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2.7 Il riavvicinamento tra Tunisi e Napoli

2.7.1 La tregua del 1814

Come già detto, dopo l’ingresso del Regno di Napoli nel sistema di stati napoleonici, i pescatori di corallo di Torre del Greco ottengono dal governo francese il permesso di recarsi sui banchi coralliferi presenti nei mari di Tunisi godendo delle stesse condizioni e gli stessi diritti concessi alle imbarcazioni còrse, liguri e provenzali. Più in generale, è tutta la navigazione napoletana ad essere integrata all’interno dei trattati e delle negoziazioni franco-tunisine. Per alcuni anni, questa situazione viene sfruttata positivamente e garantisce l’accesso a rotte altrimenti precluse a quelle nazioni che sono in guerra con i barbareschi. Come abbiamo visto, la crescita della presenza di imbarcazioni provenienti dal centro vesuviano viene solo saltuariamente interrotta dalla pericolosità delle condizioni di pesca. Nonostante ciò, la seconda parte del regno di Gioacchino Murat si caratterizza, per ciò che riguarda le relazioni internazionali con il Nord Africa, nella ricerca di una politica di riavvicinamento alle Reggenze, in particolare a quella di Tunisi, orientata all’ottenimento di un trattato di pace o di una tregua che leghi direttamente il governo napoletano a quello del bey438. Sono gli stessi pescatori di corallo, tra gli altri, a chiedere di «interessare la Sovrana Clemenza a stabilire con il Governo di Tunisi un rapporto diplomatico-commerciale439», poiché intimoriti da una condizione giuridica che essi percepiscono come ancora

437 Ibidem.

438 Per un quadro generale, seppur un po’ datato, si veda A. C

ILENTO, Il governo delle Due Sicilie alla

ricerca di una pace stabile con le Reggenze barbaresche, in «Africa, rivista trimestrale di studi e

documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente», anno 24, n. 1, marzo 1969, pp. 41-70;

439 ASN, Ministero degli Esteri, Decennio francese, 5417, 30 dicembre 1809, relazione della Camera

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eccessivamente precaria. La richiesta dei corallari viene ripresa, in parte, in una relazione del 1809 della Camera di Commercio di Napoli e indirizzata al Ministro dell’Interno partenopeo di cui vale la pena proporre un estratto:

La comune di Torre del Greco ha vivamente domandato a questa Camera di Commercio di interessare la Sovrana Clemenza a stabilire col Governo di Tunisi u rapporto diplomatico-commerciale, onde assicurare la pesca de’ coralli in quei mari, e garantire i Pescatori Torresi dal funesto avvenimento di una misera schiavitù. […].

Nell’epoca in cui l’aquila imperiale non avea per anco estesi i suoi Dominj sulle nostre Contrade, la pesca del corallo facevasi clandestinamente da’ Torresi e col continuo timore di esser predati. Perciò sovente erano forzati di munirsi di Capitani di Bandiera Francesi, di cui si provvedevano in Corsica, o nell’Isola d’Elba, o nelle stesse Coste di Francia, con ingente stipendio. […].

I Torresi, giunte che furono le armi imperiali in questo regno si slanciarono con più coraggio né mari di Barbaria, e all’ombra del Paviglione Francese cacciaronsi più in là della Penisola di Tabarca, e propriamente nelle acque Algerine, ove la pesca del corallo è ferocissima. Ma gli infelici, appena visti, che ventitré delle diloro barche con gli equipaggi furon condotti nella dura schiavitù dell’Algerino […].

Quindi la pesca de’ coralli si è per i Torresi limitata nelle sole coste della Penisola di Tabarca, ed è singolare che quel Bey non solamente la soffre, ma sembra che ambisca ad aprire coll’Augusto Nostro Monarca una qualche relazione Diplomatica Commerciale […].

