Città, globalizzazione e diritt
3. Per una nuova centralità senza centralizzazione La dimensione cooperativa delle autonomie local
La dispersione urbana è stata da sempre vissuta come problema- tica da architetti e urbanisti (Dear 1984). Tuttavia, vivere in una galassia urbana “esplosa” potrebbe oggi non essere più eludibile,
stante i rischi sanitari causati dalla mobilità pubblica o vista l’alta
densità abitativa della popolazione. Il punto è chiarire se questa
«città-arcipelago» (secondo la felice espressione di S. Boeri) debba oggi essere intesa come un mosaico irrazionale di insediamenti sparsi in modo indistinto sul territorio, oppure come una rete di comunicazione fisica e digitale che connette un numero di snodi maggiore rispetto al passato, come i famosi quartieri nei quali tut- to sarà a portata in “15 minuti” (Moreno 2020).
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169 Per evocare ancora una volta la metafora schmittiana, si potreb- be dire, in effetti, che il nuovo elemento «fluido-gassoso» del lavo- ro in Rete potrebbe financo acuire lo sradicamento e la diaspora delle comunità locali che, alla stregua di inquieti stormi migratori,
potranno avere solo occasionali punti di approdo. Ciò non sembra,
però, far venir meno la forza attrattiva dei grandi centri urbani. Al contrario, un diverso modo di abitare potrebbe financo costituire un fattore di positivo cambiamento, lungo i due assi cartesiani del- la maggior collaborazione tra enti locali ed un più spinto ripensa- mento degli stili di vita.
Fiduciosi nella capacità gravitazionale esercitata dalla concen- trazione e dalla qualità dei servizi offerti dal contesto metropoli- tano, si ritiene, infatti, che una maggiore libertà nella mobilità dei lavoratori non frenerà lo sviluppo del modello di convivenza cittadina.
Intesa alla stregua di un hub, la global city si pone strategica- mente a metà strada tra la dimensione sovranazionale (di cui rap- presenta un terminale fisico) e quella locale (che abbraccia anche l’area suburbana e che ne smorza il rischio esiziale di omologazio- ne culturale). La sua possibilità di coniugare e passare agilmente dalla dimensione macro a quella micro nella progettazione delle politiche urbane ha ingenerato, anche di recente (Report UN-Ha- bitat The State of European Cities 2016), inquietudini circa il co- mune orizzonte di opportunità e diritti che dovrebbe caratterizzare in modo egualitario gli altri enti territoriali minori, pur sempre appartenenti alla stessa comunità nazionale.
La diffusione delle autostrade digitali, combinata ad una pia- nificazione urbanistica lungimirante, potrebbe però offrire una risposta a questi interrogativi. Non bisogna infatti incorrere nell’e- quivoco di ritenere che la prossimità fisica dei cittadini costituisca l’unica variabile essenziale per la nascita delle economie di prossi- mità. Come è stato dimostrato (W. Randall Eberts & P. McMillen Daniel 1999), anche l’esistenza di infrastrutture pubbliche può giocare un ruolo cruciale e, a maggior ragione, se si tratta di opere di collegamento – virtuale o fisico – agevolanti le comunicazioni e gli spostamenti in una realtà oramai policentrica. Peraltro, nell’e- poca post-Covid, si avverte sempre più l’esigenza di insistere sulla necessità di «decentrare» le attività, oltre che di «distribuire, digi- talizzare, desincronizzare» i flussi di merci e persone (Zevi 2020). Ciò a testimonianza del fatto che una minore densità urbana non rappresenterebbe più necessariamente un sinonimo dell’indivi-
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La «rivoluzione spaziale» della pandemia
dualismo liberista, ben rappresentato in passato dalle villette uni- familiari.
Un simile scenario implica dunque un significativo cambio di paradigma delle nostre tradizionali chiavi di lettura del fenomeno urbano. Sposta l’accento dalla competizione tra le urban regions alla
dimensione «relazionale» delle città (Capone 2020). Trasforma le grandi realtà metropolitane in punto di sutura del territorio naziona- le, mettendo in rapporto di continuità le diverse dimensioni spaziali del mondo contemporaneo. Promette una rinnovata collaborazione tra aree dimenticate (da rivalorizzare) e centri qualificati (in cui con- tinuerà a concentrarsi la maggior parte della popolazione).
Si tratta a ben vedere dell’esigenza di intrepretare un ruolo di- verso da quello giocato dalle Regioni che, durante la pandemia, sono apparse viceversa chiuse in un campanilismo autocelebrati- vo. Le città globali, che non possono che dismettere una conce- zione unicamente «territoriale» della società che sono chiamate a rappresentare (Beck 2003), si candidano a guidare un processo di costruzione di quel tessuto connettivo che, a partire da una rinno- vata idea di «vita locale» (Urbinati 2020), potrà ambire a favorire «processi di connessione tra interazione diretta e interazione a di- stanza» (Sciarrone 2020).
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173 CAPITOLO XIV