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L’iconografia della lavoratrice

L’iconografia del suffragio

3. Cultura politica femminile ed auto-rappresentazione: un’immagine “tutta per sé”?

3.2. L’iconografia della lavoratrice

Oltre a reclamare il voto in quanto madri, le donne lo richiedevano come contribuenti e lavoratrici. Il Common Cause, organo della NUWSS, pubblicava nel 1911 una vignetta in cui ci si chiedeva perché le donne, pur essendo capofamiglia e contribuenti, non potessero votare (fig. 14). Questa situazione paradossale era già stata denunciata alla fine dell’800 dalle donne borghesi e forme di protesta basate sul rifiuto di pagare le tasse furono messe in pratica grazie alla costituzione, nel 1909, della Women’s Tax Resistance League (fig. 15).

Accanto alle borghesi, il movimento mobilitò anche donne di altre classi sociali, utilizzando spesso l’immagine della lavoratrice sfruttata. Molte delle donne che lottavano per il suffragio sentivano, infatti, l’urgenza e la necessità di cambiare anche le condizioni di vita e di lavoro, di aumentare i salari e migliorare l’istruzione e la sanità. Il percorso politico del suffragismo incrociava, così, quello della classe operaia e delle sue organizzazioni per le quali l’accesso al voto era altrettanto cruciale.

Come per i lavoratori, il voto rappresentava anche per le lavoratrici un fattore rilevante di protezione sociale, assumendo il valore simbolico di presupposto per il cambiamento.

In una vignetta del 1908 (fig. 16), Mary Lowndes raffigurava sotto la pioggia battente una lavoratrice che, a differenza del suo interlocutore, è priva di protezione - l’ombrello come diritto di voto - : la necessità di guadagnarsi da vivere è l’argomento che la donna oppone all’uomo che la invita, per non bagnarsi, a starsene a casa. E intorno al 1912, un manifesto del SA contrapponeva l’ombra nella quale era raffigurato lo sfruttamento del lavoro femminile, privo di diritti e rappresentanza, alla luce simboleggiata dal suffragio.

Fig.14 Common Cause, 5/1/1911 (fonte: The National Archives)

Fig.16 Mary Lowndes, Cartolina per la ASL, 1908 (fonte: Museum of London)

Anche nella stampa maschile il voto era presentato come strumento di cambiamento e di forza. Nel 1913 sul supplemento del Labour Leader, giornale dell’Indipendent Labour Party (ILP), Henry Holiday, noto artista della cerchia preraffaellita, interpretava graficamente un testo di Jessie Mothersole che illustrava la necessità dell’alleanza fra suffragismo e laburismo: una figura maschile impugna un’ascia -il voto- e abbatte i rovi dell’ignoranza e del pregiudizio che imprigionano una donna. Entrambe le figure erano presentate secondo un modello idealizzante, contrariamente alla più consueta rappresentazione del lavoratore, dai tratti vigorosi e tipicamente maschili (fig. 17).

Questo tipo di raffigurazione era una costante dell’immaginario socialista per il quale il rapporto con la differenza femminile era risultato sempre problematico, fin dalla nascita nel 1893 dell’ILP. Lo prova il disegno per la prima conferenza nazionale del partito (fig. 18) in cui Leon Caryll fa coincidere l’immagine dell’ILP con una possente figura maschile che spezza le catene della schiavitù al capitalismo: la stessa idea di lavoro

viene, così, identificata con l’immagine del lavoratore di cui si enfatizzano i caratteri virili, forza e vigore.

Un’ulteriore dimostrazione è la travagliata esecuzione dello stendardo dell’ILP per il quale Caryll realizzò due disegni pubblicati su The Workman's Times nel 1893. Nella prima versione, la classe lavoratrice era rappresentata da due uomini, le solite figure muscolari. Solo in seguito ad una formale protesta, Caryll apportò una correzione inserendo due donne, raffigurate sedute e in abiti da lavoro, un lavoro stereo-tipicamente femminile (figg. 19-20).

