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4. IL COMUNE SIGNORILE DI PIETRO GAMBACORTA E LA

4.1 La situazione interna al nuovo governo e il rapporto con le istituzion

4.1.3 Pietro Gambacorta: un regolare pubblico magistrato?

Abbiamo già sottolineato quanto effettivamente Pietro Gambacorta fosse il capo concreto e quindi signore del Comune. Tuttavia egli non possedeva nessuna di quelle caratteristiche tipiche di un governante autoritario, che si impadronisce dello stato modificandone le istituzioni o distruggendole e concentrando tutto il potere nelle proprie mani. Le apparenze rimanevano intatte: le istituzioni comunali continuavano a funzionare regolarmente e Pietro Gambacorta esercitava il suo potere in maniera del tutto legale. Come abbiamo visto infatti, l’organo attraverso il quale la volontà del Gambacorta meglio si esprimeva, era il consiglio dei Savi. Come possiamo osservare nel documento da me trascritto in appendice: “capitaneus et dominus generalis masnade ab equo et pede pisani comunis habite et habende, et custodie cvitatis pisani eiusque comitatus, fortie et districtus nec non defensor pisani populi et compagniarum ipsius populi”68 . Pietro Gambacorta riceveva così il titolo di Capitano delle masnade, Capitano di custodia e Defensor pisani populi et compagniarum, cariche che egli rivestiva per conferimento della

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cittadinanza e con la quale veniva comunemente designato e che erano cariche esclusivamente militari e guerresche: da esse egli non riceveva alcun potere di autorità, tale da poter interagire nella gestione degli affari interni dello Stato. È da notare anche che, nel momento della sua nomina, Pietro riceveva uno stipendio annuo fissato inizialmente, nel 1370, alla cifra di L.10,000 di denari pisani esenti da ogni gabella ed imposta. Questo fu poi aumentato negli anni seguenti: nel 1372 l’aumento fu di L. 4120 soldi 3 denari 6, per le spese di rappresentanza e nel 1379 ricevette un ulteriore supplemento di 2000 fiorini per le spese forensi. Pietro Gambacorta era quindi effettivamente stipendiato come un pubblico magistrato al servizio del Comune e gli organi comunali pagavano regolarmente per il suo servizio. È questa un’ulteriore riprova di come il Gambacorta fosse attento a mantenere intatte le apparenze esterne: egli non si presentava come il padrone dello Stato che incarna in sé tutti poteri e che dispone a suo piacimento delle finanze pubbliche, ma era esteriormente un semplice funzionario statale che esercitava regolarmente le sue funzioni e per questo veniva stipendiato.

Le uniche volte in cui possiamo notare che la persona di Pietro Gambacorta venisse effettivamente riconosciuta come quella di vero capo del governo pisano, era nei rapporti esteri con gli altri stati: egli infatti si occupava di nominare gli ambasciatori e stabilire i loro compiti e stipendi quando era necessario interagire con altri Comuni; le lettere provenienti da altre città erano indirizzate, oltre che agli Anziani, anche a Petrus de Gambacurtis capitaneus et populi pisani defensor, o, altre volte indirizzate a lui personalmente.

Possiamo quindi insistere ancora una volta sulle grandi capacità di Pietro Gambacorta nel sapersi mantenere apparentemente abbastanza distante dagli organi di governo comunale, così da non apparire una minaccia di dispotismo. L’autorità era concessa a Pietro soltanto temporalmente e personalmente da quelli che di diritto, in nome dello Stato, ne erano i

possessori: gli Anziani. Essi soltanto assegnavano i poteri che abbiamo visto al Gambacorta, e ne garantivano la piena legalità, in quanto Pietro appariva da loro designato e al loro servizio come funzionario statale.

Un’ulteriore osservazione ritengo importante che vada fatta per quanto concerne l’elezione del figlio di Pietro, Benedetto Gambacorta. Quando suo padre, nel 1374, si ammalò gravemente e sembrava essere vicino alla morte, i capi del partito Bergolino decisero di premunirsi e nominarono Benedetto vicario e successore di Pietro, in caso di morte del padre. Così riferisce Ranieri Sardo nella sua cronaca: “Piero Ghanbachorta […] era in pericholo della persona, in chaso di morte – per la quale chosa sabato, a dì 18 di febraio 137269, chavati che furono gli anziani nuovi, in sull’ora di nona, a ccha’ del predecto missere Piero Ghanbachorta andorono molti cittadini, […] et quivi, proposto lo stato gravoso in che misser Piero Ghanbachorta si era et che provedessino quello fussi da ffare, si prese lo partito d’andare a palazo a’ singniori anziani; et quivi i predecti cittadini, andati agli anziani, in nella sala grande del chonsiglio, ciò è, del popolo, si vennono gli anziani tucti et a lloro, Lorenzo di Bindaccio, chome priore, disse lo chaso in che missere Piero era; che lloro domandavano consiglio di quello pareva loro di quello s’avessi a ffare. Di che si levò suso domino Simone da Sanchasciano et disse gli pareva di fare missere Benedecto Ghanbachorta, figliuolo di missere Piero sopradecto, chapitano chome proprio lo padre. Vivendo lo padre, fusse suo vichario, et se e’ morisse fusse chapitano egli.”70

