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L’individuazione della tecnologia trasferita

4. LE BEST PRACTICES NEI CONTRATTI DI LICENZA BREVETTUALE

4.4 I PROFILI RILEVANTI PER L ’ INDIVIDUAZIONE DI BEST PRACTICES CONTRATTUALI

4.4.1. L’individuazione della tecnologia trasferita

Come già si è visto, negli accordi del trasferimento tecnologico l’Università ed il suo partner negoziano in primis le finalità cui una certa tecnologia può venire licenziata.

Normalmente il partner licenziatario richiede, avendo a ciò interesse, che la proprietà intellettuale trasferita venga definita nella maniera più ampia possibile e tenta di espandere la sua facoltà di utilizzo anche su ogni sviluppo o modifica della tecnologia licenziata.

Dall’altra parte, l’Università tende a definire, invece, in modo più dettagliato e confinato possibile, ciò che viene trasferito in modo da proteggersi contro l’eccezione di eventuali licenze implicite. Com’è evidente, trattasi di interessi contrapposti e a tratti confliggenti, che l’Ufficio del trasferimento tecnologico dell’Università e l’impresa licenziataria si troveranno a dover comporre.

L’impresa licenziataria mira ad ottenere una licenza sia per la tecnologia universitaria trasferita ed utilizzata, che per i singoli diritti di proprietà intellettuale trasferiti

e ricompresi in siffatta tecnologia, all’interno di un certo campo di utilizzo specifico. Anche se i diritti concessi al partner del contratto di licenza a mezzo del trasferimento dei titoli di proprietà intellettuale risultano ben chiari (poiché comunque definibili normativamente), la licenza di segreti industriali o di know-how rende, ad esempio, la negoziazione molto più complessa. Nelle licenze aventi ad oggetto siffatte situazioni giuridiche, infatti, si conferiscono al partner strategico diritti meno certi e definiti che si esplicano, tradizionalmente, nel diritto di studiare, sviluppare un miglioramento ed utilizzare l’expertise e le conoscenze universitarie. Ma, com’è immaginabile, non è affatto facile comprendere quando il licenziatario si sia riferito al know-how universitario per lo sviluppo dell’invenzione e dunque quando dovrebbe essere costretto a versare qualcosa all’Università. Pensiamo al caso di un’impresa che ha ottenuto una licenza di utilizzo del know-how universitario in relazione ad un’applicazione software ed è obbligata a versare royalty solo per la distribuzione e le eventuali modifiche sviluppate sul software medesimo.

In questo caso il partner strategico potrà liberamente, senza compensare alcunché all’Università, distribuire applicazioni che costituiscono un software del tutto nuovo, non classificandosi come modificazioni del software applicato. Allo stesso tempo, potrà essere non agevole distinguere chiaramente fra applicazioni che non potevano essere state sviluppate dal licenziatario in mancanza del know-how universitario e quelle che, invece, avrebbero potuto essere sviluppate comunque. In sostanza, è difficile definire contrattualmente le modalità più efficaci di distribuzione dei prodotti in una maniera talmente ampia da coprire prodotti che risultano dal know-how universitario ma non così ampia da coprire trovati sviluppati in modo indipendente dal licenziatario.

Lo stesso dicasi quando, a quelle stesse posizioni giuridiche soggettive, ci si riferisce per misurare miglioramenti della tecnologia (improvements), ampliamenti (follow-on-inventions) o applicazioni in ulteriori ambiti tali da dare addirittura vita a autonomi titoli di proprietà, di valore o importanza addirittura superiore alla tecnologia originaria. E qui si arriva al vero punto focale del problema di cui si è discusso a lungo nel Cap. 3: ciò che davvero è altamente improbabile è proprio arrivare alla definizione di ciò che viene trasferito, essendo un qualcosa che ex se non può essere definibile per i motivi a lungo discussi. Ciò significa che, per poter quanto meno minimizzare il rischio che siffatta incompletezza porta con sé (cfr. teoria della incompletezza del contratto), occorrerà mettere le parti in condizione di ridurre quella ben nota incertezza nell’oggetto contrattuale. Come osserva Shane in un

181 articolo di mirabile rigore analitico, “the more complete the contract is, the more the risk of renegotiation is reduced”317.

A tal proposito si possono prospettare vari scenari.

Prima di tutto, come già si anticipava, si potrebbe ricorrere ad elementi esterni al contratto cui esso esplicitamente rinvia per relationem. A nostro avviso tali elementi esterni dovranno variare a seconda del tipo di tecnologia trasferita, dei diritti di proprietà intellettuale contenuti, delle facoltà trasferite in capo alla licenziataria da parte dei diritti di proprietà intellettuale. Nel caso di brevetto, dunque, ogni tecnologia ancillare, ogni diritto derivato, ogni domanda divisionale, ogni miglioramento/modificazione potrebbero essere riviste alla luce delle rivendicazioni del titolo brevettuale, oppure della tecnologia perimetrale che costituisce lo stato dell’arte descritto nella domanda di brevetto.

