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dei Cantic

TESTO 41. Il parere di Galeno sul valore dell’esercizio fisico

(introduzione, note e commento a cura di Silvia Susin)

Galeno di Pergamo, vissuto nel II secolo d.C., era il medico personale dell’imperatore Marco Aurelio: rifacendosi idealmente ad Ippocrate, propugnò un vasto rinnovamento sia teorico sia metodologico della scienza medica, operando una sintesi rimasta in vigore fino alla nascita della scienza moderna. In molti dei suoi scritti si occupò della preparazione atletica degli sportivi, provocando un’accesa polemica con i preparatori atletici del tempo. All’epoca, infatti, erano proprio questi ultimi a dettare agli atleti le prescrizioni dietetiche ed igieniche, in virtù della loro notevole esperienza acquisita sul campo come ex-atleti. Il personale medico specializzato era di norma escluso da questi ambienti, e medici come Galeno non esitavano ad esprimere la loro avversione a questa consuetudine. Essi non erano contrari all’attività sportiva, ma

consigliavano una preparazione atletica meno specializzata e meno intensa rispetto a quella destinata agli atleti professionisti.

Ippocrate206, nel raccontare un tipo di vita salubre, disse: “Fatiche, cibi, bevande, sonno, piaceri amorosi: tutto con moderazione”. Gli atleti, invece, si esercitano quotidianamente più di quanto dovrebbero, e si riempiono di cibo forzatamente, protraendo spesso i pasti fino a metà della notte. […] Per essi anche la misura del sonno è conforme al loro sistema di vita. Si risvegliano allorché coloro che conducono una vita naturale si ritirano dal lavoro affamati. Il loro modo di vivere è simile insomma a quello dei porci, con questa sola differenza, che i porci non usano affaticarsi eccessivamente, né mangiare per forza, mentre essi invece fanno l’una e l’altra cosa. […]

Direi perciò, a mia volta, che l’esercizio fisico di tal genere è l’anticamera non della buona salute, ma piuttosto della malattia. E credo che la pensasse così anche Ippocrate, quando diceva: “La condizione atletica non è naturale, è preferibile uno stato di buona salute”. Con ciò egli non solo fa chiaramente intendere che l’attività atletica non è naturale, ma non chiama nemmeno “stato” la condizione degli atleti, privandoli in questo modo anche di quella denominazione con

206 Ippocrate, vissuto nel V sec. a.C., era considerato il fondatore della disciplina medica dell’antichità: del suo

magistero ci rimane il Corpus Hyppocraticum, una vasta raccolta di trattati, solo in parte attribuibili ad Ippocrate stesso, che ci presentano una medicina che non conosce l’anatomia, ma è in grado ugualmente di ottenere risultati “scientifici” mediante la connessione razionale di accuratissime indagini sui sintomi e di cure comprendenti la dieta, l’alimentazione.

la quale tutti gli antichi207 indicano la condizione delle persone realmente sane. “Stato” è una condizione stabile e immutabile, mentre la vigoria spinta fino agli estremi degli atleti è malsicura e instabile: infatti, proprio per il fatto di essere spinta fino agli estremi non ammette prolungamento nel tempo e inoltre, dal momento che salda e stazionaria non può restare, tende fatalmente a deteriorarsi.

Queste sono le condizioni fisiche degli atleti quando esercitano la loro attività, ma quando si ritirano diventano ancora peggiori. Alcuni muoiono dopo poco tempo, altri vivono più a lungo, senza comunque giungere alla vecchiaia; o se mai vi giungono, in nulla differiscono dalle Lite di cui parla Omero: “zoppi, grinzosi, strabici ad entrambi gli occhi”. Invero, come le mura che siano state scosse fortemente dalle macchine da guerra crollano facilmente se subiscano qualche danno e non riescono a sopportare né un terremoto né altro accidente meno grave, allo st esso modo anche i corpi degli atleti, malandati e fiaccati a causa dei colpi ricevuti durante la loro carriera, divengono poi estremamente vulnerabili. I loro occhi appaiono sovente scavati, quando essi non hanno più la forza di sopportare i reumatismi; i denti, già sottoposti a tante scosse e sempre più indebolitisi con gli anni, cadono facilmente; le articolazioni, già costrette a continui piegamenti, risultano impari di fronte a qualsiasi sforzo imposto dall’esterno e vanno facilmente soggette a ogni genere di frattura e stiramento. È pertanto evidente che sotto il profilo della salute fisica nessuna categoria è più sventurata di quella degli atleti […].

Quanto alla bellezza, per gli atleti le cose stanno così: è vero che traggono qualche giovamento dalla loro attività, ma accade anche che gli allenatori che prendono sotto la loro guida molti atleti dal fisico in tutto armonioso li fanno ingrassare eccessivamente rimpinzandoli di sangue e di carne, e così facendo ottengono il risultato contrario: ne fanno cioè diventare alcuni brutti e deformi nel volto, specialmente quando pratichino il pancrazio e il pugilato. Quando poi gli arti subiscano fratture o distorsioni gravi, o divengano orbi, soprattutto allora, io credo, si può chiaramente constatare come la loro bellezza venga compromessa dalla loro professione. Finché gli atleti godono di buona salute, la loro attività può giovare alla bellezza; quando si ritirano, tutto il resto del loro fisico ne risente negativamente, in quanto le distorsioni che ne colpiscono le membra fanno apparire deforme tutto il corpo.

(Galeno, Protrettico, 11-12; in Galeno, Nobiltà delle arti, traduzione italiana di I. G. Galli Calderoni, M. D’Auria Editore, Napoli, 1986, pp. 32-36)

COMMENTO

Galeno, in molti suoi scritti, riconobbe che l’agonismo poteva avere, se ben disciplinato, un ruolo fondamentale per la formazione di un a gioventù sana e robusta. Fu però spietatamente critico nei confronti delle pratiche atletiche che miravano al conseguimento della vittoria a tutti i costi, ma soprattutto contro il superallenamento che produceva effetti negativi sulla salute. I quadri clinici tracciati da Galeno ci presentano un mondo sportivo pesantemente inquinato dalla finalizzazione unicamente spettacolare della pratica atletica: non è fuori luogo un parallelo con la nostra situazione attuale, nella quale sempre più di frequente gli atleti mettono a rischio la loro vita a causa di espedienti di vario genere (solitamente farmaci) che, se sul breve periodo permettono un miglioramento della prestazione (quantunque truffaldino), sul lungo periodo risultano addirittura nocivi alla salute.

207 Gli uomini della generazione di Ippocrate, e anche di quelle immediatamente successive, apparivano ovviamente

TESTO 42. I giochi visti dalla parte degli arbitri: il sorteggio per le fasi

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