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Le varie possibilità di compensazione ed i finanziamenti

3. LE PROBLEMATICHE SOTTESE AI CONTRATTI DI LICENZA DI

3.1. I PIÙ RECENTI SVILUPPI DELL ’ ANALISI ECONOMICA DELLE LICENZE DI INVENZIONI

3.2.5. Le varie possibilità di compensazione ed i finanziamenti

127 il criterio che ci ispirerà nell’esame delle opzioni da considerare e quello che ci guiderà, come vedremo, nella proposta delle best practices in merito.

comunemente invalsa nella prassi del settore (Survey delle Associazioni europee e statunitensi dei professionisti del trasferimento tecnologico231).

Partendo dall’ottica della scelta della migliore forma di remunerazione possibile per massimizzare i guadagni, è sempre la dottrina che ci viene in aiuto prospettando tre diverse strategie di compensazione: la prima, licensing for royalty revenue; la seconda, licensing for equity company; la terza, licensing for R&S (Ricerca e Sviluppo). È evidente che si tratta di semplificazioni teoriche all’interno delle quali si collocano tutte quelle modalità di compensazione proprie della categoria “licenza” in generale che si erano analizzate al paragrafo 2.2.4.

Quanto alla prima strategia, quella a mezzo royalty, essa attiene alla compensazione che l’Università ottiene a mezzo di canoni variabili calcolati secondo vari parametri di riferimento, tutti indiscutibilmente legati al presumibile successo sul mercato dei prodotti che incorporano la tecnologia stessa. Bray e Lee232 riportano che mediamente i tassi delle royalty si aggirano tra il 2% ed il 5%, ma che in alcuni casi si può raggiungere anche il 15%.

Le pratiche di licenza brevettuale invalse presso le Università statunitensi registrano sia compensi fissi (canone fisso minimo garantito: minimum fixed fee) che royalties (running o earned-royalties). Là dove un corrispettivo variabile è infatti difficilmente applicabile perché manca un prodotto finito, oppure perché le variabili di costo non sono osservabili, possono venire in soccorso o dei canoni variabili dipendenti dal successo dei prodotti finali che il licenziatario realizzerà anziché dall’uso del trovato licenziato (reach-through royalties)), oppure la previsione di somme fisse, da corrispondersi subordinatamente al positivo superamento di fasi sperimentali (cmilestones). D’altra parte “poiché è estremamente complicato e oneroso provare che il mancato raggiungimento dell’obiettivo sia colpa del licenziatario, la previsione della milestone riduce i costi di amministrazione del contratto, rimettendo le sorti dello stesso al verificarsi o meno di eventi oggettivi, ovvero oggettivamente predeterminati”233. È stato dimostrato come la parte più sostanziosa (75%) dei ricavi delle licenze universitarie provenga dalle royalties234. I ricavi sono normalmente divisi tra le Università e gli inventori; e l'inventore di solito riceve mediamente il 40% dei

231 Cfr. lista contenuta nel Cap. 6.

232 J.M. Bray e J. N. Lee. 2000. University revenues from technology transfer: Licensing fees vs. equity positions. Journal of Business Venturing, 2000.

233 Cfr. M. Granieri, La gestione della proprietà intellettuale nella ricerca universitaria : invenzioni accademiche e trasferimento tecnologico, Il mulino, 2010.

234 R. Jensen & M. Thursby, Proofs and Prototypes for Sale: The Tale of University Licensing, NBER Working Papers 6698, National Bureau of Economic Research, 1998.

129 ricavi concessi. Questo uso così ampio delle royalties quale forma di compensazione delle licenze accademiche sta ad indicare che le politiche universitarie, sia statunitensi che europee, non presentano una varietà di forme di compensazione soddisfacente. In realtà una delle motivazioni che sta alla base di un impiego così vasto delle royalties è anche quella per la quale le invenzioni accademiche non sono normalmente pronte per la commercializzazione immediata e richiedono lunghi periodi di ricerche e sperimentazione, ovvero relazioni a lungo termine fra Università ed impresa. Siccome le royalties sono normalmente le forme di remunerazione migliori per queste forme di invenzioni

“embrionali” poiché in qualche modo impegnano il ricercatore a continuare a lavorare per l’impresa se vuole avere dei ritorni economici dal suo studio (venendo così ad ostacolare il comportamento opportunistico del ricercatore), il trend è presto spiegato. Da ciò inevitabilmente consegue come il ricorso a pagamenti variabili come le royalties aiuti a tagliare i costi fissi di monitoraggio del contratto: una base di calcolo ricorrente è infatti il prezzo netto di rivendita del bene che incorpora la tecnologia. Ecco allora spiegato il perché, per una parte della dottrina235, forme di compensazione quali il pagamento una tantum non possono essere considerate premianti a lungo termine, poiché esse non conferiscono alcun incentivo all’inventore di spendersi per lo sviluppo del prodotto (cfr.

