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Il XVIII secolo e il crescente interesse del governo napoletano per la pesca

1.4 Torre del Greco la città del corallo

1.4.2 Il XVIII secolo e il crescente interesse del governo napoletano per la pesca

Con lo sviluppo della pesca cresce anche, a partire dalla metà del XVIII secolo, l’interesse del governo di Napoli per un’attività che sempre di più sta diventando interessante per un gran numero di sudditi del Regno, nonché per il rilancio economico dello stesso. In effetti, in questo periodo Torre del Greco è ormai considerata a livello mondiale il principale centro del Mediterraneo per lo sfruttamento del corallo; allo stesso tempo, i suoi abitanti vengono universalmente riconosciuti come i migliori pescatori in circolazione, famosi sia per le loro abilità sia per l’impegno e la frugalità dello stile di vita. Come dimostrano le considerazioni di Adrien Dupré a seguito di una disanima su tutte le nazioni corallare presenti a Bona, tale fama dei torresi perdurerà per lungo tempo. Scrive, infatti, il console nel 1825:

Les Napolitains, entre tous, méritent aujourd’hui le premier rang. Ils sont robustes, endurcis à la fatigue, sobres, laborieux et persévérants. La nuit ils ne dorment que trois ou quatre heures; leur nourriture est du biscuit; leur boisson de l’eau; ils travaillent avec une telle constance qu’ils mangent l’aviron à la main; et lorsque le mauvais temps le force à aller chercher le mouillage, ils visitent aussitôt leurs filets et s’occupent tous à le réparer117

.

A ulteriore dimostrazione della reputazione dei torresi, si può portare l’esempio del marchese toscano Carlo Ginori118, il quale, negli anni Trenta e Quaranta del XVIII secolo, intenzionato a impiantare a Livorno una compagnia per lo sfruttamento del corallo disseminato intorno all’isola del Giglio, si rivolge proprio ai torresi. Il progetto del nobile, incentrato sui suoi possedimenti a Cecina, dura solo qualche anno e non è coronato da particolare successo119; nonostante ciò, la fama dei torresi e la loro presenza in tutte le acque più pescose resta intatta. In effetti, nel corso degli anni, i padroni- armatori del polo vesuviano, stimolati da una richiesta asiatica che in quel periodo non sembra conoscere alcuna inflessione, non hanno mai cessato di intensificare gli sforzi per impadronirsi dei banchi di corallo più ricchi del mar Tirreno, allargando al contempo il bacino di reclutamento dei loro equipaggi stagionali ai paesi e alle isole dei

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AN, AE/B/III, 301, Mémoire sur les concessions d’Afrique et particulièrement sur la pêche du corail dans les eaux des dites concessions.

118 Carlo Andrea Ignazio Ginori (1702-1757), noto soprattutto per aver dato vita a una famosa

manifattura di porcellana, è anche un personaggio politico importante del Settecento toscano che ricopre numerose cariche importanti, tra le quali quella di membro del Consiglio della Reggenza imperiale di Firenze, Governatore della città e del porto di Livorno e Presidente del Consiglio del Commercio.

119 Sul progetto di Carlo Ginori, si veda C.E

RRICO, M.MONTANELLI, Il corallo. Pesca, commercio e

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dintorni. L’espansione fuori dai confini del Regno, porta un buon numero di torresi a seguire i padroni corallari, ai quali erano spesso legati da vincoli di sangue, ed installarsi in Sardegna, soprattutto nelle zone di Bosa e Alghero, per svolgere i propri traffici e adempire a quel ruolo di supporto richiesto dai pescatori napoletani impegnati nell’attività di raccolta. D’altra parte, ciò trova una ragione nel crescente afflusso di capitali provenienti dai nobili e dai ricchi negozianti della capitale120, ormai completamente conquistati da questa tipologia di investimenti effettuati di solito tramite prestiti a cambio marittimo121.

