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Per molto tempo il sistema descritto nei paragrafi precedenti è in grado di escludere quasi completamente i pescatori napoletani dai mari Maghrebini. Come detto, infatti, a detenere il monopolio sono compagnie di commercio genovesi e francesi che si servono di pescatori ingaggiati direttamente in Liguria, Provenza e Corsica. Questa affermazione di carattere generale non implica che non si verificassero, talvolta, delle eccezioni che, seppur essendo sporadiche e mai abituali, emergono dagli studi sul tema e dalla documentazione consultata. Verso la metà del XVI secolo, ad esempio, i signori di Tabarca, appena insediatisi sull’isola, protestano con le autorità locali a causa del danno che alcuni pescatori napoletani e siciliani portano all’esclusiva genovese219

. Analogamente, nel corso del primo decennio del XVIII secolo, lo scioglimento della società francese che in quel momento occupa gli stabilimenti algerini permette a un gruppo di battelli siciliani di pescare per qualche tempo nei mari di La Cala220. Al di la quelli che sono episodi sporadici, le società monopolistiche mettono in campo una serie di strategie volte alla difesa dei propri investimenti che si rivelano vincenti. Tali meccanismi restano pressappoco invariati anche nel momento in cui è la Compagnie

royale d’Afrique a gestire il monopolio della raccolta del corallo221

. Nonostante ciò, a partire dagli anni Ottanta del XVIII secolo, i funzionari della compagnia iniziano a denunciare la presenza massiva di imbarcazioni siciliane e napoletane222. Nel giugno del 1787, ad esempio, Emmanuele Luxoro, ispettore della Compagnie royale d’Afrique e agente dei pescatori corsi a la Cala, scrive che:

Les Napolitains et les Trapanois sont toujours en grand nombre; nous les voyons sans cesse dans nos parages à une lieue de la place, et si la Compagnie ne prend pas des mesures pour les faires chasser loin d’ici, elle peut renoncer à la pêche du corail […]. Il faut vous inmaginer qu’ils ne laisseront que les pierres; je vous prie de faire bien attention à cet objet, car c’est la vérité même, il sera bien inutile si ces gens-là continuent de venir de tenir des pêcheurs à cette place223.

Benché sia difficile stabilire con esattezza le tempistiche di una tale ingerenza, esistono fonti che ci permettono di orientarci nel tentativo di ricostruire la presenza di

219 P. G

OURDIN, Tabarka. Histoire et archéologie, op. cit.

220 P. M

ASSON, Histoire des établissement et du commerce français, op. cit., p., 264.

221

O. LOPEZ, S’établir et travailler chez l’autre, op. cit., pp. 316-328.

222 Ibidem.

223 ACCIM, L III, 1001, 11 giugno 1787, Lettera di Emmanuele Luxoro all’amministrazione della

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stranieri nelle acque Maghrebine. Tra i vari fondi merita una menzione un carteggio del 1776 tra l’amministrazione marsigliese della Compagnie royale d’Afrique e il console di Francia a Napoli, Amé de Saint-Didier224, dal quale si possono estrapolare interessanti informazioni rispetto la presenza dei sudditi del Regno di Napoli lungo le coste del nord Africa e, in particolare, dei siciliani. Verrebbe da chiedersi perché, se il fulcro di questo studio verte attorno ai torresi, si scelga di analizzare, seppur brevemente, di alcune carte riguardanti liparesi, trapanesi e messinesi. In realtà l’esistenza stessa del carteggio permette allo storico di formulare alcune interessanti ipotesi, oltre a testimoniare l’esistenza di una permeabilità di quella volontà di monopolio da parte della Compagnia. del quale si è precedentemente parlato. Interrogato dalla compagnia sulla questione dell’intromissione dei sudditi dei Borbone nello sfruttamento dell’ “oro rosso”, il legato francese risponde escludendo la presenza torrese, in quanto «les pêcheurs du Royaume de Naples vont faire la pêche du corial en Sardaigne et en Corse»

225

, e si sofferma, invece, su quella siciliana: «[Les pêcheurs, Nda] de Trapani et de Lipari arment tous les ans plusieurs felouques pour aller faire cette pêche sur les côtes d’Afrique et ils se disposent à y en employer quarante-deux l’année prochaine» 226