“This assumptioni s sufficient to show that optimal license contracts cannot rely solely on lump-sum payments, such as fixed fees or fundsf or sponsoredr esearchb, ut also must involve some sort of output-based payments, such as royalties”236). Il dibattito sull’opportunità economica della scelta tra una forma di compensazione lump-sum (pagamento una tantum) e quella a mezzo royalty è comunque lungi dall’essere sedato, poiché vi è ancora chi caldeggia l’impiego della prima grazie alla sua intrinseca capacità di non accrescere i costi marginali di produzione del licenziatario. Nella pratica, in realtà, pagamenti a mezzo di somme fisse si riscontrano maggiormente in caso di trovati già pronti per lo sfruttamento commerciale da parte del licenziatario, come nel caso di software o reagenti chimici (in genere nei settori quali il biotecnologico o il fitofarmaceutico). In questi casi il licenziatario si troverà una spesa fissa che per la legge dei costi medi decrescenti può abbattere soltanto espandendo la

235 Cfr. R. Jensen e M. Thursby, Proofs and Prototypes for Sale: The Licensing of University Inventions, The American Economic Review, 2001.

236 Ibidem.

produzione e ripartendo lo stesso costo su un numero maggiore di unità di prodotto237. Peraltro, non bisogna dimenticare come imporre un costo fisso per il trasferimento di tecnologia costituisca una certezza economica non da poco per le Università e contribuisca a tagliare quei costi di monitoraggio di cui si accennava anche sopra: il rischio che il licenziatario non arrivi alla fase commerciale, sia essa una scelta o una condizione di fatto, c’è sempre ed occorre ovviarlo in ogni modo.

Quanto alla seconda strategia, quella a mezzo di partecipazione societaria (cd. equity participation), si deve sin dall’inizio premettere che le licenze cd. partecipate (ovvero quelle in cui l’Università percepisce una suddivisione di proventi in termini di partecipazioni societarie, siano esse spin-off o start-up) tendono a portare income più rilevanti di quelle cd. tradizionali. E ciò per una vasta gamma di ragioni. Non solo perché le invenzioni in questo modo “restano dentro le Università”, ma anche perché si sanciscono legami più stretti tra l’Università e le imprese, si conferisce all’Università un maggiore prestigio, e, più in generale, si accelera il trasferimento tecnologico a mezzo del beneficio che inevitabilmente il ricorso al capitale societario porta all’economia. D’altra parte, basti pensare al fatto che l’Università può incrementare il suo patrimonio netto a mezzo di opzioni o crediti finanziari sui futuri flussi di reddito di un'azienda. La pratica dell’ opzione è infatti coerente con l'incertezza associata alla caratteristiche tecniche ed economiche dei brevetti e con il fatto che le entrate calcolate a mezzo dei canoni sono generalmente molto basse. Con il ricorso all’equity, inoltre, diventando l’Università parte integrante della società, gli interessi delle due strutture sono allineati verso l'obiettivo comune di commercializzare la tecnologia. Ciò può attenuare anche le potenziali vertenze sulla proprietà intellettuale tra l’Università e l'industria ed il conflitto di interessi che può insorgere (basti pensare a modificazioni nell’accordo che possono portare ad una vertenza). Infine, da studi empirici emerge che l'equity può svolgere anche una funzione di certificazione per il mondo esterno, consegnando il messaggio che l'Università in questione ha assunto un ruolo imprenditoriale. Per l'azienda, dall’altra parte, un accordo azionario con una struttura universitaria può stare ad indicare ad altri investitori che l'impresa ha ricevuto tecnologia da una struttura di ricerca ed il valore che essa assume cresce irrimediabilmente. Il che può comportare anche, per la medesima azienda, la possibilità di ottenere finanziamenti

237 Cfr. M. Granieri, La gestione della proprietà intellettuale nella ricerca universitaria: invenzioni accademiche e trasferimento tecnologico, Il mulino, 2010.

