeva che allo stesso tempo venissero istituiti due Consigli dei Savi: il primo composto da quaranta membri e il secondo da settanta (vennero poi denominati appunto i Quaranta e i Settanta): questi avevano il compito di esaminare e pronunciarsi intorno alle proposte da destinare poi al Consiglio degli Anziani e del Senato e della Credenza. Una volta che questi due Consigli dei Savi avessero espresso il loro giudizio e, solo e soltanto nel caso in cui questo fosse stato favorevole, allora la mozione passava anche agli altri Consigli che deliberavano anch’essi a riguardo. Le deliberazioni finali però, non potevano entrare in vigore senza aver ricevuto

prima la ratifica finale da parte del Consiglio del Popolo, che in definitiva aveva l’ultima parola. “..cum ratificatione Consilii pisani populi in omnibus et singulis factis et negotiis ac rebus pisani comuni et singularium personarum occurrentibus et exigentibus bayliam et potestatem Consilii maioris et generalis pisani comunis, habeant et habere possint et debeant pro comuni pisano totius plenitudinem potestatis..”66

Si nota immediatamente di che peso fosse la riforma effettuata in questo campo da Pietro Gambacorta: egli eliminava di fatto quello che era, fino a quel momento, uno dei Consigli più importanti per il governo cittadino; il Consiglio generale era infatti quello che più di ogni altra assemblea possedeva le caratteristiche di adunanza plenaria, giacché vi partecipavano rappresentanti di tutta la cittadinanza e quindi era ciò che meglio di ogni altro esprimeva la volontà popolare. Gambacorta, trasferendo quasi totalmente le sue funzioni ai Consigli del Senato e della Credenza e degli Anziani e limitando le sue convocazioni a casi eccezionali, di fatto eliminava quasi totalmente dalla scena politica tale Consiglio, tanto è vero che dopo il 1370 le sue convocazioni furono rarissime. Il fatto che un consiglio di tale peso potesse essere virtualmente abolito, va inquadrato nella generale situazione che si incontra solitamente nel periodo di passaggio da un governo comunale a uno signorile, e che è quindi riscontrabile anche in altre realtà cittadine. Tutti i governi personali in crescita avevano la tendenza a ridurre o, in alcuni casi, a distruggere completamente, quelle che erano le principali assemblee del popolo. La massa popolare, approvando mozioni indirizzate verso questa tendenza che, come nel caso pisano, eliminavano uno dei maggiori consigli popolari, dimostrava di non avere più che uno scarso interesse per la cosa pubblica. Questo avveniva solitamente dopo un periodo in cui lotte intestine avevano logorato i partiti e le forze in gioco erano affaticate: si creava così una situazione favorevole alla venuta di un regime oligarchico o anche

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signorile, che si elevava sulle istituzioni repubblicane mostrando di possedere quella forza necessaria per il recupero del Comune. Ciò avvenne appunto a Pisa che, stremata dalle lotte tra gli opposti partiti Bergolini e Raspanti e consumata dall’interno dagli anni di mal governo di Giovanni Dell’Agnello, era adesso pronta ad accettare il governo, e tutte le riforme che esso prevedeva, del Gambacorta, a tutti gli effetti sentito come il legittimo signore cittadino che tornava al suo posto per liberare il Comune da questa morsa di negatività in cui era caduto negli anni precedenti.

Il secondo punto della riforma riguardava i Savi, che in precedenza costituivano solamente una Commissione, mentre passavano adesso ad essere dei veri e propri Consigli. Difatti i Quaranta e i Settanta avevano la fondamentale caratteristica di essere Consigli stabili e continui, senza andare a perdere le proprie funzioni ogni qual volta la seduta fosse destituita: questo di fatto avveniva in precedenza con le Commissioni dei Savi, che avevano la caratteristica invece, di essere straordinarie e quindi volubili e provvisorie. Le Commissioni dei Savi restano in piedi anche durante il periodo gabacortiano, ma sono soltanto un mezzo di ordinaria amministrazione di cui il Gambacorta si serve per esercitare legalmente il potere, convocandole quando fosse necessario. I Consigli dei Quaranta e dei Settanta sono invece permanenti, hanno un numero fisso di membri e sono destinati ad esercitare un ruolo di sorveglianza e freno sugli atti di ordinaria amministrazione. Una della caratteristiche principali di questa riforma fu appunto quella di arrecare maggior peso decisionale ai Consigli dei Savi, chiamati adesso a presenziare e discutere sulle questioni più importanti riguardanti il Comune.

