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Il lavoro nella P.A tra legge e contratto

La disciplina in tema di pubblico impiego rappresenta uno degli snodi più complessi dell’intero ordinamento giuslavoristico, presentando non solo indubbi profili teorici ma altresì rilevanti conseguenze di ca- rattere pratico: si pensi al tema dei (nuovi) servizi che le p.a. offrono alla cittadinanza. Dopo una breve premessa circa la nozione stessa di lavoro pubblico e la disciplina del rapporto, il contributo si focalizza sulle più recenti modifiche normative, interrogandosi sulle più attuali linee di tendenza.

Parole chiave: Pubblica amministrazione, Rapporto di lavoro, Contrat- tazione collettiva, Riforma, Performance, Innovazione, Lavoro agile.

Sommario: 1. Il rapporto di pubblico impiego: una sintetica ricostruzione. – 2. Le evoluzioni più recenti. – 3. Il lavoro pubblico nel 2019-2020: lotta all’assenteismo e misure di “concretezza”. – 4. Lo smart working. – 5. Tra legislazione post-emergenziale e Recovery Fund: l’ultima chiamata per una nuova Amministrazione compiutamente digitale?

1. Il rapporto di pubblico impiego: una sintetica ricostruzione

I pubblici dipendenti italiani sono circa 3 milioni e mezzo1, e rap-

presentano una quota non irrilevante dei circa 18 milioni di occupati

*11Vincenzo Ferrante è Professore ordinario di Diritto del lavoro nella Facoltà di

Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, Direttore del Cedri; Mirko Altimari è Ricercatore di Diritto del lavoro nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Pur nella comune progettazione del contributo, i parr. 1 e 4 sono attribuibili a Vincenzo Ferrante e i parr. 2, 3 e 5 a Mirko Altimari.

1 Istat, 2017.

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complessivi (cui devono aggiungersi altri circa cinque milioni di la- voratori autonomi, secondo i dati del 2019).

Secondo gli ultimi dati raccolti, la stragrande maggioranza di essi (poco più di tre milioni, pari all’86% del totale) è impiegata a tempo indeterminato, seppure non siano sconosciute forme di lavo- ro a tempo determinato (quasi trecentomila, pari all’8,5%), mentre 194.856 sono occupati in forme di collaborazione diversa dal rappor- to di lavoro dipendenti (5,5%). Quest’ultimo dato si riferisce a quanti sono inquadrato nell’ambito di rapporti di lavoro lato sensu atipici, concentrandosi nelle università (dove il dato comprende: i docenti a contratto, i medici specializzandi, i dottorandi di ricerca con borsa di studio e gli assegnisti di ricerca) e, in misura più modesta nei co- muni, negli enti pubblici non economici e nelle comunità montane. Con riferimento al genere, le donne occupate nella pubblica amministrazione sono circa due milioni e rappresentano la compo- nente maggioritaria, con una quota pari al 56,9% del personale in servizio. La più elevata presenza di donne si registra negli enti del Sistema sanitario nazionale (SSN) con il 65,9%, mentre il valore più basso è nelle Regioni (48,3%) e nelle Università pubbliche (49,6%).

Il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti italiani è regolato

oramai dal 1993, per la gran parte di essi2, dalle stesse leggi ordina-

rie che trovano applicazione con riguardo ad ogni altra impresa pri- vata, salva tuttavia un’ampia disciplina derogatoria (di cui al d. lgs. 165 del 2001 e già al d. lgs. 29 del 1993), che interessa soprattutto aspetti connessi con il controllo della spesa pubblica (in ordine alla definizione della retribuzione di base e accessoria, al dimensiona- mento degli organici e alla progressione di carriera).

Ed invero, poiché non mancano lavoratori che, pur essendo for- malmente dipendenti di società, consorzi o fondazioni integralmen- te di diritto privato, gravano per intero sulla fiscalità generale, il vero carattere che negli ultimi anni è emerso come tratto distintivo fra impiego pubblico e privato è l’inserimento nominativo del soggetto che riveste il ruolo di datore di lavoro nel conto economico consoli- dato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell’art. 1, co. 3 l. 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le cc.dd. autorità indipendenti e i dipendenti di organi costituzionali.