L’interpretazione di ciò che è compreso all’interno di questi due parametri fissi potrebbe essere utilizzata per dirimere incertezze quanto all’oggetto proprio perché patrimonio fissato e condiviso da ambo le parti. Nel caso di trasferimento di know-how o segreti industriali, invece, si propone di riferirsi all’expertise di un tecnico del settore individuabile di comune accordo da ambo le parti o allo stato dell’arte di cui alle domande di brevetto o modelli di utilità desumibili dai pubblici registri del territorio di riferimento indicato nell’accordo. In tutti i casi, comunque, ci preme di evidenziare che siffatti riferimenti per relationem andranno menzionati all’interno della licenza, per evitare che sorga un’eventuale controversia fra le parti in merito a ciò che possa essere considerato il parametro di riferimento del contenuto del contratto.

Nel caso dei risultati emergenti da una ricerca congiunta, in particolare, ciò potrebbe tradursi nella necessità di disciplinare contrattualmente l’accesso reciproco alle conoscenze dei partner, prima di tutto definendo a quali condizioni si vuole ammettere l’altro parte a godere di conoscenze proprietarie, sia pure limitatamente allo svolgimento delle attività di ricerca. Ciò significa dover definire quali siano le conoscenze delle parti che restano proprietarie e quali invece quelle che vengono condivise e dunque rese disponibili all’altro sia pure limitatamente alla ricerca e sviluppo, al fine di poter essere in grado successivamente di determinare chi possa utilizzare la conoscenza emergente. In mancanza di una precisa regolamentazione sul punto e dunque una precisa definizione dell’oggetto

317 S. Shane, Selling University Technology: Patterns from MIT, Management Science, Special Issue on University Entrepreneurship and Technology Transfer, 2002.

contrattuale, vi può essere il serio rischio che una delle parti possa venire esclusa dall’utilizzare i risultati della ricerca successiva e che possano sorgere controversie sul punto318. C’è chi ha proposto319, onde dirimere alla base qualsiasi possibile contrasto che a sua volta implica tempo e costi di negoziazione, oltre ad dilatare nel tempo la possibilità di depositare nuovi titoli o titoli derivati, di prevedere una clausola che richieda genericamente al partner di versare un certo ammontare di royalty per tutti quei prodotti o processi che presenteranno caratteristiche sostanzialmente simili alla tecnologia originaria licenziata entro il campo d’uso stabilito. In tal modo, dunque, si potrebbe bypassare la definizione di modificazione o miglioramento ed attenersi a quella di “similitudine sostanziale”. Solo nel caso in cui non venissero riscontrate somiglianze funzionali e concettuali nei trovati successivi (ovvero identità sostanziali nel cuore della tecnologia), la licenziataria non sarebbe tenuta a compensare la titolare originaria dei diritti. È altrettanto evidente, comunque, che una tale previsione contrattuale può potenzialmente minare il rapporto successivo fra le parti da un altro punto di vista perché, se la clausola della similitudine sostanziale è accettata dalla titolare, il partner strategico potrà pretendere a contrario dall’Università che ad esso spetterà il diritto di sviluppare prodotti simili alla tecnologia licenziata, ovvero prodotti che non riprendano in modo sostanziale l’idea inventiva del trovato originario. Con ciò evidentemente facendo coincidere il significato di “similitudine sostanziale” con quello di ripresa del cuore dell’idea inventiva. Tutto ciò detto, comunque, questa ci pare una soluzione convincente anche per via della difficoltà ad identificare ciò che di volta in volta deve intendersi con essa. Che di fatto potrebbe nuovamente portare le parti contrattuali a situazioni di incertezza e potenziale conflitto.

Ad ogni buon conto, sarebbe buona pratica, quando la tecnologia licenziata dall’Università sia suscettibile di futuri sviluppi, anche in settori diversi da quelli di interesse del licenziatario, non concedere licenze troppo ampie, circoscrivendo l’esclusiva a quanto necessario per incentivare il licenziatario (licenze limitate al cd. campo d’uso); con ciò esplicitamente non comprendendo, ove ragionevole, gli sviluppi della tecnologia futura.

Quando ciò non pare essere la scelta più opportuna, sia per la natura del trovato licenziato

318 Vi sono Università statunitensi (ad esempio, come quella di Berkley) che per policy statutaria raramente acconsentono che nei passaggi successivi di R&S venga coinvolta la loro conoscenza proprietaria. E quando lo fa, nei contratti è solita introdurre la clausola del cd. best effort (cfr. par. 4.4.5.) per mantenere segreta l’informazione.

319 M. M. Styer, J. Kerrigan, A. Lustig, A guide through labirynth: evaluating and negotiating a university technology transfer deal,. B.U. Journal Science & Technology, 2005.

183 che per le resistenze del licenziatario, può essere consigliabile ricorrere a licenze incrociate (cross licenses), talora rilasciate in bianco (blanket o package licenses), cioè riferite a tutti i diritti potenzialmente scaturenti da una data tecnologia e dalle sue possibili, future versioni.