Società pubbliche
2. Stato dell’arte e problemi apert
Le relazioni annuali della sezione autonomie della Corte dei Conti sugli organismi partecipati dagli enti territoriali forniscono dati significati- vi sullo stato di fatto delle società a partecipazione pubblica. L’ultima disponibile è quella approvata con delibera del 10 dicembre 2019, ela- borata sulla base delle rilevazioni del MEF effettuate fino al 7 giugno 2019. In sintesi, dalla relazione della Corte dei Conti emerge che del-
3 Di fatto la disposizione ha anticipato per le società a partecipazione pubblica gli
obblighi di segnalazione degli indicatori della crisi previsti dagli artt. 13 e 14 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvato con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
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le 5.283 società esaminate, 2054 sono a capitale pubblico totalitario e 3229 a capitale misto, di cui 1272 a prevalenza pubblica. Pertanto le società a capitale pubblico totalitario o prevalente costituiscono il 63% del totale. Le società quotate con partecipazioni pubbliche sono 200, mentre le società a totalitaria partecipazione pubblica con unico socio sono 964. La relazione trae da ciò conferma del fatto che il percorso di razionalizzazione intrapreso non sarebbe ancora inteso come impli- cante la possibilità di procedere ad accorpamenti e fusioni, ma unica- mente come comportante la dismissione delle partecipazioni. Quanto alla forma organizzativa, il 45% delle società a partecipazione pubblica è a responsabilità limitata, mentre le società per azioni sono il 32% del totale, costituito anche da società cooperative e consortili. A livello ter- ritoriale, il maggior numero di società è localizzato in Lombardia (721), Toscana (419), Emilia Romagna (391), Veneto (367) e Piemonte (316) che insieme fanno oltre il 40% del totale. La maggior parte delle società a partecipazione pubblica svolge servizi strumentali, ma è comunque consistente la quota di quelle che svolgono servizi pubblici (40,75%), le quali peraltro registrano un valore della produzione pari al 71,18% del totale, hanno un numero di addetti doppio rispetto alle società stru- mentali e meno di un quinto delle società che svolgono servizi pubblici registra perdite di esercizio, mentre sono più di un terzo le società che svolgendo servizi strumentali chiudono il bilancio in perdita. A livello aggregato (quindi senza distinzione tra società di servizio pubblico e strumentale), in tutte le regioni italiane gli utili sono superiori alle per- dite salvo che nelle regioni Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sarde- gna e Sicilia. Un ultimo dato significativo consiste nella netta prevalenza delle partecipazioni definite come “indirette” (91.119) rispetto a quelle dirette (24.884), eppure soltanto il 10% dei 7.978 comuni italiani non detiene partecipazioni societarie (e il dato è comprensivo dei Comuni che non hanno trasmesso le rilevazioni al MEF). Con riguardo all’eser- cizio 2017, sono state rilevate le seguenti criticità rispetto agli obblighi di razionalizzazione imposti dal TUSP: 1286 società a partecipazione pubblica (di cui 185 cessate o in liquidazione) risultano non avere di- pendenti o hanno un numero di dipendenti inferiore a quello degli am- ministratori; 828 sono le società a partecipazione pubblica con fatturato medio annuo inferiore a quello prescritto (che nel periodo considerato era transitoriamente fissato a 500 mila euro, ma che a regime sarà pari a un milione di euro); 440 società presentano perdite in quattro degli ultimi cinque esercizi. Naturalmente tali criticità spesso si assommano tra di loro (ad es., una società senza dipendenti ha normalmente anche un fatturato limitato), ma nel complesso dalla relazione della Corte dei
FuturAP. Rapporto sul Futuro e l’innovazione dell’Amministrazione Pubblica – 2021