Fig.17 Henry Holiday, Labour Leader, 9/1/1913(fonte: Labour History Archive) Fig.18 Leon Caryll, Disegno per la prima conferenza nazionale dello ILP, 1893

Figg.19-20 Leon Caryll, Prima e seconda versione del disegno per lo stendardo

ILP, The Workman's Times, 1893 (fonte: The British Library)

In quegli anni, tuttavia, la produzione grafica rivelava anche l’urgenza per le donne di esprimersi con voce propria sulle questioni che le riguardano. E’ quanto mostra Emily Ford9 in un manifesto del 1908, utilizzato come

copertina del pamphlet di Maude Royden Votes and Wages. Qui Ford raffigura un’operaia critica nei confronti delle leggi del Parlamento inglese che regolamentavano il lavoro femminile nelle fabbriche: “Che faccia tosta, non sono mai stata interpellata” recita la didascalia (fig. 21). Una situazione che appariva più stridente e paradossale quanto più si estendeva nella società e nel lavoro la presenza femminile. Così in un poster del 1912 del SA si rappresentavano alcune delle attività che le donne in quel momento potevano già esercitare, sebbene non godessero ancora del diritto di voto, contrapposte a comportamenti “indegni” che gli uomini potevano aver tenuto senza per questo aver perso quel diritto (fig. 9 (1850-1930) dopo un esordio realista, sviluppò un linguaggio orientato al Simbolismo, evidente nelle opere a soggetto religioso. Interessata alla scrittura, fu vice presidente dell’ASL.

22).

Lo stesso principio ribadiva Emily Harding Andrews10 nel manifesto

Convicts and Lunatics, realizzato intorno al 1908 per l’ASL (fig. 23). L’illustrazione mostra una donna colta rinchiusa in gabbia con un pazzo ed un detenuto; il testo accomuna i tre soggetti, tutti esclusi dal voto.

Il lavoro è stato interpretato, anche di recente, in termini critici: espressione di una richiesta femminile di accesso al voto sostenuta sulla base della superiorità -culturale e di nascita- delle donne, una critica in linea con l’accusa rivolta a parte del suffragismo di essere stato segnato da una pesante matrice classista. In realtà, appariva chiaramente già allora una questione che avrebbe diviso le organizzazioni femministe: se fosse utile conseguire il diritto di voto anche se non tutte le donne avrebbero potuto goderne. Se pure le organizzazioni femminili avevano, infatti, cercato alleanze con liberali e socialisti, per alcune di loro la lotta per il voto assunse progressivamente autonomia rispetto a qualsiasi altro movimento riformista, nella consapevolezza che il voto femminile assumeva una grande valenza simbolica.

Fig.21 Emily Ford, Manifesto per la ASL, 1908 (fonte: Museum of London)

Fig.23 Emily Harding Andrews, Manifesto per la ASL, ca.1908 (fonte: Library of

Congress)

Non si trattava solo di estendere alle donne i diritti maschili, c’era in palio una questione di libertà e la piena consapevolezza della propria soggettività politica: “Come suffragette abbiamo … la missione più grande al mondo: liberare metà dell’umanità e grazie a questa libertà salvare l’altra metà”, scriveva Emmeline Pankhurst su Votes for Women, nel 1912.

Né liberali né socialisti, d’altro canto, avevano dato prova di perseguire con efficacia l’impegno per il voto alle donne. Significativa, al riguardo, la grafica satirica realizzata da A. Patriot11 per criticare la “doppia faccia”

mostrata nei confronti del voto femminile dal primo ministro Herbert Henry Asquith. In un poster del 1910 prodotto per la WSPU, Asquith è raffigurato mentre affronta il re da “rivoluzionario”, sostenendo le regole democratiche contro i privilegi di nascita e, contemporaneamente, mentre conferma alle suffragiste che il diritto di governare appartiene solo agli uomini aristocratici.

È nell’opera di Sylvia Pankhurst12 che si condensano, invece, le principali

questioni legate al difficile rapporto fra movimento suffragista e socialismo, per lei sempre intimamente connessi.

