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Lavoro, identità e appartenenza genere

Le donne nei luoghi di lavoro Racconti di pratiche di resistenza e la sfida del lavoro ben fatto

1. Lavoro, identità e appartenenza genere

Il lavoro è al centro dell’identità sociale e le posizioni lavorative che i singoli occupano vanno lette come nodi strategici della stratificazione sociale: è il sistema di divisione del lavoro a generare la distribuzione delle risorse in una società. Gli individui lavorando partecipano direttamente al sistema produttivo ed accedono ad un sistema delle risorse che è corrispondente, o meglio speculare, al tipo di posizione lavorativa che essi ricoprono nella società. Questa concezione sociologica, centrale nel pensiero Durkheimiano, suggerisce una possibile soluzione teorica al complesso rapporto tra individuo e società, individuando nella divisione del lavoro sociale l'elemento cardine da cui discendono i nuovi ruoli funzionali degli individui che possono così esprimere attitudini e soddisfare bisogni. Ma questo meccanismo sistemico può contenere anche delle anomalie ed è lo stesso Durkheim (1962), in uno sviluppo successivo del suo pensiero, a sottolineare l'eventualità che la divisione del lavoro possa

produrre anche società patologiche1.

La teorizzazione di Emile Durkheim riconosce l'esistenza di un collegamento stretto, di una correlazione, tra l'esistenza di disuguaglianze sociali e l'operare di una divisione anomala del lavoro nelle società contemporanee. Questa ipotesi teorica suggerisce inoltre che i rapporti tra gli individui debbano costruirsi in base ad una forte eguaglianza di partenza: tutti dovrebbero poter esprimere le loro attitudini e queste dovrebbero essere il più possibile corrispondenti alle competenze socialmente distribuite. Se così non fosse, i rischi sarebbero: produzione di disuguaglianza; mancata integrazione delle parti nel sistema; non riconoscimento dell'individuo nei valori collettivi dominanti. Riconoscendo come ancora funzionale questa tesi che individua la posizione occupazionale di un individuo come attributo sociale, si possono meglio analizzare alcuni meccanismi di esclusione sociale che agiscono nella contemporaneità e che appaiono molto spesso legati a caratteristiche ascritte degli individui come ad esempio il sesso e/o l'etnia.

Una delle dimensioni dell'agire umano fortemente condizionata da tali elementi originari è quella del lavoro. Lo sviluppo delle società in forma moderna si è incentrato sull'occupazione dipendente standardizzata tipica delle grandi industrie - la figura che racchiude tale formula è quella del maschio lavoratore capofamiglia - e su tale prospettiva si è costruito il sistema delle opportunità e delle garanzie per tutta la collettività sociale. Dentro questo sistema gli uomini e le donne hanno operato da ineguali posizioni di forza, svolgendo mansioni differenziate sia rispetto al settore produttivo di inserimento (segregazione orizzontale) che alla posizione professionale (segregazione verticale). Così, mentre l'uomo diviene nella società moderna, attraverso il lavoro, elemento centrale della costruzione sociale - in linea con la teorizzazione durkheimiana - la donna assume un ruolo secondario nelle dinamiche economiche e produttive rimanendo a 1 È importante ricordare che Emile Durkheim andò oltre un'interpretazione strettamente economica della divisione del lavoro, soffermandosi a lungo sul ruolo del

lungo legata ad una dimensione identitaria prettamente riproduttiva2.

Nell'ultimo secolo sono avvenuti rilevanti cambiamenti nel ruolo lavorativo delle donne, la strada percorsa è stata quella di praticare una conciliazione tra lavoro e famiglia proponendo a livello societario modificazioni e aggiustamenti sia rispetto alle possibilità occupazionali che alla normativa di protezione sociale: la gestione della famiglia, l'inserimento in nuovi settori produttivi, la corsa all'istruzione.

1.2. Identikit della forza lavoro femminile

Oggi le donne iniziano a lavorare in età più avanzata, hanno un'istruzione più elevata che in passato e, pur se scoraggiate dalle circostanze, non vorrebbero smettere di lavorare. La coscienza femminile è cambiata ma la realtà occupazionale con cui si scontrano le donne è molto dura: i posti di lavoro aggiuntivi createsi dagli anni Novanta a oggi sono nati soprattutto al Centro-Nord e riguardano i cosiddetti lavori atipici. La crisi ha aggravato i problemi strutturali dell'occupazione femminile incidendo anche sul lato qualitativo: il tasso di occupazione è al 46% (siamo ultimi in Europa e posizionati solo prima di Malta) con un dato al Sud che scende al 30,5% mentre al Nord è intorno al 56,1%. Per trovare lavoro serve almeno la laurea infatti il tasso di occupazione per i bassi titoli di studio non supera il 17,4%. Il tasso di inattività femminile è molto elevato (48,9%) ed è sintomo di un forte scoraggiamento (Sabbadini, 2012).