L’elezione di Benedetto ebbe inizialmente carattere temporaneo ma l’anno successivo, nel 1375, fu riconfermata. Come sappiamo, Pietro Gambacorta non morì in quell’occasione ma Benedetto rimase comunque suo vicario e coadiutore per tutto il tempo del governo gambacortiano. Credo sia importante

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Come ha già fatto notare O. BANTI nella sua edizione della Cronaca di Pisa di R. Sardo, risulta esatta la data del giorno e del mese, mentre è sbagliato il millesimo che dovrebbe essere 1374. Si tratta probabilmente di un errore dell’ amanuense.

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notare, come questa elezione preparasse in un certo modo la via per garantire continuità al governo del Gambacorta. Era tendenza generale, anche in altre signorie del territorio italiano, nominare vicari e coadiutori i propri figli o familiari stretti, per cercare di rendere la carica ereditaria, fissando così la famiglia ai ranghi del potere cittadino. La particolarità in questo caso, fu che l’elezione di Benedetto non fu voluta, almeno in apparenza, direttamente da suo padre Pietro, ma fu proposta, discussa e approvata dal consiglio degli Anziani. Questi, solamente a decisione presa, comunicarono la sentenza all’interessato che giurò poi davanti agli Anziani stessi e a molti cittadini pisani: “Di che sere Iachopo d’Apiano, chome chanciellieri degli Anziani, et Andrea Ghallecto vennono a chasa di misser Piero ad arrechare al dicto Benedecto la letione, et dierogli lo saramento sulla loggia presente assai cittadini, e degli l’aciettò et gurò, et poi andò a palazzo et quivi, al parlamento degli anziani chon tucti quegli del chonsiglio, ser Franciescho di Vichore chanciellieri del chomune diede lo saramento al decto Benedecto, et degli lo prese e giurò l’uficio in presenza de’ singniori anziani et del chonsiglio, et di molti cittadini pisani.”71

L’elezione fu quindi voluta dal collegio degli Anziani e, vale la pena sottolinearlo, è questa un’ulteriore conferma del fatto che, giuridicamente, la fonte del potere comunale, fosse ancora l’assemblea degli Anziani. Quando questi elessero Pietro Gambacorta il 23 settembre 1370, riconobbero sì la sua autorità ma, non rinunciarono certo ai loro diritti, meno che mai a quello di poter trasmettere il potere personale di Pietro ai suoi eredi. Quindi, se l’autorità di Pietro era stata a lui assegnata personalmente - ovvero esclusivamente alla sua persona – adesso erano nuovamente gli Anziani a poterla conferire, ancora una volta personalmente, a suo figlio. Il fatto che l’elezione provenisse dagli Anziani era garanzia di legittimità della nomina, ma, tutto questo, ricordiamolo un’altra volta, era solo apparenza: Pietro

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lasciava una certa libertà di azione al collegio degli Anziani così che tale assemblea potesse rimanere in piedi come simbolo di maggiore autorità cittadina, ma di fatto, l’abilità del Gambacorta fu proprio quella di saperla indirizzare verso i propri interessi.

La nomina del figlio Benedetto può essere inquadrata come facente parte di un altro metodo adottato da Pietro Gambacorta per assicurarsi un solido controllo delle istituzioni comunali: l’accentramento delle maggiori cariche pubbliche nella mani, oltre che della sua persona, anche dei membri della sua famiglia. Benedetto non fu infatti il solo a ricevere cariche importanti: in questo modo il Gambacorta si assicurava un contorno stabile di fedeli collaboratori. Suo figlio Benedetto fu appunto nominato vicario e coadiutore, e, dopo aver ricevuto tali nomine, cominciò a partecipare attivamente alla gestione dello Stato. Innanzitutto condusse e portò a termine positivamente, una spedizione diretta a placare una rivolta scoppiata a Piombino del 1375 per opera del partito Raspante: dopo tale impresa il padre lo premiò armandolo solennemente come cavaliere: “A dì XVI ditto mese (aprile), la domenica mattina, si fé cavaliere per mano di messer Piero Gambacorta suo padre il ditto messer Benedetto […]. E il ditto dì messer Piero Gambacorta fece un solenne e grandissimo desinare.”72

In secondo luogo Benedetto si occupò degli affari pubblici e spesso appariva nelle adunanze dei Savi e alle elezioni ufficiali, facendo le veci del padre. In altre occasioni era ambasciatore, anche in situazioni difficili e complesse, finché, nel 1389, quando il padre dovette recarsi alla corte di Gian Galeazzo Visconti, egli prese effettivamente la testa del governo: in questa occasione mostrò palesemente le sue capacità dando un’impronta molto decisa alla sua gestione del potere, soprattutto partecipando in modo esplicito e manifesto alle deliberazioni degli Anziani.