Profondamente interessata al rapporto fra lavoro, libertà e rappresentazione politica delle donne, Sylvia fu capace di affrontare con sguardo autonomo il tema del lavoro, tanto presente nell’arte dell’Ottocento. Le ragioni di tale indipendenza stanno soprattutto nel fatto che, per Sylvia, la condizione di classe prende senso e si incarna in corpi sessuati. Con articoli, poesie, dipinti contribuì a colmare un limite nel discorso pubblico sulla rappresentazione del lavoro femminile, mostrandone le condizioni dure e difficili, registrando l’asimmetria fra retribuzioni maschili e femminili, ma soprattutto restituendo una dimensione inconsueta del lavoro per le donne: il suo essere, sebbene problematico, importante fattore di identità.

La trattazione del tema iniziò nel 1907, nell’Inghilterra settentrionale ed in Scozia (fig. 24). Se dal punto di vista formale non si allontanano dai modi tradizionali del Realismo, le raffigurazioni del lavoro femminile forniscono una risposta interessante ed originale riguardo al senso di questa rappresentazione. La sua interpretazione supera sia l’atteggiamento di simpatia nei confronti delle lavoratrici, sia quello di denuncia e critica dell’industrializzazione: Pankhurst non riduce la lavoratrice a tipo, non ne fa simbolo di relazioni sociali, piuttosto trova una strategia che le consente di congiungere, nella dimensione estetica, le istanze etiche e sociali che la questione del lavoro poneva, facendo coesistere l’aspetto monumentale e quello decorativo nella 12 (1882-1960) artista, scrittrice, attivista politica, scrisse su Votes for Women e fu autrice della prima storia del movimento (1911), cui seguì un altro resoconto di taglio più autobiografico (1931). Il suo lavoro politico fu profondamente intrecciato con quello artistico svolto per la WSPU fino al 1914, quando il contrasto politico con la madre e la sorella portò alla separazione e alla radicalizzazione delle posizioni di Sylvia nel socialismo. Sempre impegnata per il suffragio, aderì al Partito Comunista Britannico ma ne fu espulsa nel 1921, poiché riteneva che l’attività parlamentare non dovesse far parte della pratica comunista. Rimase attiva nel pacifismo e contro il razzismo. Nel 1956, invitata da Haile Selassie, si trasferì in Etiopia dove rimase fino alla morte.

rappresentazione della materialità dei corpi, della quotidianità, del lavoro. Lo fa, valorizzando l’aspetto documentaristico, nella precisione della resa degli ambienti e nella ricostruzione attenta degli strumenti.

La figura della lavoratrice compare, invece, solo sporadicamente nelle opere realizzate per il movimento suffragista. La troviamo in due disegni del 1906-07: uno utilizzato per tessera e poster della WSPU, l’altro per uno stendardo. Nel primo (fig. 25), le lavoratrici in grembiule, scialle e zoccoli sono presentate in forme semplificate, essenziali con larghe superfici omogenee di colori brillanti e chiari, un linguaggio diverso sia da quello proposto nel “ciclo” delle lavoratrici, sia da quello adottato nell’opera grafica e di design prodotta per la WSPU.

Da quel momento, Sylvia avrebbe impiegato una modalità espressiva vicina ai modi dell’arte preraffaellita, in particolare al linguaggio formale di Walter Crane di cui avrebbe reinterpretato l’immagine dell’angelo usata in Freedom (1885). Dopo il 1907, infatti, Sylvia disegnò un angelo della libertà -una donna alata che suona una tromba dall’elegante profilo- che avrebbe avuto largo impiego, come logo, nel materiale promozionale disegnato per l’associazione (fig. 26). Nello stesso periodo furono ideati altri due loghi: l’immagine della donna che si lascia alle spalle una prigione mentre, accompagnata da colombe in volo, calpesta le sue catene (fig. 27) e quella della seminatrice di grano.

Nel 1909, Sylvia utilizzerà queste tre rappresentazioni anche nelle decorazioni murali per la grande esposizione allestita nella sala del Prince’s Skating Rink, a Londra. In poco più di due mesi, l’artista eseguì un lavoro imponente decorando con pitture su tela (poi distrutte) le pareti di un ambiente imponente (fig. 28). Le figure femminili furono combinate con altri soggetti, a definire una figurazione ricca di elementi simbolici in cui le immagini si accompagnavano a versi dei Salmi.

