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4. IL COMUNE SIGNORILE DI PIETRO GAMBACORTA E LA

4.3 Il rapporto col contado

Abbiamo fino a questo momento osservato quali siano stati i provvedimenti presi da Pietro Gambacorta nei confronti prima, delle istituzioni comunali e, in secondo luogo nei confronti della civitas. Sono stati evidenziati i suoi interventi in ambito politico, volti soprattutto a risollevare Pisa dalla grave situazione di inferiorità e marginalità in cui era caduta negli anni direttamente precedenti al governo gambacortiano, indebolita dalle guerre, dalle devastazioni delle compagnia di ventura, dalle lotte continue tra i due partiti avversi e dal mal governo del Doge Dell’Agnello. Abbiamo evidenziato in quale modo Pietro abbia portato avanti interventi in materia di recupero economico – finanziario per favorire l’eliminazione del debito pubblico e come abbia dato una nuova spinta allo sfruttamento di Porto Pisano. Infine è stata posta l’attenzione sui metodi di cattura del consenso portati avanti da Pietro per favorire la creazione di un sentimento di unità civica, di cui la sua figura di signore doveva essere il punto cardine. Per completare quest’analisi riguardante i provvedimenti presi nei vari settori della vita cittadina dal governo gambacortiano, portiamo adesso all’attenzione gli interventi intrapresi nei confronti del contado, ovvero di tutti quei territori situati nel circondario pisa facenti capo alla giurisdizione comunale.

Innanzitutto è da notare che, all’inizio del governo di Pietro, Sarzana, precedentemente sottoposta a Pisa, fu occupata dai Visconti e, come abbiamo visto in precedenza, Lucca fu liberata dall’imperatore Carlo IV: questo comportò una notevole diminuzione dell’estensione del contado pisano. Gli

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Le informazioni riguardanti questo paragrafo sono state ricavate da P. SILVA, “Il governo di Pietro

abitanti del contado avevano inoltre dovuto subire numerose guerre e costanti attacchi da parte delle compagnie di ventura, che li avevano duramente messi alla prova: prima le milizie di Carlo IV, poi quelle di Bernabò Visconti, infine quelle di Giovanni Dell’Agnello e dell’Acuto. Ogni volta che uno di questi eserciti attaccava i territori pisani, gli abitanti del contado erano costretti a interrompere qualsiasi loro attività ad abbandonare le proprie abitazioni per rifugiarsi in luoghi fortificati e più sicuri. Tutto ciò comportava un notevole danno per l’economia agricola, e di conseguenza, anche per quella cittadina che ad essa era legata, dato che ogni attività lavorativa si fermava a tali territori potevano restare inoperosi anche per periodi piuttosto lunghi. I più danneggiati però risultarono essere gli abitanti di quelle terre dove non esistevano fortificazioni per potersi rifugiare. Per questo motivo, già dal 1370, anno in cui ripartirono le milizie di Bernabò Visconti e di Giovanni Dell’Agnello, gli abitanti del contado pisano diedero vita a un vasto movimento di costruzione di roccaforti. Nel giro di pochi mesi molte rocche furono costruite ex-novo e molte altre, già esistenti, vennero rafforzate. A volte erano gli stessi abitanti del contado a prendere l’iniziativa chiedendo il permesso al governo centrale per costruire fortezze, altre volte era l’amministrazione centrale stessa a ordinare l’innalzamento di nuove fortificazioni. Uno degli atti fondamentali portati avanti già dal primo governo gambacortiano nei confronti del contado, fu appunto questa spinta all’incastellamento, che veniva agevolata notevolmente concedendo opportuni alleviamenti di gabelle per incoraggiare ed aiutare gli abitanti del contado. Gli aiuti concessi dall’autorità centrale consistevano solitamente in sussidi pecuniari o, e più spesso, in esenzioni per un determinato periodo di tempo da certe gabelle che al governo competevano direttamente. Questo slancio verso la costruzione di nuove roccaforti fece comparire nel contado pisano un grande numero di nuove rocche e castelli nuovi, o rafforzati, che si rivelarono

decisamente molto utili nel momento in cui successive invasioni delle compagnie di ventura attaccarono nuovamente questo territorio.

