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La questione ermeneutica che si pone è quella di definire se la legge abbia introdotto un nuovo “tipo” negoziale o se al contrario sia sussumibile in uno dei due “sottotipi” del leasing finanziario – individuati dalla giurisprudenza – di leasing di godimento e leasing traslativo . In particolare – per constante 153

Distinguo consacrato dalla decisione delle Sezioni unite della Cassazione del 7

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gennaio 1993 n. 65 secondo la quale «la risoluzione della locazione finanziaria, per

inadempimento dell’utilizzatore, non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell'articolo 1458, comma 1, del c.c. , in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica ove si tratti di leasing cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto (con consequenziale marginalità dell'eventuale opzione), e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell'uso degli stessi. La risoluzione medesima, invece, si sottrae a dette previsioni e resta soggetta all'applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall'articolo 1526 con riguardo alla vendita con riserva di proprietà, ove si tratti di leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all'importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni che scontano anche una quota di prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume una funzione strumentale)». 


La permanenza di questa distinzione è stata recentemente messa in dubbio a seguito nell'introduzione dell'articolo 72- quater l.fall., il quale chiarisce i diritti delle parti in caso di scioglimento del contratto da parte del curatore in conseguenza del fallimento dell’utilizzatore (o comunque nel caso di scelta del curatore di non subentrare nel contratto). Chi sostiene questa tesi fa leva sul fatto che questa norma sarebbe espressione di un principio generale applicabile ad ogni caso di interruzione non consensuale del rapporto, quindi non soltanto al caso di scioglimento per scelta del curatore ma anche ai casi di inadempimento riconducendo la locazione finanziaria a fattispecie unitaria con conseguente abbandono della dicotomia. Queste tesi sono state messe a tacere dagli interventi della Cassazione, la quale ha esplicitamente affermato che «l’introduzione nell'ordinamento dell’art. 72-quater non consente di ritenere

superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario leasing traslativo, e le differenti conseguenze che da tale distinzione derivano nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento» (Cass., Sez. Civ. I, sent. 9 febbraio 2016, n. 2538) ; la Corte ha

sottolineato che nell'ipotesi in cui il contratto di leasing si sia risolto per inadempimento dell'utilizzatore prima del fallimento di quest'ultimo, la norma che viene in rilievo non è l'articolo 72-quater l. fall., che presuppone la pendenza del contratto, bensì l'art. 72, comma 5, l. fall. che, recependo l'orientamento accolto dalla prevalente giurisprudenza prima della riforma, sancisce l'opponibilità alla massa dell'azione di risoluzione promossa anteriormente al fallimento. In tal caso conserva validità il distinguo tra leasing di godimento e leasing traslativo ed il concedente può far valere nei confronti del fallimento la domanda di risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 1458, comma 1, c.c. o ai sensi dell'articolo 1526 c.c., ferma la necessità di insinuarsi al passivo qualora con la domanda di risoluzione siano proposte anche domande restitutorie o risarcitorie.

indirizzo della giurisprudenza di legittimità – si parla di leasing di godimento quando «il contratto venga pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e a fronte di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi»; mentre, si parla di leasing traslativo laddove il contratto abbia ad oggetto «beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e che i canoni abbiano avuto funzione di scontare anche una quota del prezzo di previsione del successivo acquisto». In quest’ultimo caso i canoni corrisposti dall’utilizzatore non trovano la loro ragion d’essere soltanto nel godimento del bene, ma costituiscono anche i corrispettivo di una parte di prezzo in quanto nel leasing traslativo la res è destinata a conservare alla scadenza un valore residuo apprezzabile. 


Dunque «il discrimen tra le due figure di leasing è costituito dalla previsione originaria, ad opera delle parti, di quello che sarà, alla scadenza del contratto, il rapporto tra valore residuo del bene e prezzo d’opzione, in quanto mentre la previsione di un’apprezzabile eccedenza di valore è rivelatrice di una originaria volontà delle parti volta essenzialmente al trasferimento della proprietà del bene inizialmente concesso in godimento, in presenza invece di una previsione opposta deve pervenirsi all’individuazione di una volontà negoziale volta essenzialmente alla sola concessione in godimento del bene» .
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Cfr. Cass. sez. I, 13 dicembre 1989, n. 5570; Cass. Sez.Un. 7 gennaio 1993, n. 65 in

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A tale distinzione la Suprema Corte fa discendere l’applicazione di una diversa disciplina. 


Nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, nel caso di leasing di godimento troverà applicazione l’art. 1458 c.c. (con conseguente esclusione dell'obbligo per il concedente di restituire i canoni percetti), mentre nel caso di leasing traslativo dovrà essere applicato l’art. 1526 c.c. (con il conseguente dovere per il concedente di restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad equo compenso per l'uso della cosa e al risarcimento del danno). 


Tale dicotomia è rimasta indiscussa nonostante taluna giurisprudenza di merito ne abbia sollevato il superamento alla luce dell'articolo 72-quater l. fall. che ha dettato una unica disciplina fallimentare della locazione finanziaria senza dare rilievo alla distinzione tra i diversi tipi di leasing. 


Per quanto riguarda il contratto esame la natura durevole dei beni, la facoltà di riscatto futuro del bene e il loro considerevole valore economico residuo, nonché la commisurazione del canone al prezzo di acquisto o di costruzione conduce sostenere la vicinanza del leasing abitativo alla categoria giurisprudenziale del leasing traslativo.

Tuttavia si nota come al comma 78 dell’art.1 il legislatore stabilisca espressamente che, in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenuto a valori di mercato, dedotta

la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'azione finale di acquisto. Esclude quindi l’applicazione dell’art. 1526, caratteristica identificativa del leasing traslativo . 


Pertanto, l'operazione di leasing abitativo non è perfettamente collocabile in nessuna delle categorie elaborate finora dalla giurisprudenza.