Fig.24 Sylvia Pankhurst, Scotch Fisher Lassie Cutting Herrings, 1907 Fig.25 Sylvia Pankhurst,Tessera per la WSPU, 1906 (fonte: Redbridge Museum)

Figg.26-27 Sylvia Pankhurst, Programma della Women’s Exhibition,1909 e Logo della WSPU, 1908 (fonte: Museum of London)

Fig.28 Christina Broom, Women’s Exhibition,1909 (fonte: Museum of London)

I soggetti si sviluppavano in una sequenza di arcate dipinte con motivi stilizzati di grappoli, foglie d’edera, rose. Il fronte dell’ingresso si articolava su tre pannelli: quelli laterali erano decorati con il motivo del mandorlo in sboccio e dei fiori primaverili (simbolo di rinascita), quello centrale con la figura imponente della seminatrice che avanza fra i fiori selvatici mentre tre colombe in volo intrecciano ramoscelli d’ulivo e i cardi (simbolo di avversità) restano sullo sfondo. Sul fronte opposto, il pannello mediano era occupato da tre immagini femminili in trionfo: al centro, fra due figure alate con strumenti musicali, una donna con un fascio di spighe di grano avanza su un prato fiorito, sullo sfondo il sole. Sulle pareti lunghe della sala si ripetevano alternativamente tre motivi simbolici: il pellicano che si becca il cuore -simbolo del sacrificio di Cristo-, la freccia dorata racchiusa in una corona di alloro -la vittoria- e la colomba, segno di speranza.

Fra gli oggetti appositamente prodotti per quell’occasione fu realizzato anche un raffinato servizio da the per la sala del rinfresco, poi messo in vendita.

L’uso consapevole del marchio quale efficace strumento di propaganda costituì un elemento chiave del successo delle iniziative promosse dalle organizzazioni suffragiste, soprattutto dalla WSPU cui la competenza professionale e l’efficacia espressiva di Sylvia concorsero a dare salda identità e grande coerenza visiva, facendone uno dei gruppi che più contribuirono alla costruzione di un immaginario e di un simbolico originali. 3.3. Relazioni e genealogie femminili nell’immaginario del suffragio

Nella costruzione dell’immaginario del suffragio, un ruolo importante ebbero le grandiose rappresentazioni sapientemente predisposte per le parate: quadretti teatrali, scene allegoriche, tableau vivant messi in scena con efficacia pittorica dalle artiste. Ricca di significato per il forte impatto visivo e l’efficacia delle performance, fu in particolare la parata nazionale tenutasi negli Usa nel Marzo 1913, in coincidenza con la cerimonia per l’elezione del presidente Wilson. Era aperta dall’avvocata e attivista Inez Millholland su un cavallo bianco. Seguivano donne e bambini in costumi classici che rappresentavano la Libertà, la Giustizia, la Pace, oltre a figure femminili della storia -Saffo, Elisabetta I, Giovanna d’Arco.

Le sfilate e le marce erano segnate fisicamente e simbolicamente da bandiere, vessilli e stendardi che le coloravano ed arricchivano (fig. 29).

L’uso degli stendardi era stato introdotto dalle organizzazioni sindacali fin dagli anni venti dell’ '800, per rappresentare le identità e gli obiettivi delle associazioni dei lavoratori. Già dal 1837, più di tre quarti degli stendardi prodotti in Gran Bretagna erano fabbricati dalla ditta Tutill che ne avrebbe detenuto il monopolio per più di centocinquanta anni. Si trattava di prodotti in seta dipinti ad olio, contrassegnati dai simboli dell’unione e da raffigurazioni allegoriche dei vantaggi che la fratellanza avrebbe

comportato per i lavoratori.

Le suffragiste fecero grande uso degli stendardi, ma il loro valore va ben oltre la funzione e le qualità estetiche che li caratterizzarono, poiché le donne si appropriarono di questo strumento per risignificarlo alla luce di una volontà di espressione libera ed autonoma: diversificandoli tanto per contenuto, quanto sul piano formale, resero i propri stendardi portatori di un altro discorso.

