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Per concludere adesso la descrizione dell’attività compiuta da Pietro Gambacorta nei suoi anni di governo a Pisa, è utile compiere una breve enunciazione di quelli che furono i suoi provvedimenti presi in politica estera e quali furono le cause, strettamente politiche, che decretarono la sua caduta. In politica estera il Gambacorta mirò a far svolgere a Pisa un ruolo di mediazione fra le potenze italiane, curando sempre e comunque la neutralità del Comune pisano e mantenendo in ogni modo il rispetto di quelli accordi di collaborazione e non belligeranza stretti con Firenze fin dall’inizio della sua carriera politica. In linea generale si può affermare che il suo governo rappresentò per Pisa un lungo periodo di pace. Quando, nel 1388, si riaprirono i conflitti tra Firenze e Milano, guidata dal duca Gian Galeazzo Visconti, il Gambacorta decise di non aderire alla lega antiviscontea promossa dai fiorentini, mantenendosi al di sopra delle parti e cercando in più modi di riavvicinare i due inconciliabili avversari. Per raggiungere tale proposito il Gambacorta manifestò anche il desiderio di recarsi di persona a Pavia per vedere d’appianare il dissidio molto forte tra il Conte di Virtù e i fiorentini. Furono questi ultimi ad esortarlo a non effettuare tale pericoloso viaggio, poiché temevano che potessero crearsi pericolosi rivolgimenti in Pisa nel momento in cui Pietro fosse stato assente. La Signoria fiorentina continuava a mostrare forti sentimenti di amicizia nei confronti del Comune pisano e Pietro continuava ad essere fedele alla sua politica di lealtà a questa città. Contemporaneamente però, Gian Galeazzo Visconti si prodigava nei più disparati tentativi per accattivarsi il sostegno del Gambacorta che però non ottenne mai, riuscendo invece nell’intento di rafforzare l’attività di un nucleo visconteggiante a Pisa, guidato soprattutto dalla persona di Jacopo d’Appiani, che si mostrava appunto aperto fautore dei Visconti. Nell’aprile – maggio

1390 Firenze e Milano si lanciarono le reciproche sfide, dando inizio a quel conflitto che Pietro Gambacorta aveva invece sognato di evitare. Lo scoppio di tale guerra provocò a Pisa un ulteriore rafforzamento del partito filo visconteo opposto al Gambacorta e, si può con sicurezza affermare che tale conflitto, costituì un decisivo smacco alla politica gambacortiana indebolendone il governo.

Pietro Gambacorta rimaneva fermamente convinto che la posizione migliore da mantenere fosse quella di assoluta neutralità, poiché permetteva a Pisa di rimanere in rapporti tanto con Firenze che col Conte di Virtù, perciò è evidente la sua cura di non procurare accordi né con l’una né con l’altra parte. La guerra in atto però, che si combatteva sui campi di Toscana, poiché coinvolgeva anche Siena e Perugia, alleate del Visconti, era causa di gravi danni materiali per i pisani, perché molto spesso le milizie combattenti oltrepassavano i confini e finivano per scontrarsi sui territori pisani, che, come abbiamo visto in precedenza, erano già di per sé molto deboli. Questo fatto ebbe come conseguenza fondamentale il far aumentare a Pisa il numero di coloro che, scontenti e logorati da tale situazione, mormorarono sempre più malamente contro il contegno del governo, addossandogli la colpa dei danni e dei pericoli a cui la città era esposta. Il mantenimento di una posizione di neutralità assoluta, si rivelò quindi essere un contegno assai pericoloso poiché, da una parte Pisa non poteva direttamente ricevere aiuti da Firenze in caso di difficoltà, dall’altra, rifiutando continuamente le proposte di alleanza del Visconti, accentuava il rancore di quest’ultimo e aumentava il malcontento del partito visconteo a Pisa, che ormai era molto forte e faceva ben sentire la sua voce. Nell’agosto 1391, le truppe del Conte di Virtù giunsero in Toscana e l’arrivo di queste ultime ebbe come naturale effetto che in tutto il territorio toscano, gli elementi visconteggianti crebbero di numero e di audacia. Il potere di Pietro Gambacorta sempre più si indeboliva precipitando verso la rovina mentre egli, ostinatamente, proseguiva nel mantenimento della sua

