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Identità e riconoscimento delle competenze

Le donne nei luoghi di lavoro Racconti di pratiche di resistenza e la sfida del lavoro ben fatto

3. Dalla narrazione all'interpretazione

3.2. Identità e riconoscimento delle competenze

Il lavoro dovrebbe rappresentare lo strumento attraverso cui mettere in atto le proprie competenze e quindi avere un riconoscimento personale e sociale. Spesso invece nei luoghi di lavoro si generano forti conflitti strutturali e relazionali tali da limitare l'espressione delle specificità professionali di chi vi opera. E' questo seconda prospettiva a caratterizzare spesso la condizione lavorativa delle donne, costrette ad usare abilità molto distanti o addirittura contrastanti con le loro competenze specifiche ma che sono quelle loro richieste per avere un ruolo, per assumere una posizione nella sfera produttiva della società. La visione accattivante di un'identità come luogo aperto, mutevole, modificabile e la cui costruzione sociale è determinata dalle specificità individuali rimane, almeno rispetto alle donne, di difficile attuazione. Si generano invece progettualità fragili, si impara a gestire più compiti ma in una condizione di debolezza che limita la capacità di attuare scelte e cambiamenti. La soggettività e le capacità si perdono dietro al prevalere di modelli tradizionali e stereotipati che mettono a rischio la costruzione soggettiva del ruolo professionale, l'autoriconoscimento identitario, la solidità della progettualità individuale.

Se si assume come strategico il legame tra identità lavorativa e riconoscimento sociale ai fini del posizionamento nella società, allora, si può immaginare che si sia creato un forte scompenso psico-sociale nell'universo femminile sofferente da tempo per ruoli instabili e per ricorrenti arretramenti professionali. Questo forte squilibrio di genere attua tra l'altro un gravissimo spreco di risorse in termini di capitale umano, in particolare di molte giovani donne che non vengono impegnate in attività coerenti con i titoli di studio posseduti (Zajczyk, 2007). Il posizionamento delle donne nel mondo del lavoro avviene dunque attraverso percorsi di adattamento e di adeguamento che possono nel tempo produrre una separazione netta tra la dimensione identitaria e quella delle competenze. Per approfondire questo aspetto può essere utile ricorrere alla prospettiva teorica interazionista che ha indicato dietro lo scenario post-moderno della

pluralizzazione dei sé il rischio di un progressivo annullamento della soggettività. In particolare, è il sociologo Erving Goffman (1977) a evidenziare che gli spazi di vera autonomia si riducono a causa dell'agire di "genderismi" che dominano le rappresentazioni simboliche e culturali ridimensionando la donna da attiva in passiva, da protagonista a sottomessa. Egli sviluppa, in modo acuto e originale, una riflessione teorica sul genere6 attraverso la quale mette in evidenza i meccanismi di

stabilizzazione nelle società contemporanee delle identità maschili e femminili. Questa sua elaborazione, frutto soprattutto di un lavoro fatto su materiale visivo sia fotografico che pubblicitario, suggerisce come le differenze di genere si strutturino e consolidino quotidianamente attraverso la messa in atto di modelli comportamentali e rituali. In particolare, di rilevante interesse risultano le osservazioni che egli propone rispetto proprio al mondo del lavoro, dove a suo avviso le identità di genere agiscono in modo subdolo ed ambiguo condizionando la libertà di azione delle donne.

Goffman (1979) pensa che sotto l'apparente dominio di principi universalistici ed egualitari gli ambiti lavorativi siano in realtà luoghi dove i soggetti vengono chiamati spesso a rispondere in base alle loro appartenenze di sesso più che alle loro capacità professionali: così avviene che gli uomini spesso agiscano attuando forme ritualistiche di dominio e invece le donne di sottomissione. Secondo lo studioso si tratterebbe in realtà di una presa in considerazione delle donne attraverso rituali ed etichette - gentilezze, galanterie - che in apparenza sembrano alzare di considerazione la donna ma che in realtà raggiungono lo scopo di toglierle autonomia facendola diventare da professionale a "decorativa". Molto efficace è l'esempio che Goffman utilizza e che è riferito al presidente Nixon il quale, a fine di una importante riunione con la stampa nella stanza ovale, sposta la discussione sul bell'aspetto di una affermata giornalista lì

6 Da metà anni Settanta Erving Goffman produce alcuni scritti proprio sul genere considerati ingiustamente come minori da molta critica e che vengono ripresi in parte dal pensiero femminista post-strutturalista.

presente che, in modo inesorabile, si trasforma da soggetto competente a oggetto di valutazione. Lo studioso in qualche modo ci avverte dell'agire di una costruzione performativa del genere che può mettersi in atto in modo incidentale e gratuito (Sassatelli, 2010). Nella vita quotidiana gli individui sono così chiamati a rispondere delle loro identità di genere e le donne in particolare devono imparare a gestire l'ambivalenza tra il voler avere un ruolo attivo e professionalmente determinato nella società e l'essere obbligate a stare dentro i caratteri tradizionali della femminilità poco orientati all'autonomia.

Valentina (impiegata, 41 anni, laureata, coniugata, due figli):

Il lavoro per me rappresenta qualcosa di diverso rispetto a tredici anni fa, quando ho cominciato a lavorare, oggi per me il lavoro è la mia dimensione sociale e non solo personale, è il mio contributo alla società da cui poi io ho un ritorno non solo economico. (...) All'inizio era diverso perché lo vedovo come una relazione solo personale e mi aspettavo cose che il lavoro non ti può dare. (...) Le donne hanno purtroppo l'abitudine a guardarsi con gli occhi degli altri e ad adeguarsi ai modelli prevalenti mentre dovrebbero trovare la loro dimensione, anche se è difficile perché è un percorso lungo. (...) Le donne della generazione precedente alla mia erano molto più forti di noi, si sono spese molto per il lavoro, hanno faticato tanto ma hanno anche ottenuto molto, oggi invece le donne faticano tanto ma non hanno un granché in cambio. Quelle donne avevano un'identità familiare molto forte, innanzitutto erano madri, anche quando poi emergeva che per loro era centrale lavorare. (...) L'emancipazione per le donne non dovrebbe avvenire attraverso la sofferenza, cioè il dover adeguarsi ai ruoli e ai modelli imposti, cioè dover assumere sempre un abito che secondo gli altri è il tuo.

4. Pratiche di resistenza e ripensare il lavoro in termini di