Un Agente del Consolato francese residente in Tunis, ed un comandante arabo spediti a proteggere su quella costa i Genovesi ed i Corsi, riconosciuti in oggi per francesi, proteggono altresì la laboriosa industria delle nostre Barche Torresi, decorate dalla medesima bandiera; quantunque non si ignorasse da quel Governo ch’essi siano sudditi napolitani. Questa tolleranza di pesca però non è che un atto di semplice rispettosa convenienza alla Potente Bandiera e al nome del Nostro Intrepido Monarca, ma non un obbligo che corre al Bey, proveniente da rapporto commerciale, atto ad esimere i pescatori Torresi dal fondato timore di un sinistro rincontro440.

Il progetto murattiano passa attraverso una missione diplomatica che, sebbene pianificata già alla fine 1810, si concretizza solo due anni dopo. Nel 1811, infatti, il battello sul quale è imbarcato Nicolò Quagliarielli, l’esperto rappresentante consolare prescelto inizialmente, cade preda degli Inglesi mentre è in viaggio verso la riva sud del Mediterraneo441. Ammalatosi, a seguito di ciò, il funzionario, dopo aver fatto scalo a Palermo, è costretto a rientrare a Napoli e a rinunciare all’incarico. Al suo posto viene «commissionato», dopo qualche tempo, Renato de Martino – già Segretario del Ministro

440 Ibidem.

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degli Affari esteri napoletano, conte Gallo442 – personaggio destinato a giocare, negli anni a venire, un ruolo chiave nell’evoluzione delle relazioni tra la Reggenza e il governo napoletano.

Giunto a Tunisi all’inizio del 1812, egli viene inizialmente incaricato di «s’entendre avec le vice-consul de France pour conclure un traité entre Tunisi et Naples»443. L’obiettivo della corte partenopea è quello di sfruttare il proprio legame con l’Impero napoleonico e l’intermediazione di quest’ultimo per ottenere «automaticamente» dal sovrano barbaresco un accordo e il riconoscimento del proprio console senza dover passare per le abituali, complicate, negoziazioni e, soprattutto, senza doversi impegnare nel pagamento dei tributi onerosi abitualmente pretesi dal bey nei confronti delle Potenze straniere come l’Olanda e gli stati nordici. Quest’ultimo punto è per la corte napoletana particolarmente importante, tanto che il Ministro del Gallo si premura di ricordare spesso a de Martino quanto Murat «non intenda affatto di pagare somma alcuna per far installare il di lei consolato444». L’azione dell’incaricato sulle prime si rivela piuttosto difficile, in quanto Hammuda Bey, basandosi sulla recente scelta napoletana di adottare una nuova bandiera nazionale445, rifiuta la mediazione della Francia e di accettare le ragioni dai Napoletani, da lui considerati come indipendenti dall’Impero. In effetti, nel maggio 1812 de Martino e Billon si recano dal «Ministro del bey» (probabilmente il sahib al-tabaa Youssuf) per esporre le intenzioni dei rispettivi sovrani, ottenendo però un risultato negativo. Leggiamo in una lettera dello stesso de Martino :

Il console di Francia cominciò a narrare tutto il potere di Sua Maestà l’Imperatore […]. Dopo una lunga conversazione [il Ministro del bey, nda] disse che ci avrebbe fatto ottenere un’udienza dal bey per proporgli quanto era stato lui riferito. Domandò più volte cosa mai Sua Maestà mandava per regali; li risposi che da me s’ignorava, ma che questo restava nella

442 Sull’attività del conte Gallo si veda, tra gli altri, B. M

ARESCA (a cura di), Memorie del duca di

Gallo, A. Forni, Napoli, 1974.

443 E. P

LANTET, Correspondance des beys de Tunis, op. cit., p. 500.