neutralità. Le uniche energie che il governo gambacortiano dimostrava ancora di avere, erano quelle utilizzate nel respingere bruscamente ogni insistente tentativo di alleanza da parte di Gian Galeazzo Visconti. Per il resto, il Gambacorta e i suoi collaboratori, conservavano un contegno passivo, provocando grande timore tra i fiorentini i quali avevano paura che tale condotta potesse dare sbocco a quale decisivo sconvolgimento a Pisa. Vari tentativi di congiura furono portati avanti dal partito visconteo pisano, capitanato da Jacopo Appiani: il più forte di questi, nel giugno 1392, fu scoperto in tempo e sventato ma, Pietro Gambacorta, con grande stupore dei fiorentini, si limitò a punire in maniera molto mite i colpevoli. Questo atteggiamento di pacatezza doveva a tutti gli effetti provenire dallo stato di forte indebolimento ed impotenza a cui era giunto il governo gambacortiano, ormai prossimo a dover accettare la totale rovina della propria politica tanto estera che interna.

Per mostrare in maniera più chiara quali furono le cause di questo fallimento, è utile ripercorrere i punti fondamentali dell’attività politica gambacortiana.

La politica finanziaria non era riuscita a risollevare le misere condizioni dell’erario pubblico e Pisa continuava a trovarsi a tutti gli effetti in una situazione di arretratezza economica, dove le classi subalterne erano quelle che maggiormente ne subivano le conseguenze. La politica perseguita nei confronti del contado non aveva raggiunto risultati migliori giacché le condizioni, ivi già poco floride, erano state ulteriormente aggravate dagli ultimi anni di guerra tra il Visconti e i fiorentini. Lo spopolamento continuava ad essere una rovinosa piaga che toccava tanto gli abitanti del contado, quanto quelli della città. E tutto ciò accadeva nonostante il governo gambacortiano avesse preso tutte le cure possibili per evitarlo, emanando provvisioni di vario tipo e cercando di contrastare in qualsiasi maniera questo indebolimento generale del Comune pisano. A completare questo quadro, si aggiungeva il

fallimento totale in politica estera: l’atteggiamento assunto da Pietro Gambacorta di totale neutralità nel momento dello scontro tra Firenze e i Visconti, risultò per lui fatale. Gian Galeazzo Visconti finì per avversare in maniera totale il Gambacorta, dato che questi rifiutava le sue continue proposte di alleanza; i fiorentini però non potevano prendere completamente le parti di Pietro e difenderlo, poiché egli non si era nemmeno dichiaratamente alleato con loro. Da questa situazione finì per uscirne rinforzato il partito visconteo pisano, il quale attraeva a sé soprattutto quella massa di artigiani che non aveva alcun legame d’interesse con Firenze, e quel gruppo di persone prive di un determinato schieramento politico che decidevano adesso di stringersi attorno a Jacopo d’Appiano e ai suoi adepti, dando vita a sempre più frequenti tumulti antifiorentini. Il partito visconteo si metteva quindi in maniera sempre più risoluta contro il governo, recuperando e attirando a sé anche quei residui del partito Raspante che anni addietro era stato apertamente opposto al partito del Gambacorta. Il governo gambacortiano era ormai troppo indebolito e, nonostante i ripetuti e frequenti consiglio dei fiorentini che spingevano Pietro a far eliminare dalla scena gli avversari, l’opposizione era ormai tanto forte, grazie anche all’appoggio di Gian Galeazzo Visconti, da risultare praticamente impossibile una energica repressione.