È adesso secondo me del tutto legittimo domandarsi per quale motivo il Gambacorta abbia deciso di conferire all’istituto dei Savi tanto potere decisionale. Se noi osserviamo le deliberazioni del Consiglio dei Savi negli anni di governo di Pietro Gambacorta, noteremo come egli stesso o, in sua assenza, suo figlio Benedetto presenziassero costantemente a tali Consigli;

così appunto si evince dalla formula che si incontra nelle provvisioni: “Providerunt infrascripti sapientes viri super his a dom. Antianis pis. Pop. Electi et in ali quorum ex ei set magn. militis dom. Petri Gambacurte Capitanei etc. presentia costituti.”67 Inoltre è da notare che, tra i Savi stessi, erano sempre presenti uno o più membri della famiglia Gambacorta. Tutto ciò non può che significare una costante e forte influenza della famiglia Gambacorta su tale istituto dei Savi: questo era probabilmente l’organo attraverso il quale il volere di Pietro si esprimeva. Vale la pena ancora una volta ricordare quanto l’abilità del Gambacorta possa essere sottolineata nella sua capacità di non eliminare le maggiori istituzioni comunali, ma di pilotarle stando “dietro” ad esse, senza far sentire il peso della sua personalità ed influenza e senza apparire una minaccia per gli organi comunali. Il Consiglio dei Savi fu l’istituto attraverso il quale la sua volontà meglio si espresse, naturalmente in maniera velata e non palese, ma appunto essendo egli o qualche suo familiare, sempre partecipe alle convocazioni di tale istituto. Poiché infatti nessuna legge fissava il numero dei Savi o regolava le modalità della loro elezione, essi venivano nominati di volta in volta e poteva succedere che più membri della stessa famiglia fossero nominati contemporaneamente o che uno stesso membro venisse rieletto più volte: era proprio questa la libertà che permetteva al Gambacorta e ai suoi familiari, di essere sempre presenti tra i Savi. Ciò non sarebbe stato al contrario possibile con la magistratura degli Anziani, che era regolata da rigide leggi che ne decidevano l’elezione e vietavano, per esempio, che fossero in carica due membri di una stessa famiglia o che un membro fosse rieletto per due anni consecutivi. In tal caso, per presenziare sempre al Consiglio degli Anziani, Pietro avrebbe dovuto effettuare una riforma di quelle leggi che regolavano l’elezione dei suoi membri, ma ciò sarebbe sicuramente apparso come una minaccia dato che

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ASP Comune A, Reg. 67, e segg. in P. SILVA, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa (1911), p. 90, nota 2.

quelle leggi risalivano all’epoca della piena libertà comunale ed erano quindi care alla tradizione cittadina. Per non urtare tale attaccamento e non risultare un pericolo, il Gambacorta decise quindi di appoggiarsi all’istituto dei Savi, le quali norme di elezione e partecipazione non dovevano essere modificate essendo più libere, e fu proprio in conseguenza di ciò che l’importanza di tale istituto fu accresciuta notevolmente. Da notare è anche che proprio il Collegio dei Savi si occupava dell’elezione degli Anziani: in questo modo Pietro poteva far sentire la sua influenza tanto sui Savi, che sugli Anziani che da questi erano eletti. Non ci stupiremo quindi di notare quanto le convocazioni dei Savi nel periodo gambacortiano fossero frequenti: era proprio questo l’istituto sul quale si basava la signoria di Pietro e attraverso il quale egli dirigeva la vita governativa cittadina.