444 ASN, Ministero degli Esteri, Decennio francese, 5311, fascicolo 201, senza data, ma risalente al

1812, Gallo a de Martino; a parte i pagamenti ufficiali, la corte napoletana vuole evitare il più possibile ogni tipo di esborso eccessivo, come ricorda lo stesso ministro in una lettera privata inviata al suo ex collaboratore: «Circa gli affari, la condotta che dovete tenere, vi ho comunicato tutte le intenzioni di Sua Maestà. Evitate i grandi pagamenti. Sua Maestà non è nello stato di farli. Non vi potete misurare con l’esempio delle grandi Potenze. Esse hanno più denari, più rapporti, e fanno un commercio più utile, e più lucroso», Ivi, 6 aprile 1812, Gallo a de Martino.

445 Il bey si riferisce all’importante decreto emanato da Gioacchino Murat il 13 marzo 1811, con il

quale il Regno si dota di un drappo di tre colori divisi a scacchi con in mezzo l’ “impresa” di Napoli: amaranto, bianco e celeste. GALASSO G., Il Regno di Napoli, op. cit., pp. 1215.

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generosità di Sua Maestà e non già per diritto di pretenzione […]. Il bey, secondo gli avvisi ricevuti, desiderava toglier di mezzo il Console di Francia, e trattare direttamente con me, per cui sono già sei giorni che non si è deciso di accordare la domandata udienza […], dicendo sempre che il Regno di Napoli è un regno a parte della Francia, il re è coronato per quel regno, ed ha una bandiera particolare, e perciò li conveniva trattare come tutte le altre Nazioni, facendo ascendere i diritti di bandiera a centinaia di migliaia di pezzi duri, ed a regali immensi446.

Di fronte alle resistenze del bey, de Martino interrompe inizialmente le negoziazioni, ricevendo l’approvazione del Ministro degli Affari Esteri, convinto della necessità di ritirarsi «piuttosto che di agire separatamente dal console di Francia, dalle intenzioni del quale ella non deve separarsi giammai»447.

Con il passare dei mesi, tuttavia, il quadro inizia gradualmente ad evolvere: sempre di più, infatti, appare chiaro l’avvicinamento tra l’agente napoletano – il quale viene infine riconosciuto ufficialmente da Hammuda – e la corte beilicale. Tale avvicinamento non vede né il patrocinio né il consenso del delegato francese il quale, in una lettera inviata a Parigi il 25 ottobre 1813, si lamenta del modo in cui de Martino «cherche à s’affranchir des égards qu’il doit observer envers la France», aggiungendo che «il n’a eu recours à mon ministère que lorsque ses affaires l’y ont obligé impérieusement»448.

La progressiva presa di distanze di Napoli non può che essere messa in relazione con la più ampia strategia inaugurata proprio in quegli anni da Gioacchino Murat, impegnato nello sforzo di emanciparsi, via via in maniera sempre più decisa, dall’ingombrante tutela dell’Imperatore e da quella della propria consorte, la regina Carolina Bonaparte449. L’affrancamento dal controllo francese diviene definitivo a partire dalla conclusione delle alleanze del gennaio 1814 tra il sovrano di Napoli, l’Austria e l’Inghilterra450

. Dopo la notizia che «il nostro Regno erasi allontanato dal

446 ASN, Ministero degli Esteri, Decennio francese, 5311, senza data, ma del 17 maggio 1812, de

Martino a Gallo.

447 Ivi, senza data, Gallo a de Martino. 448 E. P

LANTET, Correspondance des beys de Tunis, op. cit., pp. 511-512.

449

Uno dei simboli degli inizi di questa svolta “napoletana” di Gioacchino Murat – non priva di conseguenze immediate nei rapporti con Napoleone, il quale non cessa mai di considerare Napoli come uno stato “vassallo” interamente sottomesso alla propria volontà – è da considerarsi, ad esempio, il suo decreto 14 giugno, con il quale egli decide che nessuno straniero possa rimanere al servizio del Regno di Napoli, se non dopo aver richiesto la “naturalizzazione”. Sul progressivo distacco del sovrano napoletano dalla Francia, si veda G.GALASSO, Il Regno di Napoli, op. cit., pp. 1215-1223; A. ESPITALIER, Napoléon

et le roi Murat, 1808-1815: d’après des nouveaux documents, Perrin, Parigi, 1910; J.-P. GARNIER,

Gioacchino Murat, re di Napoli, Deperro, Napoli, 1974.