Significativi in tal senso furono quelli disegnati da Mary Lowndes per la manifestazione di Londra del 13/6/1908, dedicati a grandi donne del passato fra cui Boadicea, Santa Caterina, Elisabetta I, Jane Austen, Mary Wollstonecraft, Lucy Stone. Fra i vessilli che rappresentavano municipalità, associazioni, organizzazioni professionali e mestieri, spiccava quello delle Cambridge Alumnae con la scritta significativa Better is Wisdom Than Weapons of War, a sottolineare il diverso orientamento delle donne che rivendicavano come proprie armi la saggezza e la sapienza (figg. 30-31-32).

Non si trattava, quindi, solo di sostituire contenuti: gli stendardi proponevano, visivamente, la continuità della storia delle donne, la loro genealogia simbolica, un riferimento imprescindibile alle donne del passato (e del presente) come mai era stato mostrato con tanta forza e consapevolezza. L’operazione restituiva il senso di una soggettività politica cosciente della propria differenza e orientata alla libertà: lo si leggeva nel motto Dare to be free, sullo stendardo della WFL, disegnato da Mary Sargant Florence13.

13 (1857–1954) pittrice, muralista, studiosa -scrisse di teoria del colore- partecipò nel 1912 e nel 1930 alla Biennale di Venezia. Con Charles Ogden scrisse Militarism versus

Fig.29 Christina Broom, Manifestazione NUWSS, 1908 (fonte: Museum of London)

Figg.30-31-32 Mary Lowndes, Stendardi per la ASL, 1907-22 (fonte: Museum of

Anche dal punto di vista formale, erano rilevanti le differenze rispetto agli stendardi dei sindacati: quelli per il suffragio erano sempre progettati da artiste e ricamati o decorati con applicazioni di altissima qualità, opera di donne abili nei lavori di ago. Ciò consentì alle suffragiste di assicurare un eccezionale carattere estetico alle manifestazioni pubbliche e di differenziare i propri prodotti da quelli commerciali e ordinari che Mary Lowndes aveva criticato nel suo pamphlet sulla fabbricazione di stendardi. Non che si trattasse di una novità: prima dell’avvento della manifattura Tutill gli stendardi erano prevalentemente ricamati; in epoca vittoriana, inoltre, era iniziata la rivalutazione della tradizione medievale inglese del ricamo che proprio nelle antiche insegne delle corporazioni e negli stemmi gentilizi mostrava i diretti antecedenti degli stendardi ottocenteschi. Il clima culturale vittoriano, però, aveva determinato una rilettura della storia, orientata alla conferma degli stereotipi del proprio tempo. Il prodotto del lavoro di abili artisti del medioevo -uomini e donne- veniva, così, occultato e ricondotto nell’ambito privato di una decorazione eseguita nelle corti o nei conventi da gentildonne o monache, cioè donne impegnate a ricamare per diletto o per amore: una conferma indiretta di una rappresentazione a-temporale e domestica della femminilità borghese.

La scelta delle suffragiste di utilizzare cucito e ricamo in un’impresa politica assumeva, invece, un significato simbolico. Lo esplicitava Lowndes, collegando passato e presente: “in ogni epoca è stato compito delle donne fabbricare stendardi, se non portarli” ma la novità del nuovo secolo è che, per la prima volta, “i diversi colori dei lavori d’ago” delle donne possono “illuminare la loro avventura”, poiché sulla scena pubblica ha fatto la sua comparsa la soggettività politica femminile, “partiti politici iniziati da donne, retti da donne e sostenuti da donne” (Lowndes,1909: 2). Valorizzate e proiettate in una dimensione politica, le esperienze estetiche tradizionali delle donne venivano, così, a sfidare i confini tra arte ed artigianato, fra dimensione pubblica e privata, affrancandosi

dall’immagine stereotipata di una femminilità pura e domestica che costituiva la cifra specifica dell’Inghilterra vittoriana.