131 aggiuntivi. A ciò aggiungasi, inoltre, che una posizione di equity comporta inevitabilmente uno shift degli interessi contrattuali da parte dei committenti. Ciò che in prima battuta occorre stabilire in un contratto societario, infatti, è il prezzo e le prestazioni da rendere in proporzione alle quote di proprietà societarie. Conseguentemente, aggiungeremmo noi, anche gli accordi sono più facili da scrivere, dovendosi concentrare sulla definizione dei diritti di proprietà piuttosto che sulla specifica di tutti gli altri termini inseriti in un contratto di licenza tradizionale. Dato che nessun trasferimento di tecnologia da solo può idealmente soddisfare tutti i sopra menzionati vantaggi che la partecipazione societaria garantisce, le Università paiono sempre di più interessarsi a questo meccanismo compensativo. È stato dimostrato che l'importanza istituzionale che il prodotto di una certa Università assume, le caratteristiche della tecnologia trasferita ed una serie di strutturale di variabili possono influenzare la possibilità che un ente veda nell’opzione equity quella preferibile238. Dunque, per quanto l’equity sia un’opzione compensativa relativamente nuova ed ancora sotto la lente d’ingrandimento degli studiosi, c’è da dire che vi sono ragionevoli motivi per ritenere che sia un’alternativa da dover essere vagliata con grande attenzione. Motivi sicuramente più importanti di quelli che ne potrebbero minare la diffusione. Un timore che si rappresenta da parte di qualcuno per via del ricorso alla equity è, infatti, quello di un eccessivo coinvolgimento delle Università nelle logiche manageriali e conseguentemente anche nei rischi che ciò comporta. Non ultimo, ad esempio, il rischio per le Università di essere considerate responsabili per danni a causa dell’immissione nel mercato di prodotti difettosi. Oppure il rischio per le Università di dover dipendere da eventuali cali nei prezzi delle azioni. Cionondimeno, comunque, la recente attenzione (ed iperbole) da parte degli scienziati a siffatte iniziative fa sì che ci si aspetti che il trend continui, anzi che si acceleri.

Per questo le attuali tendenze in materia di brevetti e licenze suggeriscono pattern misti, ossia una formula combinata di licenze cd. tradizionali e licenze cd. partecipate, che cioè riescono a coniugare la bontà di un canone variabile a quella di un canone fisso (d’altra parte non manca chi239 ha paragonato la partecipazione azionaria ad una licenza esclusiva a tariffa fissa, che tanto piace alle parti in gioco poiché riduce i costi di negoziazione).

Quanto alla terza strategia, essa si configura in investimenti che portano alla struttura licenziante -ovvero alle Università/Centri di Ricerca- ulteriore ricerca e sviluppo:

238 Cfr. M. Brouwer, Entrepreneurship and University Licensing, Journal of Technology Transfer, 2005.

239 Ibidem.

ovvero ricerca sponsorizzata a mezzo di finanziamenti. Per chiarire cosa si debba intendere con essa occorre precisare che nell'ambito delle finalità e del metodo della ricerca scientifica, l'Università può svolgere attività di ricerca finanziata da altri soggetti pubblici o privati, con il limite della compatibilità con il perseguimento dei fini e dei compiti istituzionali, didattici e di ricerca. Le Università possono inoltre svolgere altre attività per conto terzi, a mezzo di contratti di ricerca nel rispetto della priorità dei fini e dei compiti istituzionali, didattici e di ricerca di ciascuna struttura. D’altra parte è attività collaterale a quelle tradizionali la promozione, da parte delle Università, del loro collegamento a linee e bandi di finanziamento delle strutture di ricerca, anche attraverso collaborazioni con centri territoriali di trasferimento tecnologico e servizi all’innovazione. A livello italiano si è in realtà già accennato alle problematiche interpretative che l’art. 65, comma 5 del D. Lgs. N.

30/2005 ha generato nell’attribuire ai “risultati delle ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati, ovvero realizzate nell'ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall'università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore” una disciplina diversa da quella invalsa per le invenzioni dei dipendenti universitari. Al di là delle critiche dottrinali sulle vaghezze e che una norma siffatta implica, ci preme chiarire che, secondo accreditata opinione240, nell’ordinamento italiano per finanziamento devono ricomprendersi: finanziamenti specifici tanto di provenienza pubblica destinati al funzionamento generale dell'ente quanto di provenienza privata; finanziamenti totali o parziali, a prescindere dalla provenienza di siffatti finanziamenti; finanziamenti provenienti da organizzazioni (società, consorzi) a cui possa anche partecipare l'ente di appartenenza, in quanto da qualificare come soggetti diversi da tale ente. La situazione oltreoceano diventa molto più chiara e di ampia portata allorchè nel concetto di ricerca sponsorizzata tramite finanziamenti si debba intendere “any funding obtained through a competitive process, in which potential research projects are evaluated and only the most promising receive funding”241. Siffatti processi sono condotti tradizionalmente da fonti statali-governative, dall’industria in genere o dalle fondazioni (corporations -research and development departments-; government -universities specialized agencies-). Lo studio di Bray e Lee242 (2000) riporta che negli Stati Uniti le