450 G. G

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Sistema di Governo di Francia451», di fronte al rischio di lasciare i sudditi napoletani senza alcuna protezione, de Martino, la cui idea in origine era di intavolare trattative volte alla stipula di una pace definitiva, si affretta a proporre una più modesta richiesta per un Trattato di Tregua annuale, che, infatti, viene concluso poco dopo452, e che sarà rinnovato anche l’anno successivo.

Se il distacco di Murat dalla Francia può essere ricondotto a dinamiche di più ampio respiro all’interno della politica internazionale europea, il successo nelle negoziazioni con Tunisi dipende, invece, da equilibri locali che, attraverso gli appoggi incontrati presso la corte beilicale, ne garantiscono il successo.

Nel corso delle difficili negoziazioni con Tunisi, infatti, de Martino può beneficiare del fondamentale appoggio di uno dei più potenti uomini della Reggenza: il segretario del bey per la corrispondenza italiana, Mariano Stinca453.

Originario del Piano di Sorrento, nel territorio del Regno di Napoli, uomo di grande influenza, questi fa parte, a partire dal primo Ottocento, di un gruppo di schiavi di provenienza europea o levantina catturati in giovane età e allevati alla corte di Tunisi che compongono l’entourage di Hammuda Bey e lo assistono nelle principali scelte di governo e che grazie alla loro lungimiranza e abilità nelle relazioni di corte e non, riescono a ricavarsi uno spazio di grande potere454. Cosa non meno importante, egli è anche zio dello stesso Renato de Martino, il quale, già membro del governo partenopeo, nel 1812 viene nominato rappresentante di Napoli a Tunisi proprio in virtù del legame

451 ASN, Ministero degli Esteri, Decennio francese, 5312, fascicolo 205, 2 aprile 1812, de Martino a

Gallo.

452 Ibidem; il prezzo della convenzione è, secondo Alphonse Rousseau, di «9000 boulets de gros

calibre, plusieurs milliers de poudre de guerre, de quelques chargements de bois de construction et des présents au Bey s’élevant à 50 000 piastres fortes environ», A. ROUSSEAU, Annales tunisiennes, op. cit., p. 281.

453 Sull’interessante figura di Mariano Stinca si vedano H. J

AMOUSSI, Mariano Stinca: image d’un

esclave au pouvoir sous le regne de Hammouda-Pacha Bey, in «Revue d’Histoire maghrebine», n. 23,

1996, pp. 431-465; A. RIGGIO, Mariano Stinca, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», XIII, 1943-1944, pp. 171-183, T. FILESI, Un napoletano e un ligure in evidenza alla corte tunisina della prima

metà dell’800, in I. ZILLI (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi de Rosa. Settecento e

Ottocento. II, ESI, Napoli, 1995, pp. 449-478; B. AIRÒ, Interpreti, consiglieri, “arabisants” italiani alla

corte del bey di Tunisi tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo, in B. GRÉVIN (dir.), Maghréb-Italie,

des passeurs médiévaux à l’orientalisme moderne (XIIIe-milieu XIXe siècle), École française de Rome,

Roma, 2010, pp. 323-340.