Un’altra questione fondamentale che il governo gambacortiano si trovò a dover fronteggiare già dalla sua prima fase, fu il grave spopolamento, provocato dalle guerre e dai saccheggi che avevano rovinato la vita commerciale del contado e i terreni agricoli, e che minacciava di colpire non solo gli abitanti delle zone rurali, ma anche la popolazione cittadina. I primi sintomi di questa problematica comparsero già dai primissimi tempi del governo gambacortiano tanto che, già nel 1369, gli Anziani decisero di stabilire esenzioni di tasse ed altre agevolazioni per tutti quei forestieri che si fossero recati ad abitare in determinate località del contado con l’intento di ripopolarle: tra queste ricordiamo Peccioli, Vada, Montecalvoli e Ghezzano. Nonostante tali interventi, nel settembre dell’anno successivo, proprio quando Pietro Gambacorta veniva nominato signore cittadino, nuove minacce di spopolamento andarono a preoccupare ulteriormente il governo. Ancora una volta gli Anziani cercarono di risolvere la situazione emanando due importanti provvedimenti. Il primo di questi aveva carattere generale: riguardava infatti tanto il contado quanto la città, ed era rivolto a richiamare da altre zone, sia persone indigene sia cittadini pisani che erano andati a vivere altrove. A tutti costoro il governo centrale pisano prometteva immunità, esenzioni dagli oneri reali e personali ed altri vantaggi per una periodo di dieci anni. Infine era stabilito che gli immigrati nel contado pisano, potessero ivi esercitare qualsiasi arte o mestiere senza dover pagare tasse alle locali corporazioni artigiane. Il secondo provvedimento era riferito invece soltanto al contado: i gravi danni subiti in tutto il territorio, la perdita dei raccolti e la devastazione dei terreni agricoli, avevano tra le altre cose provocato lo scoppio di gravi conflitti d’interessi tra i proprietari e i conduttori dei fondi, dato che questi ultimi erano in serie difficoltà per quanto riguardava il pagamento degli affitti. Il governo centrale vedeva in questa problematica la causa principale per cui i contadini

emigravano in altri territori, determinando un grave spopolamento nel contado pisano; per questo motivo decise di intervenire in questo contesto. Fu creata un commissione governativa appositamente eletta con l’incarico di risolvere questi conflitti d’indole privata, cercando di comporre in maniera amichevole e il più celere possibile le liti e le questioni tra proprietari ed affittuari.

Tali provvisioni mostrano l’effettiva preoccupazione del governo centrale pisano nei confronti del pericolo dello spopolamento del contado e lo zelo con cui le amministrazioni stesse prontamente si attivarono per combatterlo e contrastarlo, invogliando cittadini, pisani e non, a spostarsi in queste zone per ripopolarle. Naturalmente, il governo si preoccupava anche di favorire la ripresa delle normali attività rurali e commerciali del territorio del contado che erano state bruscamente interrotte dall’avvento delle compagnie di ventura. Per questo motivo, con due decreti datati 8 ottobre 1370, gli Anziani ordinavano l’istituzione di due mercati settimanali nel contado: uno a Ponsacco e l’altro nella località chiamata il Mercato delle Mosche presso Cascina. In questo modo tutti gli abitanti del territorio avevano la possibilità di incontrarsi due giorni a settimana per scambiare le proprie merci, riattivando in questa maniera la circolazione e la produzione dei beni. L’accesso a entrambi i mercati era libero per tutti gli abitanti del territorio, e i contratti di compra e di vendita potevano essere fatti liberamente e riguardare ogni sorta di merci e di animali. È probabile che questi due mercati fossero soltanto due esempi e che venissero al tempo istituiti ulteriori mercati anche in altre zone, di cui a noi manca purtroppo notizia.

Lo spopolamento portava però con sé un ulteriore problema: la diminuzione della popolazione si ripercuoteva sul sistema tributario del contado in quanto in precedenza, quando gli abitanti erano più densi, le tasse imposte ai vari comuni, erano ripartite in maniera più equa. Adesso invece che la popolazione era diminuita, tali tasse gravavano in maniera decisamente pesante sulla poca popolazione rimasta. L’intervento del governo centrale

questa volta giunse nell’aprile del 1377 quando fu portata avanti una proposta di riforma delle imposte nel contado. Venne allora approvato un completo disegno di legge col quale erano dettagliatamente fissate le norme da seguire per la riforma dei tributi e col quale veniva istituita una commissione di quattro membri muniti dei più ampi poteri ed incaricati di attuare il riordinamento stabilito. Questi avevano il compito di ripartire gli oneri tra i vari comuni del contado in maniera equa e proporzionata al numero delle persone imponibili e in base anche alle condizioni economiche di tali persone. Lo scopo della riforma era insomma quello di riordinare il sistema tributario del contado in conformità alle nuove condizioni là maturate in seguito allo spopolamento e alla decadenza economica, così da cercare di ripristinare una condizione migliore e porre fine alle lamentele, in gran parte giuste, degli abitanti. Purtroppo, tal scopi non furono raggiunti dato che, negli anni seguenti, si ripeterono le invasioni da parte della compagnie di ventura e molto spesso inoltre, era lo stesso governo a gravare ulteriormente sul contado imponendo imposte straordinarie nei momenti in cui aveva particolarmente bisogno di denaro.