240 M. Libertini, Riv. Dir. Ind. 2006.

241 Cfr. P. Lowry, Assessing the Sponsored Research Office, Sponsored Research Administration: A Guide to Effective Strategies and Recommended Practices, 2006.

242 M. J. Bray, e J. N. Lee, University revenues from technology transfer: Licensing fees vs. equity positions. Journal of Business Venturing, 2000.

133 commissioni per una licenza variano da $ 10.000 a $ 50.000, ma possono arrivare potenzialmente sino a $ 250.000: duque, come si vede, il range di cui si parla ha una forbice molto ampia. Lo stesso dicasi a livello europeo: si va da alcune decine di migliaia di Euro sino a passare a licenze con punte di Euro 100.000,00-150.000,00. L’opinione ad oggi più diffusa a livello dottrinale, che si è formata attraverso una serie di analisi empirico-statistiche, è che la cd. ricerca sponsorizzata sia il complemento essenziale di altre forme di compensazione per una licenza accademica. Da uno studio condotto da Jensen e Thursby243, in particolare, emerge come la ricerca sponsorizzata sia la forma preferita di compensazione per docenti-inventori. In effetti, specie per le invenzioni più embrionali, non è raro osservare contratti di ricerca finanziati da imprese licenziatarie244. Tali accordi di licenza in genere hanno tre importanti caratteristiche. La prima è che i diritti di esclusiva sui brevetti derivano dal supporto alla ricerca che le stesse imprese forniscono. La seconda è che questi accordi specificano molto chiaramente il focus ed il contenuto del progetto di ricerca da effettuare. Infine, esse prevedono che l’impresa assista il processo di sviluppo del trovato fornendo fondi per l'Università (per acquistare attrezzature o assumere personale di supporto, per esempio). Sempre dalle analisi economiche statunitensi sul punto emerge peraltro che se si comparano fra loro forme di equity senza ricerca sponsorizzata e forme di equity con ricerca sponsorizzata, il risultato che emerge è che solo la seconda combinazione è in grado di massimizzare l’impegno del ricercatore-inventore245. E ciò perché “effort and sponsored research are strategic complements”246.

Passando adesso all’ottica della scelta della migliore forma di remunerazione possibile per ovviare agli inconvenienti che possono ostacolare il trasferimento tecnologico, si procederà ad analizzarle separatamente a fianco della situazione fattuale o comportamentale che blocca il passaggio di tecnologia.

Ad avviso di Jensen e Thursby247, il moral hazard, ad esempio, può essere contrastato utilizzando solo una certa modalità di compensazione. La loro indagine ha illustrato che a tale scopo la migliore forma di compensazione è la risultante di una mixture di royalties e

243 J. G. Thursby and M. C. Thursby, University licensing, Oxford Review of Economic Policy, 2007.

244 Cfr. AUTM Manuale Practice, Volume II [1993] per esempi specifici.

245 J.G. Thursby, M.C. Thursby Industry perspectives on licensing university technologies: sources and problems. Journal of the Association of University Technology Managers, 2000.

246 Ibidem.

247 R. Jensen e M. Thursby, Association Proofs and Prototypes for Sale: The Licensing of University Inventions, The American Economic Review, 2001.

milestones, unite alla previsione di contratti di consulenza aggiuntivi. Poiché tali contratti hanno il grande pregio di aumentare i profitti attesi dell'impresa, la facoltà deve favorire la consultazione con le imprese anche al di fuori dei loro contratti universitari. Questo tipo di politica universitaria improntata alla cooperazione, unita all’impiego del pagamento di milestones, può far sì che l’incapacità delle royalties di arrestare il pericolo dell’azzardo morale del ricercatore risulti mitigata. Diversamente, invece, è stato empiricamente dimostrato come la sponsored research, da sola, non riesca a mitigare il moral hazard.248

Ad avviso di Elfenbein249, invece, un contratto di licenza ha molta più probabilità di vedersi risolto prima del tempo se la forma di compensazione prescelta è disancorata dalla performance. E ciò perchè le unità di misura della performance, quali la percentuale delle vendite dei prodotti ed il raggiungimento dei tetti di milestones previsti, sono misure verificabili ed osservabili. I contratti che impostano i loro sistemi di pagamento su queste forme di misurazione di performance, infatti, sono dei grandi incentivi sia per il licenziatario che per gli scienziati.