In disparte da questi lavoratori, sono oltre 2,6 milioni i lavora- tori che trovano il loro rapporto di lavoro regolato dal d. lgs. 165 del

2 Aran, 2019.

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131 2001, che sopra si è citato, e che di conseguenza si vedono applicati i contratti collettivi stipulati da apposita agenzia governativa (ARAN: Agenzia per la Rappresentanza Negoziale), mentre per oltre 700 mila si applica una diversa e più antica disciplina di diritto pubblico, che attribuisce ai tribunali amministrativi la giurisdizione in ordine

alle controversie che possano insorgere in materia di lavoro3.

Questa bipartizione fra un personale assimilato a quello privato e una parte rimasta invece alle assoggettata alle più stringenti nor- me di diritto pubblico, si deve non tanto alla volontà di distinguere, come in altri ordinamenti, fra quanti esercitano funzioni tipiche del potere pubblico (attraverso l’emanazione di “provvedimenti”), ma piuttosto ad un’esigenza di abbandonare modelli organizzativi stati- ci e unitari, perché direttamente regolati dal legislatore, senza attri- buire il dovuto rilievo alle differenti esigenze che si rintracciavano in relazione all’attività espletata (di tipo autoritativo o di servizio), alle dimensioni delle singole unità amministrative e alle esigenze del territorio.

In secondo luogo, l’accentramento in capo all’Agenzia già più sopra richiamata dei poteri di spesa ha consentito un miglior con- trollo sulle tentazioni parlamentari, dirette ad attribuire, attraverso provvedimenti di legge, status speciali (anche in materia pensioni- stica) o anche solo elementi retributivi aggiuntivi, senza tenere con- to del quadro complessivo.

Su questo passaggio dal regime di pubblico impiego a quello – come riassunto dal d.lgs. n. 165/2001 – del “lavoro alle dipenden- ze delle amministrazioni pubbliche”, molto è stato scritto e a oltre venticinque anni dallo stesso, mentre la materia continua ad essere oggetto di frequenti rivisitazioni legislative, che, prendendo ancora

a riferimento un documento di studio del 19794, modificano il con-

fine fra le residue competenze di diritto pubblico e gli ambiti oramai lasciati al potere organizzativo della dirigenza, di indiscussa origine privatistica.

Infatti, il potere in forza del quale l’ente pubblico si organizza internamente e gestisce il proprio personale, un tempo assoggettato al controllo proprio dei provvedimenti amministrativi e regolato per

3 Si tratta di: magistrati ed avvocati dello Stato; personale appartenente alla carriera

diplomatica e prefettizia, i corpi di polizia, le forze armate, i vigli del fuoco e il personale carcerario; i dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (inclusi i servizi segreti), delle cinque regioni a statuto speciale, delle autorità indipendenti, nonché i professori e i ricercatori universitari.

4 Giannini, 1979.

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atti normativi unilaterali, alla luce del principio di legalità, è stato ora ricondotto, per espressa previsione legislativa, al potere del datore di lavoro, venendo dunque a concretarsi in una manifestazione della

stessa capacità che caratterizza il soggetto privato5. E difatti l’art. 2,

c. 2 d.lgs. n. 165/2001 rinvia alle norme che disciplinano i “rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”, anche ai rapporti costituiti alle dipendenze degli enti pubblici. Occorre però rimarcare la distinzio- ne fra attività di organizzazione degli uffici (la cd. macro-organiz- zazione) che rimane di competenza esclusiva delle fonti unilaterali, alla luce della previsione dell’art. 97 Cost., e l’amministrazione dei rapporti di lavoro (micro-organizzazione) nella quale il datore pub- blico esercita i poteri del privato datore di lavoro (art. 5.2 d.lgs. n.

165/2001)6.

Sul piano della disciplina retributiva del rapporto, ordinariamen- te lasciato all’autonomia negoziale dei soggetti sindacali, tale proces- so ha coerentemente segnato l’ingresso della contrattazione colletti- va quale fonte del rapporto di lavoro: l’art. 2, co. 3, d.lgs. n. 165/2001, rimette infatti agli esiti della negoziazione condotta dall’ARAN la disciplina dei rapporti individuali di lavoro per il tramite di «un “rin- vio mobile” alle norme collettive, presenti e future, poste in essere da soggetti a tanto abilitati dalla legge e con i procedimenti da essa

previsti»7.