Sulla presenza dei torresi in Sardegna vale la pena di soffermarsi brevemente. Secondo i calcoli effettuati da Giuseppe Doneddu, il 65% delle ben 10 000 coralline che tra il 1721 e il 1755 frequentano le acque dell’isola proviene dai porti del napoletano (il restante 35% è composto da imbarcazioni còrse o di Santa Margherita Ligure)122. Si tratta di una presenza tanto intensa da essere notata dalle autorità locali e, di rimando, dal governo torinese, interessato in quegli anni a sviluppare la zoppicante economia locale. Ciò che balza all’attenzione dei ministri regi, e in particolare del Ministro per gli affari sardi, Giovanni Bogino123, sono le enormi potenzialità non sfruttate che il corallo può avere per il rilancio dell’isola. Lo sfruttamento dei giacimenti da parte degli stranieri, in effetti, da un lato priva l’amministrazione “regionale” di introiti importanti (le coralline pagano di solito una tassa di pescaggio poco elevata, oltre che modesti diritti portuali), dall’altro impoverisce le acque prospicenti le coste di una risorsa che potrebbe essere sfruttata con profitto dai marinai locali, i quali, però, a dire il vero, a quell’epoca hanno in realtà ormai da tempo totalmente abbandonato quel tipo di attività.

120 Il centro vesuviano gode d’altronde di rapporti privilegiati con Napoli. Come scrive Vittoria

Ferrandino «Torre del Greco si qualificò sempre di più come centro di mercato e di approvvigionamento della città di Napoli, con la quale i rapporti di affari e di cultura divennero via via più frequenti. D’altra parte, le comunicazioni con la capitale e con gli altri centri del golfo erano diventate più agevoli dopo che Carlo III aveva scelto Portici come sede della propria reggia». V. FERRANDINO, Il Monte Pio dei marinai, op. cit., p. 45.

121 Tra le polizze rinvenute presso l’Archivio storico del Banco di Napoli, possiamo citare, ad

esempio, quella emessa il 5 gennaio 1729, per il «cambio marittimo per il viaggio che dovean fare a coralli in Sardegna o in altro luogo», dal duca Paolo Ruffo a favore dei padroni di barche Onofrio e Crescenzo Balzano, Cristoforo Langella e Carmine Martone, tutti della Torre del Greco, e Aniello d’Alessio di Resina. Un’altra polizza, è quella emessa il 3 aprile 1750 dal duca Giuseppe Giordano, partitario, a favore dei «capitani di sei feluche per prestito concesso per acquistare gli attrezzi e pagare il salario agli equipaggi per partire a pescare i coralli nei mari di Sardegna». Cfr. F. BALLETTA, Commercio

e pesca del corallo, op. cit., p. 142.

122 G. D

ONEDDU, La pesca nelle acque del Tirreno. op. cit., pp. 214-215.

123 Giovanni Battista Lorenzo Bogino (1701-1784) ricopre il ruolo di Ministro degli Affari di

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I pescatori forestieri passano diversi mesi nei porti dell’isola e in quei periodi la vita economica delle comunità litorali ne risulta inevitabilmente ravvivata e arricchita sia grazie ai commerci “accessori”, dei quali i corallari – soprattutto i liguri – si sono fatti vettori, sia grazie alle provviste che essi consumano sul posto. Tuttavia, trasportando il prodotto della pesca fuori dalla Sardegna per la vendita e per la lavorazione le popolazioni sarde non traggono dal corallo che benefici accessori. Questa situazione non sfugge al governo torinese che, nel corso degli anni Sessanta del XVIII secolo, elabora una serie di progetti volti a capovolgere questo stato di cose. Su questi progetti, peraltro tutti fallimentari o comunque dal successo effimero, non ci dilungheremo124. In questa sede, sarà sufficiente dire, che questi si basavano sulla volontà di rilancio della pesca locale, alla quale avrebbero dovuto far seguito l’importazione della manifattura (anche se quest’idea viene presto abbandonata) e, soprattutto, l’esclusione dei pescatori stranieri. Si tratta di un tentativo di “territorializzazione” della filiera abbastanza comune nell’ambito di questa pesca e che incontreremo in altre occasioni. Il governo piemontese in cerca di un aiuto per la creazione di una marineria sarda specializzata nell’estrazione del corallo, si rivolge ai torresi con l’idea di fissare al territorio una manodopera qualificata indispensabile per far decollare l’impresa. Il progetto, è quello di convincere, tramite la concessione di una serie di facilitazioni e franchigie, un certo numero di pescatori forestieri ad installarsi in maniera permanente sull’isola, così da svolgere la propria attività in qualità di “nazionali” e insegnare ai marinai locali le tecniche di sfruttamento, individuazione dei banchi e così via125.