. Qualche giorno dopo, il console francese trasmette alla compagnia una lettera inviatagli dal vice-console di Messina Lallement, la quale contiene informazioni più precise:

Il doit partir au mois d’avril prochain du port de Trapani et de ses environs une flotille de 35 batteaux [sic], grands ou petits, pour aller à la pêche du corail sur la côte de Barbarie. Elle est sous la direction du patron Jacques Lazara, chef de l’entreprise, et qui probablement commandera lui- même la barque la Madona di Trapani, armée de 14 canons destinée à protéger cette pêche. Le rendés-vous est d’abord en Sardaigne pour s’y pouvoir de quelques ustensiles nécessaires; et de là à une isle, que les Siciliens nomment Alica, située entre Alger et Tunis à 60 milles au large227.

La premura e la precisione nelle risposte di Saint-Didier lascia intendere che questi davvero ritenesse la presenza torrese limitata ai banchi europei e ne escludesse, al contrario, uno sconfinamento in Maghreb. I tanti dettagli riferiti dal console fanno pensare, quindi, che in quegli anni i torresi non si fossero ancora spinti tanto a sud. Anche le tempistiche dell’interpellanza da parte della compagnia sono interessanti visto

224 Su questo personaggio si veda, A. Mézin, Les consuls français au siècle des Lumières, Direction

des archives et de la documentation. Ministère des affaires étrangères, Parigi, 1995, pp. 90-91.

225 ACCIM, L III 374, 9 marzo 1776, lettera del console Saint-Didier. 226 Ibidem.

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che arrivano a pochi mesi dall’emanazione, nell’agosto del 1775, di una legge da parte del governo francese che impediva la raccolta del corallo nelle acque corse. Se il console ci restituisce l’assenza torrese in Maghreb, tuttavia ci offre un’ulteriore conferma della presenza di questi ultimi lungo le coste còrse. Sottolineiamo, una volta ancora questo aspetto, perché l’intrecciarsi della tradizione napoletana di recarsi in Corsica con la scelta francese di proibire l’estrazione del corallo agli stranieri proprio in quelle acque costringe i torresi a cercare un’alternativa che gli permetta di portare avanti il lavoro228. A mio avviso, infatti, e considerando le tempistiche di spostamento verso sud dei nostri protagonisti, la promulgazione della succitata legge è tra le ragioni principali della decisione partenopea di recarsi in Barberia. Negli anni Ottanta del XVIII secolo la presenza dei torresi nelle acque del Maghreb inizia a farsi palpabile. A restituire questa informazione, e le problematiche ad essa connesse, sono – come già anticipato – le frequenti denunce dei funzionari della compagnia stabiliti presso gli insediamenti nordafricani. Nel 1783, secondo quanto riporta Vittoria Ferrandino, i pescatori di Torre del Greco scoprono una secca ricca in corallo situata nei pressi dell’isola di Galita, posta a una quarantina di miglia dalla costa tunisina229

. In conseguenza di questa presenza, nel 1784, il governo di Parigi si rivolge a quello napoletano richiedendogli di proibire ai propri sudditi di andare in Barberia. Sulla spinta di tale domanda, il regno di Napoli si dirige al proprio Magistrato del Commercio affinché quest’ultimo si esprima sulla questione230

. Inserendosi all’interno del dibattito,

228 La legge sul divieto di pesca nelle acque còrse risale alla fine della stagione 1775. Il 17 agosto di

quell’anno, infatti, in una lettera di Luigi XVI indirizzata al capo del servizio della marina, si legge: «La pêche du corail sur les côtes de Corse qui a été longtemps florissante est considérablement diminuée depuis plusieurs années par l’usage immodéré qui en a été fait. Elle est d’un si mince produit pour ceux qui la font que fort peu de patrons s’y adonnent. Si on la cessait entièrement pendant quelques années cette branche de pêche et de commerce pourrait se réparer et estimant qu’il peut y être avantageux de ne laisser à aucun pêcheurs la liberté de la pratique jusqu’à ce que cette plante ait eu le temps de se reproduire, je vous fais cette lettre pour vous dire que mon intention est jusqu’à nouvel ordre de ma part il ne soit délivré aucune expédition en Corse à aucun bâtiment pour y faire la pêche du corail sur les côtes de cette isle et que vous donniez des ordres en conséquence». Cfr. LACROIX J.-B., Les pêcheurs corses de