177 Conti risulta che il numero di società a partecipazione pubblica censite potrebbe essere ridotto di oltre un quinto. Nel luglio scorso la Banca d’Italia ha pubblicato un volume della serie “Questioni di economia e finanza” dedicato alla razionalizzazione e governance delle società pub- bliche, nel quale, pur apprezzandosi il percorso avviato dal TUSP per una razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, viene evidenziato come delle oltre 8.000 società che avevano depositato il bilancio fino al 2015, per l’effetto combinato dei criteri di razionalizzazione, la quota di società da dismettere era superiore al 40 per cento. Peraltro, pur la- mentando che il processo di dismissione procede lentamente, lo studio riconosce che “Sebbene esistano ancora margini di razionalizzazione, da un punto di vista più generale stabilire quale sia il numero ottimale di partecipate pubbliche è un esercizio molto complicato e arbitrario”, come anche quello di delimitare i settori in cui le società a partecipazio- ne pubblica possano operare, mentre “Altre linee di intervento riguar- dano le modalità di gestione da parte dei soggetti pubblici e il governo societario delle singole partecipate”. È questo un approccio che è stato intrapreso dal legislatore solo in parte (ad es. imponendo agli enti ter- ritoriali soci di appostare nei propri bilanci le perdite registrate dalle società da essi partecipate) o per vie esterne (in particolare per effetto della regolazione tariffaria e sulla qualità dei servizi operata dall’ARE- RA). Accanto a questi temi, relativi alla efficienza ed economicità delle gestioni pubbliche e ai loro riflessi sull’economia e la finanza degli enti territoriali, permangono problemi interpretativi (e quindi squisitamen- te giuridici) irrisolti. Tra tutti la stessa nozione di partecipazione indi- retta, che ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 175/2016 rinvia alle situazioni di controllo come definite dall’art. 2359 del cod. civ. Sennonché MEF e Sezione consultiva della Corte dei Conti hanno esteso la nozione a qualunque partecipazione pubblica maggioritaria, ancorché detenuta da una pluralità di enti pubblici, nessuno dei quali abbia una posizione di controllo e ciò in omaggio a una considerazione “unitaria” dell’am-
ministrazione pubblica4. Questa interpretazione è però stata contrad-
detta dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale,
4 Il MEF con orientamento datato 15 febbraio 2018 ha affermato che “sia
l’interpretazione letterale sia la ratio sottesa alla riforma nonché una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni citate, inducono a ritenere che la “Pubblica Amministrazione”, quale ente che esercita il controllo, sia stata intesa dal legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all’art. 2359, comma 1, numeri1), 2) e 3), faccia capo ad una singola Amministrazione o a più Amministrazioni cumulativamente”. Anche la Corte dei
Conti segue questa interpretazione; cfr. da ultimo le Sezioni Riunite in sede di controllo, Deliberazione n. 11/2019.
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dapprima con la sentenza n. 16 del 22 maggio 2019 e poi con la sen- tenza n. 25 del 29 luglio 2019, secondo cui “Contrariamente a quanto affermato dalla Sezione di controllo e dalla Procura, infatti né la ratio né la lettera dell’art. 2, lett. b) ed m) sono sufficienti a sostenere che il TUSP abbia introdotto una nozione di controllo “funzionale” totalmente disarticolata dal concetto di “controllo” civilistico, consentendo di configurarlo in presenza di una mera, frammentaria, partecipazione pubblica maggioritaria”. Eppure stabilire cosa debba intendersi per “controllo pubblico” è fondamentale, perché costituisce il presupposto dell’applicazione della gran parte delle disposizioni del TUSP (dalla deliberazione circa l’acquisto di una parte- cipazione indiretta o l’adozione di una misura di sua razionalizzazione, alla determinazione della composizione e del compenso dell’organo amministrativo, alle modalità di reclutamento del personale). Altra que- stione interpretativa su cui sussistono non poche incertezze riguarda il controllo analogo quale requisito per l’affidamento diretto di lavori, ser- vizi e forniture alle società in house, in particolare quando si tratti di so-
cietà con capitale frammentato e partecipazioni anche “pulviscolari”5 di
enti territoriali. Né si tratta di un tema prettamente giuridico, in quanto in esso s’incentra il rapporto tra la visione della società in house quale articolazione organizzativa degli enti soci, abilitante gli affidamenti di- retti, e il carattere imprenditoriale dell’attività che comunque è svolta dalla società in house.