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Strategie di adattamento, conseguenze inattese e effetti perversi della normativa

Genere e potere nei consigli di amministrazione: strumenti legislativi e pratiche informali nella

4. La rappresentanza femminile nei CdA: rappresentazioni, reclutamento, esit

4.3. Strategie di adattamento, conseguenze inattese e effetti perversi della normativa

Nel paragrafo precedente abbiamo tratteggiato le principali caratteristiche di alcune figure femminili che si stanno affacciando ai consigli di amministrazione a seguito degli obblighi di legge recentemente introdotti. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, si tratta di profili molto differenziati: alcuni di essi esprimono senza dubbio una elevata competenza, andando nella direzione auspicata dai sostenitori delle quote; altri, invece, sembrano essere selezionati cercando di combinare la necessità di ottemperare ai vincoli normativi sul piano formale con il desiderio di non mutare gli assetti preesistenti sul piano sostanziale. In questo modo, mediante la definizione di strategie di adattamento di tipo difensivo, azionisti e amministratori tentano di mantenere inalterati i rapporti di potere all’interno dei loro organi decisionali. Tali strategie consistono essenzialmente in due punti: la nomina di donne “silenti” o “poco ingombranti” (Int. 1, Consigliere) e la preservazione delle posizioni di coloro che detengono maggiori poteri e capacità di indirizzo negli organi di gestione dell’azienda. A questo proposito, presentiamo qui due esempi che sono stati messi in luce nel corso delle interviste.

Il primo, a cui abbiamo già accennato, prevede una conservazione effettiva delle posizioni di rilievo: esso consiste infatti nell’ampliare il numero di componenti del CdA in modo da non dover procedere a una sostituzione di alcuni dei vecchi membri per lasciare spazio a soggetti che garantiscono il rispetto delle quote di genere.

Il secondo esempio prevede invece una conservazione de facto del ruolo degli amministratori più rilevanti: alcuni di essi, infatti, possono formalmente abbandonare il loro posto in consiglio, collocandosi però in posizioni molto vicine a esso e dunque mantenendo inalterato o quasi il proprio potere decisionale e la propria capacità di influenza:

Vi è stata per esempio nelle società di cui faccio parte un’attenzione anticipata al discorso delle quote rosa. Quindi prima dell’entrata in vigore della normativa, nelle società che hanno rinnovato i consigli di amministrazione in questa tornata, molte di quelle che conosco hanno già dato attuazione a quelle che sono le disposizione di legge, quindi anticipando di fatto quelle che erano le cose. Io stesso che facevo parte di consigli di amministrazione, l’anno scorso avevo pregato di dimettermi per lasciare il posto a persone di genere femminile, proprio per iniziare il bilanciamento, proprio come segno di sostegno a questa legge: per cui sono rimasto ma come segretario del consiglio, di fatto non è che sia cambiato molto, però non sono più consigliere da nessuna parte (Int. 15, Consigliere).

Gli esempi a cui abbiamo fatto riferimento, pur riguardando solo una porzione dei processi di ricambio degli amministratori innescati dalla legge Golfo-Mosca, aprono ad alcune riflessioni circa il possibile fallimento – da un punto vista sostanziale, non formale – della regolazione della rappresentanza di genere.

Un primo aspetto critico, lo abbiamo già mostrato, attiene alla selezione di donne non qualificate. Non è detto però che, anche qualora la scelta ricada su donne con una elevata competenza, l’obiettivo di fondo perseguito da un intervento regolativo di promozione attiva della parità di genere sia centrato. Conta, in questo caso, una seconda dimensione a cui abbiamo già fatto riferimento: quella dei canali di reclutamento attivati. Infatti, se la selezione delle consigliere avverrà solo o in massima parte

mediante contatto personale, il risultato non sarà, come auspicato dal legislatore, un’apertura dei centri decisionali e gestionali delle aziende a una nuova e indipendente generazione di amministratrici. Piuttosto, si verificherà l’ingresso nei consigli di donne – qualificate e non – che vantano relazioni personali (e eventualmente professionali) molto strette con i membri della corporate élite italiana, tanto che è difficile non considerare esse stesse parte di una cerchia esclusiva. Dato questo scenario, assisteremo con ogni probabilità a complesse dinamiche di redistribuzione di ruoli e incarichi – formali e sostanziali – del tutto interne a un’élite definita, senza che questo vada a incidere nel profondo sui rapporti di potere attualmente definiti. È anzi possibile che – al fine di preservare lo stato di cose presente, evitando di attingere a risorse esterne alla propria cerchia di riferimento – il limitato numero di donne che già sono membri di consigli o che vi entreranno a breve, reclutate mediante canali fiduciari, sia chiamato a ricoprire un numero considerevole di incarichi, replicando e declinando al femminile uno degli aspetti più critici della struttura di corporate governance del nostro paese: il cumulo di cariche societarie.

Il quadro che abbiamo sin qui ricostruito getta alcune ombre sulla possibilità di innescare un vero e proprio cambiamento nella rappresentanza di genere all’interno della corporate governance del nostro paese. Tuttavia, non bisogna dimenticare che alcune delle pratiche di selezione delle nuove consigliere si discostano dalle logiche conservative dominanti: la costituzione di network di donne competenti e opportunamente formate, che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, rappresenta un esempio rilevante in questo senso.

Inoltre, secondo alcuni osservatori non è tanto importante sin da subito riuscire ad “aprire” i consigli alle donne “giuste”, quanto piuttosto creare una “finestra di opportunità” per la presenza femminile nei principali centri decisionali: l’istituzione di uno spazio definito normativamente permetterà con il tempo alle donne più competenti e capaci, anche prive di

appartenenze sociali di rilievo, di “emergere e dimostrare le loro qualità” (Int. 20, Rappresentante associazione di professioniste). Non è infatti da sottovalutare la capacità di rottura degli equilibri di una norma che, sebbene possa inizialmente incontrare alcune difficoltà di implementazione e suscitare reazioni di tipo difensivo, ha in sé le potenzialità per dare una forte scossa a un sistema bloccato:

Certo, all’inizio bisognerà un po’ aggiustare, come tutte le cose. Però [questa norma] rompe un po’ un sistema bloccato e speriamo che poi, come dire, faccia spazio a chi sta nel frattempo combattendo (Int. 11, Consigliere).

5. Conclusioni. La rappresentanza femminile tra glass ceiling