La situazione per Pietro Gambacorta si aggravò ulteriormente quando, nell’agosto 1392, egli si ammalò, lasciando la direzione del governo al figlio Benedetto. Nonostante la malattia Pietro continuò a influenzare la politica del figlio, che indirizzò verso un ulteriore tentativo di riconciliazione tra le potenze in guerra. La prima causa del grande potere acquistato dai Visconti in Toscana era stato il forte dissidio scoppiato tra Firenze e Siena, che aveva spinto i cittadini di quest’ultimo Comune a cercare l’appoggio del Conte di Virtù, permettendo quindi ai Visconti la creazione di una solida base in questa regione. Pietro Gambacorta intuì che la maniera migliore per eliminare dalla zona toscana la presenza di Gian Galeazzo Visconti, fosse il raggiungimento

di una riconciliazione definitiva e sincera tra Firenze e Siena: si adoperò pertanto tramite il figlio Benedetto per il raggiungimento di questo scopo. La notizia di questi tentativi volti al riavvicinamento tra le due città non fece che inasprire ulteriormente la posizione di Gian Galeazzo Visconti nei confronti di Pisa, già di per sé molto labile, provocando la sua ira e un forte risentimento. Si può quindi affermare che i tentativi dei Gambacorta per riconciliare Firenze con Siena, che risultarono poi fallimentari non raggiungendo i loro scopi, abbiano dato l’ultima spinta a quel movimento di opposizione già profondamente in crescita, e che finì per travolgerli in maniera definitiva. Infatti, Jacopo d’Appiano e suo figlio maggiore Vanni, che avevano ormai conquistato un forte ascendente sulla popolazione pisana, approfittarono ulteriormente di questa situazione e maturarono un colpo di stato che il 21 ottobre 1392 spodestò definitivamente la famiglia Gambacorta dal governo della città. È più che lecito supporre che dietro questo colpo di mano ci fosse una diretta partecipazione del Conte di Virtù: pur non avendone le concrete prove, è ipotizzabile che fosse lui stesso a guidare i movimenti rivoluzionari dell’Appiano. A confermare questa ipotesi vi è il fatto che, Jacopo d’Appiano, una volta effettuato il colpo di stato e preso egli stesso il posto dei Gambacorta prendendo in mano le redini della vita politica pisana, cominciò una politica decisamente antifiorentina portata avanti grazie anche alla continua protezione di Gian Galeazzo Visconti. È ben credibile quindi l’ipotesi che ci fosse già uno stretto legame tra i due uomini ben prima del colpo di mano e che il Conte di Virtù fosse stato proprio lui il primo ispiratore e il complice della rivolta. Il 21 ottobre 1392 fu quindi il giorno che segnò questo decisivo cambio politico a Pisa. Da notare fondamentalmente sono due aspetti. Prima di tutto il carattere antifiorentino della rivolta, nella quale i mercanti fiorentini furono assaliti e derubati: l’insurrezione contro la famiglia Gambacorta fu proprio contro il carattere fiorentinizzante della loro politica, tant’è vero che il governo successivo si improntò poi verso un movimento di tendenza

completamente opposta in politica estera. In secondo luogo è da notare la debole o quasi inesistente resistenza mostrata alla rivolta dal partito gambacortiano: era questo ormai completamente alla deriva e non possedeva più forze residue per controbattere. Durante il tumulto di questa giornata fu innanzitutto ucciso Giovanni Lanfranchi, uno dei più eminenti membri del partito gambacortiano e da sempre nemico dell’Appiano. Questo fatto spaventò a tal punto Pietro Gambacorta che quest’ultimo si prodigò a raccogliere speditamente le proprie masnade e, aiutato dai figli Lorenzo e Benedetto, cercò di affrontare come poteva le milizie rivoluzionarie sul ponte di Mezzo e in altri punti cardine della città. La resistenza fu però breve: le milizie gambacortiane si ritirarono nel giro di poco, Benedetto e Lorenzo, gravemente feriti furono poi fatti prigionieri e morirono poi nel giro di pochi giorni, Pietro Gambacorta fu ucciso e gli altri membri della famiglia si diedero alla fuga. Così, in un giorno soltanto, si concluse in tragedia un governo durato più di ventitre anni, che era stato caratterizzato da una politica schiettamente fiorentinizzante, dalla quale la successiva direzione cittadina si affrettò ad allontanarsi con un brusco cambiamento di rotta. Le relazioni tra Pisa e Firenze erano ormai destinate a modificarsi abbandonando quella pacifica collaborazione che le aveva caratterizzate lungo tutto il periodo di governo di Pietro Gambacorta.