• Non ci sono risultati.

Il background e il foreground della ricerca

3. LE PROBLEMATICHE SOTTESE AI CONTRATTI DI LICENZA DI

3.1. I PIÙ RECENTI SVILUPPI DELL ’ ANALISI ECONOMICA DELLE LICENZE DI INVENZIONI

3.2.7. Il background e il foreground della ricerca

141

redazione del contratto medesimo, con le eventuali garanzie ed obbligazioni ad esso annesse. Tutte le informazioni scambiate in questa fase, cioè, costituiscono un elemento prezioso ed ineliminabile per la costruzione dell’architettura contrattuale266.

Se tutto quanto sinora detto vale per la fase pre-contrattuale, occorre adesso soffermarsi sul cuore del rapporto contrattuale, ovvero sul processo di formazione della tecnologia da trasferire e successivamente trasferita. È evidente, infatti, che la tecnologia è il risultato di una ricerca-analisi-studio che muove da conoscenze preesistenti (back-ground) e di un avanzamento successivo volto a raggiungere nuove informazioni (fore-ground). I problemi che possono nascere dalla commistione di questi due saperi è di immediata evidenza, specie se si pensa ai casi dei rapporti di collaborazione fra le parti in gioco (ricerca congiunta), per cui le rispettive conoscenze si vengono a mescolare in un unicum senza soluzione di continuità. O ai casi in cui i risultati della ricerca congiunta devono essere suddivisi in termini di con-titolarità fra le parti. In tutte queste ipotesi non è agevole capire dove inizia e finisce il sapere dell’una e dell’altra parte. È chiaro, infatti, che per i casi di ricerca individuale, ove cioè sia solo uno sia il soggetto che ricerca salvo poi licenziare all’esterno la commercializzazione-distribuzione del trovato, non sorgono problematiche per la condivisione del back-ground detenuto da altri. In questo caso, infatti, se dovesse sorgere la necessità di una condivisione di back-ground fra le parti in causa, non resterebbe che stipulare un apposito accordo di collaborazione oppure ricorrere al ben noto Material Transfer Agreement. Lo stesso dicasi quanto al fore-ground nel caso di ricerca individuale.

Ancor qui, la ripartizione dei risultati è rimessa alla scelta delle parti, non essendovi alcuna limitazione a priori al riguardo: normalmente il fore-ground verrà attribuito solo ad una delle parti coinvolte. Nel caso di ricerca sponsorizzata, ma pur sempre condotta su base individuale, i risultati sono generalmente dell’ente (salvo opzioni del finanziatore, vedi nel caso italiano l’art. 65, comma 5 del D.lgs 30/2005), nel caso di ricerca commissionata il

266 In particolare, deve essere assolutamente prediletta la segretezza dell’operazione (specie quando si è in pendenza del deposito di una privativa industriale) senza che, però, l’assunzione di vincoli di riservatezza possa impedire a una delle parti di utilizzare l’informazione. D’altra parte in pochi altri settori quanto in quello del trasferimento tecnologico l’autonomia privata è sovrana nel negoziare strumenti flessibili, che contengano un’elencazione di garanzie e di dichiarazioni d’impegno volte a coprire gli eventuali gap che possano occorrere nelle trattative. Si pensi alla possibile scoperta dell’invalidità del brevetto da parte del licenziatario successivamente alla cessione e all’indiscutibile vantaggio competitivo che, seppur a fronte della eventuale nullità del contratto, quest’ultimo avrebbe comunque già percepito a livello informativo. Dall’analisi condotta sulle nostre surveys di riferimento, si è riscontrato come le Università tendano a garantire la sola titolarità/paternità dell’invenzione, mentre sin troppo spesso le altre garanzie (cfr. scoperta di vertenze attive-passive; emersione di un nuovo inventore, ecc.) non vengono onorate. Con tutte le conseguenze del caso.

143 risultato spetta generalmente al committente che ha investito, a mezzo di sponsored research, per finanziare un incarico all’ente di ricerca prescelto.

Come si diceva poc’anzi, invece, il discorso cambia quando la ricerca avviene su base congiunta. Quanto alle conoscenze preesistenti in capo alle parti, ovvero al back-ground, potrebbero nascere svariati problemi quando la specificazione di esse non venga effettuata nel contratto o quando, soprattutto, non vengano indicati i criteri, le condizioni e le modalità con cui una parte condivide le conoscenze con l’altra al fine di generare il comune fore-ground. Nel caso in cui ciò non avvenisse, infatti, si potrebbe arrivare al paradosso per cui solo una delle parti beneficerebbe del risultato della ricerca, essendo essa sola la depositaria del patrimonio di conoscenze preesistenti non avendole condivise col partner.

Quanto al fore-ground, sempre nel caso di ricerca congiunta, se le parti hanno deciso di non lasciare ad una sola i risultati, com’è normale in caso di rapporto collaborativo, ma abbiano deciso di optare per una joint-ownership, il trovato brevettuale viene tradizionalmente sottoposto alle regole della comunione. Ciò significa, quindi, che la ripartizione dei risultati avverrà pro-quota o per l’intero. Nel primo caso le parti hanno la titolarità di una porzione (quota) del bene, nel secondo caso ciascuna parte è titolare dell’intero. D’altra parte, ciascuno dei partecipanti di un bene in comunione è proprietario per l'intero del bene medesimo. Nella comunione ogni parte ha infatti un solo diritto: quello sulla totale proprietà comune indivisa, tanto che non è identificabile, nella res in comunione, una porzione specifica il cui godimento spetti, in via esclusiva, a uno o più dei comunisti. In entrambi i casi, evidentemente, quello della titolarità di una quota e quello della titolarità per l’intero, la suddivisione dei risultati può generare non pochi problemi a livello amministrativo. L’una parte, di fatto, può bloccare l’altra nel godimento dei suoi risultati. Il problema è avvertito sia a livello comunitario che a livello statunitense e viene risolto in modi diversi. In Italia il dibattito sulla comunione dei titoli di proprietà industriale (cfr. art.