Ulteriori importanti provvedimenti presi dal governo gambacortiano nel tentativo di recuperare la grave situazione del contado, riguardarono l’approvvigionamento del grano. È da notare innanzitutto che anche in situazioni di normalità, il contado pisano non produceva grano sufficiente a sopperire ai bisogno di tutta la popolazione, tanto che Pisa doveva ricorrere all’importazione.

Naturalmente tale condizione fu aggravata dalle guerre e dagli attacchi delle compagnie di ventura che, devastando i raccolti, riducevano ulteriormente la quantità disponibile di grano, cosicché l’amministrazione doveva ricorrere all’importazione in maniera quasi totale, causando una grave spesa per il Comune. Già dai tempi antichi il governo pisano, per premunirsi dai rischi di carestie, oppure di una scarsezza tale da far salire troppo alto il prezzo del

grano, aveva istituito una “canova grani”, vero e proprio ufficio di approvvigionamento granario con appositi ufficiali incaricati di fare, in tempi buoni e favorevoli, abbondanti provviste di grano che sarebbero poi state messe da parte e conservate per i mesi di maggiore difficoltà. In questo periodo del governo gambacortiano la sorveglianza su questa “canova grani” era rigorosissima ed esercitata da ufficiali che il governo appositamente eleggeva e mandava nelle diverse località del contado. Altro indice della scarsezza di grano presente in questi anni, fu il fatto che già nel 1370, il bisogno di tale cereale era tanto grande che il governo giungeva a stabilire un premio di cinque soldi per ogni staio di grano a favore di qualsiasi persona lo avesse condotto a Pisa da fuori.

È evidente da questi interventi presi del governo gambacortiano, quanto fosse importante per Pisa il territorio del contado, in quanto era la fonte primaria di approvvigionamento delle vettovaglie: la città e il sostentamento dei suoi abitanti dipendevano dalla regolare produzione dei territori rurali del contado. È quindi facile immaginare quanto la progressiva decadenza del contado e l’impoverimento dei suoi territori, avesse notevoli ripercussioni anche sul regolare andamento della vita cittadina: dal contado avrebbero dovuto affluire i prodotti necessari a sopperire i bisogni della popolazione cittadina, ed invece spesso era proprio la città che si trovava costretta a provvedere di grano le varie località, dato che le devastazioni e lo spopolamento avevano letteralmente devastato l’agricoltura. Data l’importanza che aveva il contado per il Comune tutto, proprio per questo i consiglio comunali, come abbiamo visto, si preoccuparono in più di un’occasione di intervenire attivamente a favore del recupero di tali aree territoriali, ma, nonostante i numerosi provvedimenti presi dal governo centrale col tentativo di migliorare le condizioni in cui versava il contado pisano, negli ultimi anni del governo di Pietro Gambacorta, la situazione non appariva affatto migliorata: nuove e continue invasioni delle compagnie di

ventura devastavano ulteriormente i territori e, contemporaneamente, una vera e propria guerra combattuta tra Firenze, Siena e Gian Galeazzo Visconti, aggravava la situazione.

Tali erano le tristi condizioni in cui versava il contado pisano alla fine del Trecento, condizioni poi non del tutto dissimili da quelle di altri contadi sparsi in tutto il territorio italiano in quel periodo e causate, in ultima analisi, dallo sfruttamento accanito e dall’opprimente servaggio economico e fiscale a cui le terre del contado furono sottoposte dalla popolazione cittadina. Questa fu di fatto la causa che provocò un sempre più pesante allontanamento tra contado e città e che provocò un forte antagonismo tra essi, causando prima di tutto il decadimento delle zone rurali. A Pisa queste condizioni si manifestarono a fine Trecento e il governo gambacortiano tentò in ogni modo di combatterle contrastando il decadimento. Nonostante gli sforzi però, come abbiamo visto, non riuscì nell’intento e le gravi perdite del contado finirono per causare notevoli mancanze anche nella vita economica cittadina. Tale fallimento ebbe certamente peso nel momento in cui, un complesso di cause e circostanze, portarono alla creazione di una forte corrente avversa a Pietro Gambacorta che condurrà alla sua definitiva caduta nel 1392.

5. MORTE DI PIETRO GAMBACORTA E CADUTA DEL SUO