L’ultimo episodio di questa vicenda, dopo la ri-legificazione del rapporto dettata dalla cd. Riforma Brunetta del 2009 (d. lgs. n. 150) si è registrato con le modifiche legislative del 2017 (cd. Riforma Ma- dia): all’autonomia collettiva è attribuita la disciplina del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali con le modalità previste dal Testo unico, disponendo altresì che con riferimento ad alcune materie di grande rilevanza anche sotto il profilo del rapporto di lavoro indivi- duale quali le sanzioni disciplinari, la valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, la mobilità, la contrattazione collettiva è consentita solo nei limiti previsti dalle norme di legge. Inoltre la legge esclude espressamente dalle pre- rogative della contrattazione collettiva alcune materie quali l’orga- nizzazione degli uffici e quelle afferenti alle prerogative dirigenziali

5 Ferrante 2012, pp. 92-93.

6 Del resto tale dicotomia tra gestione del rapporto, regolato dal contratto, e una serie

di materie che rimanevano oggetto dell’esercizio «di una funzione una funzione unilaterale, espressiva di un potere connotato dai caratteri del diritto pubblico fu decisiva per ricevere “l’avallo” della Corte costituzionale (Ferrante 2012, p. 177).

7 Rusciano, 2015.

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133 nonché il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali stessi. Tale modalità di procedere da parte del legislatore potrebbe apparire irrituale ma in realtà si spiega alla luce della situazione di oggettiva incertezza che ha a lungo circondato la materia.

Quale corollario a tale assetto delle fonti, l’adozione del model- lo privatistico ha coinvolto anche la giurisdizione, per il tramite del passaggio della cognizione al giudice ordinario, nell’alveo di quella che schematizzando, è possibile definire seconda privatizzazione (realizzatasi negli anni 1997/1998) a seguito della quale si interven- ne altresì in tema di dirigenza nonché introducendo la contrattazio- ne integrativa a livello decentrato.

2. Le evoluzioni più recenti

Prima di analizzare gli interventi in tema di lavoro pubblico inter- corsi negli anni 2019-2020, giova collocare tale periodo in un con- testo più ampio.

Almeno a partire dalla crisi economica del 2007/2008 – e so- prattutto alla luce delle note vicende politico-istituzionali che hanno condotto nel 2011 all’esecutivo cd. tecnico – nel dare una valutazione delle norme introdotte in tema di lavoro pubblico occorre tenere in considerazione come le stesse sono andate a innestarsi in un più ge- nerale processo legislativo noto come Spending review che sebbene con modalità differenti ha prodotto, in estrema sintesi, un rilevante taglio della spesa pubblica.

Ciò ha avuto rilevanti ripercussioni con riferimento al rapporto di lavoro: si pensi ai cd. tagli lineari (ad esempio in tema di lavoro flessibile o collaborazioni di cui le p.a. potevano servirsi), ai bloc- chi, variamente intesi, delle retribuzioni – superati soltanto in virtù

dell’intervento della Corte costituzionale8 – nonché all’impossibilità

di procedere al turn over, id est la facoltà di procedere ad assunzioni a fronte dei pensionamenti. Evidentemente tale situazione ha condi- zionato altresì le dinamiche dell’autonomia collettiva, determinando di fatto una situazione di stallo: si pensi, a titolo esemplificativo, che la riduzione del numero dei comparti, prevista già dalla legge n. 150/2009 ha trovato realizzazione per il tramite del Contratto Col- lettivo Nazionale Quadro 2016-2018 del 13 luglio 2016, per il trami- te dell’accorpamento dei precedenti undici settori, in quattro aree

8 Cfr. Corte costituzionale 27 luglio 2015, n. 178, vedi l’analisi di Ferrante, 2015,

pp. 1121 ss.

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omogenee (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità).

Soltanto a seguito di tale aggregazione – nonché alla luce degli esiti della già citata giurisprudenza costituzionale e del mutato atteg- giamento del governo allora in carica – si diede l’avvio alle trattative negoziali che condussero, nei primi mesi del 2018, alla stipula dei quattro nuovi contratti collettivi, a oltre un decennio di distanza dai precedenti relativi ai vecchi comparti.

Pertanto il decennio appena concluso è stato caratterizzato, in larga parte, da una (più o meno forzata) anomia della contrattazione collettiva, con le evidenti criticità che tale situazione determina. Ciò ha senza dubbio determinato un rallentamento – se non una vera e propria ineffettività – di alcune disposizioni di legge. In assenza di una contrattazione sulla parte economica, visto il duraturo blocco delle retribuzioni, l’autonomia collettiva non ha adeguato neanche la parte “normativa” dei contratti, lasciano alcune disposizioni pre- senti nella c.d. Riforma Brunetta, soprattutto in tema di performan- ce, premialità ecc., sostanzialmente inattuate.

3. Il lavoro pubblico nel 2019-2020:

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