La proposta incontra qualche consenso e alcune decine di pescatori napoletani vanno in effetti a stabilirsi in Sardegna con le loro famiglie126. Ciò ha, però, in primis l’effetto di richiamare come mai prima di allora l’attenzione del governo del Regno di Napoli

124 Sui progetti dello stato sabaudo si veda, oltre al già citati lavoro di Giuseppe Doneddu sulla pesca

nel Tirreno, G. DONEDDU, La pesca del corallo tra alti profitti e progetti inattuati (sec. XVIII), in A. MATTONE,P. SANNA (a cura di), Alghero, la Catalogna, il Mediterraneo: storia di una città e di una

minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), Gallizzi, Sassari, 1994, pp. 515-526; E. MICHEL, Una

controversia tra i governi di Napoli e Torino per la pesca del corallo in Sardegna: 1766-1767, Tipografia

Ledda, Cagliari, 1928.

125 Come spiega Doneddu, «questa proposta si inseriva nel più ampio filone dei tentativi di

popolamento delle zone deserte, sollecitati dal governo piemontese, utilizzando colonie di forestieri che insegnassero ai sardi varie attività sconosciute o poco praticate sull’isola», G. DONEDDU, La pesca nelle

acque del Tirreno. op. cit., p. 520; Si vedano, a questo proposito, L. BULFERETTI (a cura di), Il riformismo

settecentesco in Sardegna, Editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1966;G. VALLEBONA, Carloforte. Storia di

una colonizzazione (1738-1810), Tamburino Sardo, Carloforte, 1962.

126 E. M

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sullo sfruttamento del corallo praticato dai propri sudditi. In quel momento, infatti, il governo partenopeo – ottenuto ormai lo stato di monarchia autonoma rispetto a quella spagnola – ha già iniziato da qualche tempo ad approvare una serie di riforme di stampo mercantilista volte a valorizzare la presenza commerciale e la rilevanza economica delle imbarcazioni regnicole sulle rotte del Mediterraneo e a rafforzare l’importanza della piazza napoletana, fino a quel momento decisamente dipendente da poli stranieri. Fra le iniziative per lo sviluppo del settore mercantile, oltre alla conclusione di diversi trattiti di commercio (ad esempio con la Francia) spicca la creazione, nel 1751, di una Compagnia Reale delle Assicurazioni Marittime della quale è tenuto a servirsi il traffico di bandiera napoletana127. Oltre alla navigazione commerciale, in quegli anni anche le normali attività alieutiche sono oggetto di un forte interesse da parte delle autorità centrali dello Stato128. In questo contesto, non sorprende che la notizia dei progetti piemontesi – favorire lo stanziamento dei torresi ed escludere in seguito i forestieri – incontri una forte opposizione a Napoli e inneschi una controversia diplomatica tra i due governi. Infatti, sebbene in quegli anni lo stato di crescita della pesca del corallo e le sue potenzialità non siano ancora dettagliatamente conosciute presso gli organi centrali del Regno, essa viene rapidamente inquadrata e riconosciuta come un’attività preziosa sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista pratico, in quanto, spiega Michel, «un considerevole numero di sudditi napoletani, praticando la pesca nei mari di Sardegna, si esercitava continuamente alla navigazione e da periti pescatori potevano all’occorrenza diventar più facilmente buoni marinai, atti al maneggio delle vele e del timone»129.