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Oltre a Benedetto, un altro figlio di Pietro acquistò in Pisa una notevole posizione pubblica: Andrea Gambacorta. Come il fratello, anch’egli fu più volte ambasciatore e venne rivestito della dignità cavalleresca, stavolta per mano di Gian Galeazzo Visconti. Inoltre, cosa che invece il fratello non aveva ricevuto, Andrea fu nominato Soprastante alle masnade, carica che aveva già rivestito il padre prima di giungere alla signoria.

Oltre ai figli di Pietro Gambacorta, è bene ricordare anche i membri dell’altro ramo di questa famiglia, ovvero il fratello Gherardo e i suoi figli Lotto, Priamo e Ranieri.

Gherardo Gambacorta fu Anziano nel 1369 e fu insignito del titolo di “vicecomes Montisvasi et totius vicecomitatus pisani Archiepiscopatus” e amministratore dei beni della mensa arcivescovile, nel 1380. Suo figlio Lotto, fu eletto nel gennaio 1381 Arcivescovo di Pisa da Urbano VI, pur essendo ancora molto giovane e in possesso dei soli ordini minori. Egli non fu un buon prelato e sottopose a grandi aggravi il clero pisano, mantenendo atteggiamenti arroganti e prepotenti: quando il governo dello zio Pietro precipitò nel 1392, egli abbandonò in fretta la città, per non essere catturato dai cittadini che avevano detestato la sua supponenza. Anche Priamo non si distaccò certo per il suo buon carattere: era anch’egli violento e bellicoso, tanto che non si peritò, quando ne ebbe l’occasione nel luglio 1390, a suscitare un tumulto armato a Pistoia, provocando lo sdegno dei pistoiesi stessi e dei fiorentini.

Ranieri fu però il peggiore dei figli di Gherardo Gambacorta. Egli non limitò in alcuna maniera i suoi eccessi, arrivando addirittura a uccidere un pubblico ufficiale a Pisa: una volta allontanato per questo delitto, non rispettò il bando ma continuò ad andare e venire liberamente da Pisa. Nessun magistrato osava fermarlo poiché era il nipote del tanto stimato Pietro Gambacorta e Ranieri, a conoscenza di ciò, approfittava della libertà che tale nome gli portava. Così racconta la Cronaca di Pisa: “El ditto messer Ranieri era anco sbandito del Comune di Pisa, però ch’elli con alquanti fecie ucidere uno uficiale del

Comune di Pisa. Ma perché lo ditto messer Ranieri era nipote del ditto messer Piero e ssì era dello stato de’ Berghulini in Pisa lo quale reggiea allora in Pisa, sìe ‘l ditto messer Ranieri andava e venia per quello di Pisa al suo benepracito, e non era uficiale nessuno del Comune di Pisa li ponesse mano adosso per amo di messer Piero.”73

Tra i suoi numerosi eccessi, Ranieri arrivò addirittura ad armare una galera acquistata a Napoli per penetrare con essa nel Porto Pisano, dove depredò alcune navi pisane. “Essendo giunto in porto colla ditta galea, e’ rubbòe alquante barche di forestieri e di pisani e none osava nimo lamentarsi. E possa lo ditto messer Ranieri si partitte e andonne in conserva con due galeie di messer Otto di Brozvichi ch’erano tornate da Napuli e andonne a Vignone.”74 La sua condotta risultò tanto grave che, seppur tollerata, finì col gettare discredito sull’intera famiglia Gambacorta, e su Pietro in particolare. Ancora una volta ci è utile la Cronaca: “E per questa cagione, e ssì delli altri fratelli che facieano dimolte cose sconccie, venne molto inn odio a li citadini di Pisa messer Piero Gambacorta:”75

Mentre i due figli di Pietro Gambacorta, Benedetto ed Andrea, si erano quindi distinti per buona condotta, lo stesso non può essere detto per il ramo familiare del fratello Gherardo. I suoi tre figli, approfittando della stima di cui godeva a Pisa il nome dello zio Pietro, si lasciavano andare ad eccessi e sfrenatezze, sicuri di essere tutelati dal proprio cognome. Questo finì per ritorcersi contro a Pietro in quanto, questi comportamenti inconsulti finirono per risultare pesanti per le istituzioni comunali e per la cittadinanza tutta, stanca di tale sopraffazioni. È bene sottolineare questo fatto perché contribuirà anch’esso a spiegare la caduta del governo gambacortiano nel 1392.

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Cronica di Pisa, a cura di C. IANNELLA, p. 345, c.277 r.

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Cronica di Pisa, a cura di C. IANNELLA, p. 345, c.277 v.

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