454

L. BOUZID, Pouvoir et esclavage dans la Régence de Tunis. Les serviteurs des beys husseinites

(XVIIIe-début XIXe siècle), Centre de publication universitaire, Tunis, 2005; M. OUALDI, Esclaves et

maîtres. Les mamelouks des beys de Tunis du XVIIe siècle aux années 1880, Publications de la Sorbonne,

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di parentela con il dignitario455. Il nome di Mariano Stinca, inoltre, compare costantemente tra quelli dei più ricchi mercanti della Reggenza. Lo schiavo, infatti, dimostra di avere interessi diversificati e sempre supportati da un’ampia rete di corrispondenti che lo rendono «avant tout un marchand qui fait tous ses efforts pour grandir sa fortune»456. Un aspetto, quest’ultimo, che è d’altronde comune a tutti i principali uomini di fiducia del bey Hammuda – primo tra tutti il famoso mamelouk Yusuf Sahib Al-Tabaa457 – i quali utilizzano la propria posizione a palazzo non solo per influenzare la politica beilicale, ma anche per «monopoliser les secteurs les plus importants de l’économie tunisienne»458

.

Molteplici testimonianze ci confermano come sia proprio l’incessante opera di intercessione portata avanti da Stinca e dagli altri uomini di governo a spingere il bey sia a riconoscere ufficialmente il ruolo del nipote dello schiavo, sia a prendere accordi con Napoli senza l’intervento della Francia. Ad esempio, in una lettera senza data, ma, considerandone il contenuto, sicuramente riconducibile al periodo delle trattative tra Napoli e Tunisi e inviata da de Martino al Ministro Gallo leggiamo:

Mio zio è molto contento di come siasi intavolato l’affare, e dice che non si poteva andar meglio di quello che ho praticato per ridurre questo governo; il medesimo non è stato chiamato nel consiglio per gli affari di Napoli, credendolo attaccato alla sua Nazione, ma è stato convocato tra i musulmani quella persona che ho avuto l’onore di manifestarle in cifra459.

Nonostante un certo interesse dato dalle proprie origini e dai rapporti familiari con de Martino, l’appoggio di Stinca alla missione diplomatica inviata da Gioacchino Murat, è tutt’altro che disinteressata. Da lungo tempo impegnato nel traffico di coralli, che lo stesso acquista in loco e vende direttamente sulla piazza di Torre del Greco, nel periodo precedente e coevo i trattati tunisino-napoletani, Stinca tenta di avviare una strategia per ampliare i propri traffici all’approvvigionamento e al prestito finanziario per i corallari. Come evidenziato da Habib Jamoussi nel saggio Mariano Stinca: image d’un esclave

455 J

AMOUSSI H., Mariano Stinca, image d’un esclave au pouvoir, op. cit., p. 444.

456

GRANDCHAMP P., Autour du consulat de France à Tunis (1577-1881), Aloccio, Tunisi, 1943, p. 138.

457 Schiavo di origine moldava (o forse georgiana) egli è, secondo Sadok Boubaker, il principale

ispiratore della politica beilicale, nonché il vero dominatore della vita economica della Reggenza di Tunisi del primo Ottocento. S. BOUBAKER, Négoce et enrichissement individuel à Tunis du XVIIe siècle

au début du XIXe siècle, in «Revue d’histoire moderne et contemporaine», n. 50-4, 2003-2004, pp. 29-62.

458 H. J

AMOUSSI, Mariano Stinca, image d’un esclave au pouvoir , op. cit., p. 431.

459 ASN, Ministero degli Esteri, Decennio francese, 5311, lettera privata di Renato de Martino al

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au pouvoir sous le regne de Hammouda-Pacha bey, quello che si rivela essere «un des

plus énigmatiques personnages»460 della corte tunisina, al fine di incrementare i propri affari, volendosi impadronire dell’interessante giro di affari indotto dalle necessità delle barche pescherecce impegnate nello sfruttamento dei banchi coralliferi, costruisce un intreccio di relazioni politiche e commerciali che vedono nell’aiuto dato a Napoli un momento fondamentale. Intercedere per i partenopei implica, infatti, costringere questi ultimi ad ausiliare le attività dello schiavo.

2.7.2 L’affaire Raimbert e la definitiva autonomia della pesca napoletana a

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