6 D.Lgs. n. 30/2005) dispone che in questo caso i diritti derivanti dal brevetto siano regolati, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del Codice Civile267 relative alla comunione. Il problema è quello di come regolare il godimento di ciò che costituisce oggetto del brevetto ed in base a quali principi possa essere conferita a terzi una licenza o altri diritti sul brevetto stesso. Con riguardo al primo punto, l'art. 1102 Codice Civile in

267 Cfr. Codice Civile, Libro Terzo Della proprietà, Titolo VII Della comunione, Capo I Della comunione in generale.

materia di comunione stabilisce che ciascun partecipante possa servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Secondo una parte della dottrina268 questo principio è applicabile tout court anche in materia di brevetti. Un'altra parte della dottrina269 ha, invece, escluso uno sfruttamento separato da parte di ciascun membro della comunione in quanto il valore essenziale del brevetto non sta tanto nel poter utilizzare l'invenzione quanto soprattutto nell'essere l'unico soggetto a poterla utilizzare. Come si vede, il contrasto in dottrina è assoluto. Sembra più ragionevole aderire però alla prima soluzione e consentire a ciascun comproprietario del brevetto di realizzare in proprio il suo oggetto senza bisogno del consenso degli altri comproprietari, i quali ovviamente potranno fare altrettanto; invero, ove si adottasse la soluzione opposta, ci si potrebbe trovare di fronte ad una paralisi, specie nel caso di comproprietari al cinquanta per cento che è l'ipotesi classica, dal che deriverebbe addirittura la mancata attuazione del brevetto nel caso di disaccordo e cioè una soluzione che più volte il legislatore ha mostrato di osteggiare imponendo la possibilità di richiesta da parte di terzi interessati di licenza obbligatoria (cfr. art. 70 D.Lgs. n. 30/2005).

Tuttavia una sentenza relativamente recente della Cassazione Civile italiana (Cass. N. 5281, 22/4/2000) va proprio nel senso della seconda soluzione, laddove ipotizza la necessità di una maggioranza semplice (51%) o dell'unanimità per la concessione di licenze, a seconda della durata del contratto. Negli Stati Uniti, invece, se le due parti hanno ugualmente contribuito all’invenzione, esse dovranno risultare come titolari di un diritto indiviso sul titolo270. Dunque un co-inventore presenta lo stesso interesse sul brevetto anche se risulta responsabile solo di alcune delle rivendicazioni in esso espresse. Dunque, la joint-ownwership è la regola nei processi di trasferimento statunitensi in assenza di disposizione contrattuale contraria, allorchè ogni parte abbia benchè minimamente contribuito al concepimento dell’opera. Per “concepimento” la dottrina statunitense intende quell’idea sufficientemente definita da rendere in grado una persona di media capacità di mettere in pratica l’invenzione senza eccessive ricerche o sperimentazioni271. Il che significa che ogni parte ha il diritto di usare, vendere, offrire al pubblico l’invenzione senza il consenso degli altri

268 Cfr.; tra gli altri, R. Gandin, Contratto ed impresa, 1992; M. Ammendola, La brevettabilità nella Convenzione di Monaco, 1981.

269 Cfr. A. Vanzetti - V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, 2009; L. Albertini, Giustizia Civile, 2000.

270 Cfr. Ethicon, Inc. v. United States Surgical Corp., 135 F3d 1456, 1465-66 (Fed. Cir. 1998)

271 D. S. Chisum, Chisum on Patents, 2.02. (2004)

145 contitolari, ma anche quello di non riferire loro la suddivisione dei guadagni. Quanto, poi, al caso di un contenzioso, nessun licenziatario di brevetto nel sistema statunitense può, a meno che gli altri contitolari aderiscano, essere parte attiva o passiva di un giudizio: ciò porta, di fatto, a situazione paradossali , allorchè si pensi che difficilmente tutti i licenziatari acconsentano ad essere parte di un contenzioso perché a ciò distratti dai contraffattori che arrivano con invitanti accordi mirati nei confronti ora dell’uno e ora dell’altro.

Nelle pratica degli istituti di ricerca sottoposti al vaglio di questo studio, comunque, si evince come normalmente, tanto nell’esperienza europea che in quella statunitense, si tenda a preferire la regola pro quota, anche perché l’altra opzione, quella per l’intero, “è di solito accettata in casi particolari, come per effetto di scioglimento di joint-ventures – precedentemente titolari della proprietà intellettuale – come regola di proprietà residuale, ovvero quando si tratti di conoscenze per lo più a livello di segreto (know-how), per le quali sia difficile stabilire la quota di titolarità di ciascuna parte coinvolta nel processo di creazione, mentre è ragionevolmente certo che tutte le parti vi hanno contribuito o lo faranno”272 .