corail, op. cit., p. 15; come si evince dal testo, il divieto è motivato soprattutto dal timore per un

eccessivo depauperamento dei mari circostanti l’isola. Su questo tema si veda, D. FAGET, Une grande

peur méditerranéenne. La crainte du dépeuplement des mers (XVIIe-XVIIIe siècle), inR. BERTRAND,M. CRIVELLO,J.-M. GUILLON (dir.), Les historiens et l’avenir. Comment les hommes du passé imaginaient la

futur, Presses universitaires de Provence, Aix-en-Provence, 2014.

229 V. F

ERRANDINO, Il Monte Pio dei marinai, op. cit., p. 52.

230

Il Supremo Magistrato del Commercio riesce ad appurare come i pescatori napoletani si siano effettivamente parecchio avvicinati alla costa delle concessioni, pescando fino a circa 12 miglia dal litorale. La controversia sulla presenza dei sudditi napoletani si prolunga per alcuni anni. Su tale controversia l’Archivio di Stato di Napoli conserva un’abbondante documentazione. Si veda, in

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all’epoca molto attuale, relativo ai concetti di mare clausum e mare liberum231

, il Supremo Magistrato di Salute si esprime riconoscendo la legittimità del monopolio francese, ma circoscrivendolo ad un ben delineato tratto di mare, corrispondente a quelle che sono da Napoli considerate le acque territoriali di Tunisi e Algeri. A seguito di tale consulta, infatti, con dispaccio del 15 aprile 1788, re Ferdinando lascia

Ai suoi sudditi la libera pesca del Corallo, ne’ mari d’Africa, ed in altri, ne’ quali tutti la Maestà Sua favorirà con ogni conveniente mezzo tale utile industria diretta al mantenimento effettivo di una considerevole popolazione, la quale, non trovando alle falde del Vesuvio sufficiente sussistenza, e lavoro per procacciarsela, deve per ogni giusto riflesso esser protetta, ed incoraggiata nell’indicato utile ramo che da tanto tempo professa. Onde ai medesimi si lascerà libero il tempo di pescare all’Isola della Galita, ne’ suoi contorni, come quella, che se ne ritrova lontana a diciotto o venti miglia; purché non si gettino essi nella Costa, rompendo la prescritta distanza delle dieci o dodici miglia per ogni lato di quella, né si mescolino co’ battelli francesi in veruna parte della coll’avvertenza, che a’ primi lamenti della Compagnia i contravventori a tale articolo saranno esattamente puniti per la disubbidienza232.

Nonostante la controversia si risolva in sostanza con un’almeno parziale vittoria della

Compagnie Royale D’Afrique, il cui privilegio viene di fatto confermato, lo scoppio

della Rivoluzione francese, come vedremo in seguito, mettendo in crisi il sistema monopolistico vigente aprirà comunque la rotta ad una progressiva penetrazione dei pescatori di Torre del Greco in Nord Africa.

particolare, il dossier «La Compagnia reale d’Africa contro i Padroni corallari della Torre del Greco», conservato in ASN, Pandetta corrente, 719.

231 Su questo tema si vedano, tra gli altri, G. C

ALAFAT, Une mer jalousée. Contribution à l’histoire de

la souveraineté (Méditerranée, XVIIe siècle), Éditions de Seuil, Parigi, 2019; A. ADDOBBATI, Acque

territoriali: modelli dottrinari e mediazioni diplomatiche tra medioevo ed età moderna, in E.FASANO,P. VOLPINI (ed.), Frontiere di terra e frontiere di mare: il caso della Toscana, Atti del Convegno, Lucca (8-

9 set. 2005), Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 173-198.

232 Citata da G. T

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CAPITOLO II

GLI ANNI DELLE GUERRE RIVOLUZIONARIE E NAPOLEONICHE:

UN PERIODO DI TRASFORMAZIONI E INSTABILITÀ

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