Di per sé la vicenda – che si conclude nel 1767 – non ha conseguenze serie sulle dinamiche della raccolta del corallo poiché, indipendentemente dalle istanze napoletane, le volontà piemontesi falliscono a causa dell’insufficiente dispiegamento di risorse destinate al progetto. Per questa ragione le coste sarde continuano ad essere terreno di sfruttamento per le flotte dei pescherecci stranieri. Negli anni successivi, tuttavia,

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A. M. RAO, Il Regno di Napoli nel Settecento, Guida, 1983, p. 89; su questi temi, si vedano anche, tra gli altri, F. ASSANTE, Il mercato delle assicurazioni marittime a Napoli nel Settecento. Storia della

«Real Compagnia», 1751-1802, Giannini Editere, Napoli, 1979; L. DE ROSA, Navi, merci, nazionalità,

itinerari in un porto dell’età pre-industriale: il porto di Napoli nel 1760, Istituto Italiano per gli Studi

Storici, Napoli, 1968.

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Si veda, ad esempio, A. GIORDANO, Pescatori, «paranzieri» e «cozzaroli». Trasformazioni e

conflitti nell’alieutica pugliese prima dell’Unità, Tesi di dottorato inedita, Università degli Studi di

Napoli, 2014-2015.

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l’attenzione della corte borbonica per la pesca del corallo non si affievolisce, ma, al contrario, passa ad essere considerata una risorsa fondamentale per il regno e che inizia ad integrarla con più convinzione all’interno di politiche più organiche e attente al ruolo che essa può ricoprire.

L’acme di questo crescente interesse – nonché il momento decisivo per il definitivo sviluppo dell’industria corallifera – è l’elaborazione e la promulgazione, nell’aprile del 1790, di quella importante opera di sistematizzazione e razionalizzazione che è conosciuta come Codice Corallino, la cui stesura viene affidata dal sovrano Ferdinando IV all’importante giurista Michele de Jorio, reduce in quel momento dalla compilazione del Codice marittimo (1781), altra grande opera di riordino, nonché una delle massime espressioni del riformismo borbonico che, tuttavia, non diventerà mai operativa130.

Sono gli stessi marinai e abitanti della Torre del Greco a richiamare, una volta ancora, l’attenzione della monarchia partenopea sul corallo, tramite una supplica presentata al Re Ferdinando IV il 5 aprile 1780 e trasmessa per competenza al nascente Supremo Magistrato di Commercio, organo giudiziario superiore dalla giurisdizione molto estesa131. In tale documento, i corallari lamentano la mancanza di una buona regolamentazione e di opportuni provvedimenti a difesa della propria industria. Secondo i torresi, se lo sfruttamento del corallo nei decenni precedenti è cresciuto in maniera importante, tale processo di sviluppo è avvenuto in maniera disordinata e disorganica, permettendo quindi il fiorire di numerosi abusi e problematiche, soprattutto dal punto di vista dei rapporti interni alla società dei pescatori e armatori. Una delle maggiori ragioni di contrasto, per fare un esempio, è l’abitudine dei marinai torresi di incassare l’anticipo concesso dai patroni di barca per poi abbandonare l’equipaggio e passare ad un migliore offerente. Si tratta di una pratica particolarmente dannosa che i padroni non riescono però a contrastare132.

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Sul Codice marittimo, si veda, C. M. MOSCHETTI, Il Codice marittimo del 1781 di Michele de

Jorio per il Regno di Napoli: introduzione e testo annotato, Giannini, Napoli, 1979.

131 Sul Supremo Magistrato di commercio, si vedano, M. N

ATALE, Per una «pronta e spedita»

giustizia. Il Supremo Magistrato del Commercio di Napoli e le sue ascendenze francesi, in B. SALVEMINI

(a cura di), Lo spazio tirrenico nella grande trasformazione. Merci, uomini ed istituzioni nel Settecento e

nel primo Ottocento, Edipuglia, Bari, 2009; A. ALLOCATI, Il Supremo Magistrato del Commercio del

Regno di Napoli (1739-1808), in «Studi economici», X, n. 1-2, 1955, p. 115.

132 V. F

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Non ci soffermeremo qui sui dettagli effettivi di quest’opera, già ampiamente studiata e analizzata da studiosi quali Leone Adolfo Senigallia133 e i già citati Giovanni Tescione e Vittoria Ferrandino. Basti ricordare, che il nuovo regolamento interviene praticamente su ogni aspetto relativo all’organizzazione della pesca, rispettando la consuetudinaria conformazione socio-economica dell’impresa, ma fissando norme assai più precise e armoniose.

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