Il rapporto donne e occupazione può essere quindi descritto come un percorso ad ostacoli: poco lavoro, sottopagato, precario e difficile da mantenere soprattutto se si decide di diventare madri (l'8,7% delle donne che lavorano o hanno lavorato dichiarano di essere state licenziate a causa di una gravidanza). Le interruzioni lavorative, quasi mai volontarie, colpiscono in particolare le più giovani - penalizzate fortemente nella possibilità di carriera nonostante gli elevati titoli di studio - e al crescere 2 Tale svantaggio posizionale viene indicato per la prima volta dal sociologo George Simmel che, anticipando in qualche modo la prospettiva di genere, sottolinea lo squilibrio strutturale e culturale tra i due sessi.

del numero dei figli questa penalizzazione si accentua. Le donne hanno ancora i maggiori carichi domestici e di cura e così la conciliazione dei tempi di vita conduce spesso ad un compromesso al ribasso: pochi figli, carriere interrotte, scarse realizzazioni.

Secondo il sociologo del lavoro Emilio Reyneri (2012) l'obiettivo di Lisbona del raggiungimento nel 2010 del tasso di occupazione del 60% per le donne - in Italia completamente disatteso - è stato posto dall'Europa al fine di promuovere un modello societario dove il lavoro svolga per le donne un ruolo essenziale nella costruzione della loro identità sociale, dell'autonomia personale e dell'autostima. Ciò che invece è avvenuto in Italia in questi anni è stato un aumento delle disuguaglianze di genere: difficoltà d'inserimento nel mercato occupazionale, titoli di studio non adeguatamente riconosciuti, aumento del rischio di disoccupazione (soprattutto al Sud dove supera il 20%), più bassi redditi rispetto agli uomini a parità di mansione. Sconcertante è l'abbandono del lavoro in gravidanza o dopo la nascita di un figlio, nel Mezzogiorno tale fenomeno riguarda una donna su quattro, soprattutto le meno istruite, a causa di un mercato del lavoro che si presenta molto più debole rispetto al Nord.

Emilio Reyneri fornisce un quadro più clemente soltanto quando traccia l'identikit della donna libera professionista: molto giovane, con alti titoli di studio, elevato livello professionale, impegnata in settori innovativi e qualificati. Peccato che questa descrizione riguardi una componente dell'occupazione femminile potenzialmente forte ma dal peso quantitativo ancora irrilevante: appena il 3% sul totale delle occupate.

Se questo quadro di sintesi, tracciato ricorrendo solo ad alcuni dei numerosissimi studi pubblicati, rappresenta la realtà del lavoro femminile oggi, allora diventa davvero lecito interrogarsi sugli esiti dei processi di costruzione identitaria che devono mettersi in atto all'interno di contesti così respingenti ed ostili per le donne.

L'identità sociale si forma attraverso l'esplicitarsi di molteplici interazioni nei diversi luoghi di vita quotidiana ed è quello lavorativo che svolge nella

nostra società, fin dalla sua prima modernizzazione, il ruolo di posizionamento e di riconoscimento pubblico. Non solo, ai fini della comprensione del rapporto individuo-società in chiave contemporanea è necessario che l'identità venga letta e interpretata come fluida e contingente, mutevole e molteplice. Rimane allora da chiarire, seguendo un ragionamento già indicato dal pensiero femminista, come si possa tenere insieme questa pluralizzazione identitaria con la necessità che il singolo si presenti con una sua unità coerente e conforme. Dentro questa prospettiva di analisi che mette in gioco il tema della ricerca di una sintesi biografica individuale, la dimensione lavorativa con le sue anomalie strutturali assume per le donne un peso smisurato (Piccone Stella, 2008).

Per insistere su questa lettura, può essere utile provare a riflettere sul problema di un insufficiente potere d'azione delle donne rispetto alla supposta aumentata capacità soggettiva di svolgere più ruoli, di scegliere tra le nuove chances occupazionali. Se osserviamo i percorsi di crescita identitaria, in particolare delle più giovani, è innegabile il fatto che queste si siano fortemente individualizzate - prolungata scolarizzazione, elevata formazione, scarsa adesione al compito domestico - ma la realtà del mercato del lavoro tende poi a frenare le progettualità e a limitare la messa in pratica di ruoli possibili. La crisi economica ha aggravato i problemi strutturali dell'occupazione femminile sia in termini quantitativi che qualitativi: aumento dei fenomeni di segregazione orizzontale e verticale; crescita del part-time nella componente involontaria (soprattutto nei servizi); sottoutilizzo del capitale umano.