Un altro problema spinoso da fronteggiare che ha visto da sempre il dibattersi di vari studiosi riguarda la necessità di corrispondere i canoni per un certo periodo di tempo successivo alla scadenza della protezione sulla tecnologia. Ciò evidentemente perché gli effetti del trasferimento di tecnologia, ovvero di un trovato brevettuale, tendono a ripercuotersi anche ben oltre il limite temporale indicato nel contratto di licenza o la scadenza della protezione brevettuale. Oppure si pensi all’altro interessante caso in cui, seppur ancora in vita il contratto, alla scadenza della protezione brevettuale, la tecnologia, almeno in parte, continua ad essere proteggibile in regime di segreto, in quanto know-how.

Anche in questo caso, dunque, per quanto venuta meno la protezione titolata, si dovrà pensare di compensare l’insieme delle informazioni trasferite insieme al brevetto. In questo caso da più parti si è iniziato a fissare contrattualmente quelle che sono state chiamate cd.

post-expiration royalties. Se da un punto di vista meramente privatistico non molto si può eccepire in merito alla bontà di questa pratica, poiché non si tratterebbe tanto di un fenomeno di ultrattività del contratto ma di un caso di autonomia contrattuale, da un punto di vista concorrenziale i dubbi si fanno più corposi, tanto che la giurisprudenza comunitaria

248 J. G. Thursby, M. C. Thursby, University licensing, Oxford Review of Economic Policy, 2007.

249 D. Elfenbein, Contract Structure and Performance of Technology Transfer Agreements: Evidence from University Licenses, 2004.

135 e statunitense sono nettamente divise sul punto. Mentre la Corte di giustizia comunitaria250 ha ritenuto compatibile con l’art. 81 Trattato CE una clausola in cui il licenziatario si obbliga al pagamento delle royalties anche alla fine del contratto di licenza, le corti federali statunitensi251 ritengono illegittima e, dunque, una forma di indebito arricchimento, la collazione di royalties dopo la scadenza del contratto o dopo la scadenza del titolo brevettuale.

L’ultimo punto di vista che abbiamo deciso di considerare per questa panoramica sulla scelta della migliore forma di compensazione, risiede nell’analisi empirica della realtà esistente, ovvero nelle consuetudini del settore. Nella realtà pratica252 delle licenze analizzate, la prassi invalsa tende a comprendere una combinazione dei vari tipi di compensazione. Un importo fisso e le royalties appaiono in circa l’80% dei contratti di licenza, ove le percentuali fisse rappresentano il 13% delle entrate riscosse e le royalties il 17%. I pagamenti milestones e la previsione di un rimborso di spese brevettuali sono una costante praticamente fissa delle licenze considerate. Pur non comparendo in alti numeri, l’equity è inclusa nel 23% degli accordi di licenza. Anzi, dalle surveys esaminate emerge chiaramente che il ricorso a partecipazioni azionarie è aumentato sostanzialmente negli ultimi cinque anni ad oggi. Si tende a ricorrere alla forma equity per le tecnologie che si fondano imprese in start-up e questi accordi prevedono anche un importo minimo fisso di royalties. Infine, circa un terzo delle licenze coperte dal sondaggio sono finanziate da ricerche sponsorizzate. Ciò che infine si evince è che le variazioni di percentuale azionaria hanno un certo impatto sullo sforzo dell’inventore a continuare lo sviluppo della tecnologia licenziata e sulla ricerca sponsorizzata. Lo sforzo dell’inventore e la ricerca sponsorizzata diminuiscono, infatti, al decrescere dell’importo fisso del canone se l'inventore è particolarmente avverso al rischio, mentre non variano al variare della somma fissa se l'inventore è neutrale al rischio253.

250 Corte giustizia CE 12 maggio 1989, n. 320/87, Ottung c. Soc. Klee & Weilbach.

251 Brulotte v. Thys. Co. 379 U.S. 29 (1964)

252 Survey Association of European Science and Technology Transfer Professionals (“ASTP”), Organization of Economic Cooperation and Development (“OECD”): report 2011; Association University Technology Managers 2010 report.

253 R. Jensen-M. Thursby, Association Proofs and Prototypes for Sale:The Licensing of University Inventions, The American Economic Review, 2001.